sabato 16 giugno 2018

gustare il limite

Egli ha messo pace nei tuoi confini
e ti sazia con fior di frumento 
(Sal 147)


Spesse volte ci lamentiamo che non si capisce più in questo nostro mondo, dove sia il limite del buon senso, dell'assurdità, della "cattiveria", ecc.
In effetti, sembra che non ci siano più limiti, semplicemente perché noi non li consideriamo più. Non ammettiamo più il pensiero dell'esistenza dei limiti nel nostro vivere e lo chiamiamo "libertà". Nulla di più sbagliato. L'altro giorno meditavo su questo piccolo brano del salmo 147 e mi è sembrato illuminante. Infatti questa cosiddetta "libertà" rende liquido il confine tra gli opposti, o tra cose differenti, di qualsiasi tipo esse siano. Ma porta anche al rinnegamento totale del limite, a vivere come fossimo senza limiti, senza confini. Cerchiamo dunque di negare qualsiasi tipo di limitazione, nel funzionamento della nostra società. Ma tutto ciò parte da una percezione sempre più liquida della nostra persona (magari Bauman qui avrebbe ancora qualcosa da dire). 
La verità sulla libertà si cela altrove o, proprio nell'esatto opposto. E sta nel fatto che tu riesci a gustare la vita solo quando hai fatto pace con i tuoi confini. L'essere saziati col fior di frumento: quello altamente selezionato e nutriente, ricco di carboidrati che saziano ogni fame, non può avvenire se non permetti che Dio metta pace nei tuoi confini. Tuttavia c'è un passo previo: riconoscere i propri confini e i propri limiti. E, da ricordare, non sono la stessa cosa. I confini servono nelle nostre relazioni. Esistono per distinguere me da te, ad esempio anche i confini del mio corpo che fa sì che io non sono uno con te. Ma anche i confini della mia mente e della mia psiche, che fanno sì che io sappia fin dove posso arrivare nel mio donarmi in una relazione e dove questo può essere devastante, proprio perché oltrepassa la mia "capacità", il confine appunto, ciò che mi costituisce, perché come oltre la mia testa, guardando più in alto, io non ci sono più, così anche nella mia interiorità esistono i confini, oltre i quali io non posso andare, perché lì "non ci sono", cioè non posso arrivare. E se io conosco questi miei confini mentali, psicologici e spirituali, se essi per me sono chiari, saprò rispettarli, e rispettare gli altri, cosciente dei loro confini. Vivrò appunto le relazioni, gustandole, gustando la vita. Ora pensiamo a tanti conflitti relazionali, a tanti rapporti interpersonali allacciati e spezzati, ogni giorno, sempre di più, alle tante ferite che ne vengono fuori. Ecco, non conosciamo e non rispettiamo i nostri confini. Invadiamo il confine dell'altro e lasciamo che l'altro invada il nostro. Ne veniamo fuori sconfitti, spezzati (ognuno vada a sbirciare nella propria vita gli esempi concreti...). E, attenzione, non si tratta di alzare i muri, ma di accogliere ciò che costitutivamente è in noi: il nostro essere finiti, o meglio, come dal nome di questo blog, il nostro essere l'infinito, edizione limitata. I limiti sono nostre debolezze, inconsistenze, alle volte peccati (si, diciamocelo!!!). Negarli significa vivere una vita falsificata, immersa nella non-verità. Accoglierli e accettarli in noi stessi ci facilita nel fare lo stesso per gli altri. Ci ricorda la nostra condizione creaturale e ci aiuta ad essere umili. E, sorpresa, alle volte ci aiuta persino a superare qualcuno di questi limiti, senza che ce ne accorgiamo. Perché un limite può essere oltrepassato solo se riconosciuto, altrimenti non esiste a priori e quindi la questione non si pone. 
Queste due dimensioni: confini e limiti, chiamate per nome nella nostra vita, ci portano a sperimentare quella pace, di cui parla il salmo. E' quella pace che viene quando non ci sono più le contese da un lato o dall'altro del confine. Proviamo ad usare la fantasia. Se siamo dai due lati di un confine e io tiro da una parte e tu dall'altra, il confine, il limite è in guerra, non è chiaro, non è rimarcato e quindi sembra che non ci sia. Ecco cosa succede nella nostra vita: facciamo finta che non ci siano i limiti e così essi sono sempre in guerra, finché noi non li lasciamo lì, non li guardiamo proprio laddove stanno, smettiamo di tirarli di qua o di là. Allora diventano chiari, si vedono, e questo ci fa problemi: gli altri vedono i nostri limiti, essi all'improvviso sono accentuati. Ed è quello il momento per dire SI al proprio limite, dargli un nome, perché questo è proprio il momento in cui il Signore può mettere la pace nei nostri confini. E noi cominciamo a gustare la vita. E, una volta sperimentato questo, sarà più chiaramente definito il nostro essere, de-finito, cioè riconosciuto finito e delimitato. E, per assurdo, è nel riconoscerci dentro i limiti che noi ci cibiamo di fior di frumento, perché nel nostro limite appare un gusto. Sembra strano: ma quando il confine non è più sfumato, tutto ha un altro sapore. Perché non vai più correndo per dimostrare che sei un supereroe/una eroina, ma vivi compiendo quello che il tuo confine ti permette. Spesso non ci rendiamo conto, ma questo significa far spazio a Dio, lasciare che Lui sia l'onnipotente, l'onnipresente, il salvatore, e non noi. Difendiamo dunque il nostro limite e il nostro confine, perché sono preziosi e hanno il sapore della vita vera, di chi diventa consapevole che tende verso l'infinito, ma per ora ne resta un'edizione limitata, piccola, ma infinitamente amata.