mercoledì 17 aprile 2019

sono proprio io

Mt 16,14-25


Se guardiamo bene la nostra vita, anche quella molto quotidiana, di solito quando succede qualcosa che "non va", e lo notiamo, senza sapere chi ne è l'artefice, la domanda che scatta immediatamente è: "chi l'ha fatto?" Come se fosse così estremamente importante trovare sempre il colpevole. Come se stessimo sempre a dire: io ho notato questa cosa fatta male e ora la faccio pagare a chi l'ha fatta. Come se nella nostra natura fosse in qualche maniera scritto in profondità, che occorre punire il "peccatore", altrimenti non si espia il peccato. E' sempre la logica dell'incapacità di separare il peccato dal peccatore. In fondo è una logica che viene superata nella Pasqua. 
Forte e impressionante la domanda che oggi si pongono i discepoli riuniti nel Cenacolo. 
Forte soprattutto proprio perché già comincia a rovesciare questa logica. All'annuncio del tradimento, i discepoli cominciano immediatamente a rivolgere la domanda a loro stessi: "sono forse io?". Quindi non più: "chi sarà?", oppure "sarà sicuramente...", ma il rovesciamento a 180°. L'ammissione della possibilità che sia proprio io quel che tradisce. E quindi, secondo la logica della legge del taglione, sono io a dover pagare. E poi la Pasqua porta un ulteriore rovesciamento: sì, sei proprio tu colui che tradisce, ma non devi pagare, perché paga il tradito. Ed è proprio per questo che puoi ammetterlo, puoi dirlo, guardando il tuo proprio riflesso e scorgendo in esso i tratti della misericordia, grazie alla quale vivi. Puoi dirlo forte a te stesso e poi anche agli altri: sì, sono proprio io. Cerco di non tradire, ma tradisco e sono perdonato. Perché anche nella notte del mio peccato, nell'oscuro sentimento di essere nudo e disprezzato per la mia debolezza, risplende un abbraccio nuovo. E il Risorto mi avvolge nella Risurrezione. 

mercoledì 10 aprile 2019

un nome, non una garanzia

Gv 8,31-42

L'appartenenza ad un gruppo sempre porta in sé una dose di senso di sicurezza, una sorta di garanzia. Questo accade per eccellenza in una famiglia. Di certo ognuno di noi ha sentito svariate volte, come si associano gli atteggiamenti, i comportamenti, le doti, i difetti ecc, ad un cognome o ad un paese. Delle volte in negativo, altre volte in positivo. 
Così anche i Giudei del Vangelo di oggi. Al mimo accenno di Gesù, su una possibilità di cambiamento, la negano immediatamente a partire dall'appartenenza ad una discendenza. Essere "quelli di Abramo", significa non essere mai stati schiavi. Sono pericolose convinzioni e false sicurezze. E' vero e certo che un qualsiasi gruppo di appartenenza deve dare un certo senso di sicurezza e protezione, tuttavia un'identità individuale non si può nascondere dietro un'identità collettiva. Il "grado di schiavitù" o di libertà, non dipende dal nome che portiamo. Certamente alcuni atteggiamenti che si perpetuano nelle famiglie di generazione in generazione, possono determinare notevolmente la vita di un discendente ma mai definitivamente. Un nome non è mai una garanzia. Oppure può esserlo solo nelle circostanze molto circoscritte. Gesù ci tiene di ricordarlo. La libertà o la schiavitù si gioca dentro di noi, nelle nostre decisioni, nelle conseguenti azioni, nella capacità di cambiamento. Anche quando ci qualifichiamo come figli di Dio, non siamo automaticamente esenti dal peccato, o dalla debolezza. Piuttosto ci identifichiamo con coloro che sono stati chiamati alla libertà e, consapevoli di questo, ad essa aspirano. E proprio per questo motivo, sono in grado di accettare che tanti passi ancora restano da fare verso la vera libertà dei figli di Dio. Che non siamo mai arrivati. E che, se qualcuno ce lo fa notare, non è necessariamente per sminuirci, ma forse semplicemente per spronarci nel cammino, e  scegliere di non nasconderci più dietro una responsabilità collettiva, ma assumere quella più alta e gratificante, quella personale. 

martedì 9 aprile 2019

da un'altra prospettiva

Gv 8,21-30

Continua il discorso di Gesù. Continua anche l'incredulità e l'ostinazione di chi non vuole o non può credere in Lui. 
E allora scatta la considerazione sul punto di vista da cui guardare le cose. Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete... 
Hai mai guardato la stessa persona prima dal basso e poi dall'alto (oppure vice versa)? O meglio ancora: mettendo ben a fuoco cosa succede quando cambiamo la posizione verso la persona, dal punto di vista fisico, pensiamo ora allo sguardo interiore. Hai mai cambiato la posizione verso qualcuno, interiormente? Ti è capitato di guardare (forse anche inconsapevolmente) qualcuno dall'alto verso il basso per un lungo tempo, con la poca voglia di avvicinarti a lui o di "degnarlo" di uno sguardo diverso rispetto al solito? Ti è mai venuto in mente che forse proprio quella persona, che guardi un po' dall'alto, magari non tanto o non solo per antipatia ma anche per la tua personale insicurezza, che non vuoi esternare (come fu nel caso di farisei che, insicuri sulla persona di Gesù, preferivano coglierlo in fallo e/o comunque ostinarsi nel non volersi avvicinare alla sua "posizione"), potrebbe essere qualcos'altro, rispetto a quello che tu pensi? Beh, se hai questa esperienza, sai allora che le parole di Gesù sono sacrosante. Solo quando cambiamo la prospettiva, quando "innalziamo" la persona, purtroppo spesso esattamente come fu fatto a Lui, messo in croce, riusciamo a vedere la sua grandezza. Questo può succedere nelle circostanze della vita o semplicemente perché anche noi ci mettiamo in croce a vicenda. Ma poi finalmente abbiamo modo di guardare l'altro dal basso, da una nuova prospettiva... forse si presenta finalmente quell'occasione in cui siamo noi quelli piccoli, quelli più indifesi o perché ci rendiamo conto che abbiamo messo in croce qualcuno, o perché vediamo una grandezza che prima non eravamo in grado di percepire. Dunque, può essere un compito interessante per questi ultimi giorni della Quaresima: cambiare la prospettiva, assumere un'altra posizione, e questo significa: permettere ai nostri occhi di vedere qualcosa, che prima non sono stati capaci di scorgere. 

lunedì 8 aprile 2019

reggersi da soli

Gv 8,12-20


Oggi mi viene da fare una riflessione "girata di 180°" rispetto a ciò che dicevamo qualche giorno fa. Osservavamo Gesù che non pretendeva che si credesse solo nella sua testimonianza, ma diceva di avere altri testimoni. Oggi punta invece sulle parole che Egli stessi dice di sé, e sul Padre, che purtroppo coloro che lo ascoltano, non vedono e non riescono a percepire. Bene, vediamo quante volte nella nostra vita, specie parlano di noi stessi, diciamo "ti giuro che..." e "puoi chiedere a...". Insomma a tutti i costi cerchiamo di convincere le persone che sono attorno a noi che una cosa, un evento, una nostra caratteristica, davvero sono come noi le presentiamo. Certamente nella vita serve delle volte farlo. E di solito lo facciamo nei confronti delle persone a cui ci teniamo. E fin qui comunque è tutto normale. Il problema comincia, quando a noi crolla il mondo solo perché le persone non ci credono. Quando d'istinto cominciamo a fare di tutto e a cercare di convincere, magari spendendo forze, tempo, energie, rincorrendo le persone a cui dobbiamo provare qualcosa... solo per avere l'approvazione. E Gesù dice: "anche se io do testimonianza a me stesso, la mia testimonianza è vera". E basta. Le frasi che pronuncia dopo, non sono per nulla volte a convincere i farisei della sua veridicità, anzi, sembra che la distanza tra lui e chi ascolta si stia anche allungando. 
Eh sì. Bisogna imparare da lui a reggersi da soli. Certo, siamo esseri in relazione, abbiamo bisogno di curarle ecc. Tuttavia siamo anche soli davanti a Dio, che ci vede per quel che siamo e solo Lui ci vede nella nostra verità. Perché rincorriamo le persone e cerchiamo a tutti i costi la loro approvazione? Forse perché spesso non sappiamo reggerci in piedi da soli e cerchiamo un bastone, cioé una persona che ci regga la vita, che ci dia il ritorno del suo valore. E non ci ricordiamo più che valiamo solo perché esistiamo... Quando ci viene da giurare e da voler convincere qualcuno di qualche cosa, invece di corrergli dietro, forse potremmo fermarci, prendere un bel respiro profondo e dirci: "ma cosa mi cambia, se non mi crede?" Forse scopriremmo che in fondo non ci cambia nulla, che il nostro valore resta lo stesso perché siamo sempre amati, anche quando il rifiuto di qualcuno momentaneamente ci ferisce. Forse anche questo è un passettino verso la libertà interiore: sapere che i legami sono necessari, ma che devono essere sani e che in ogni amore ci vuole anche la giusta distanza, quel respiro appunto, che ci permetta di assaporare lo sguardo d'amore sempre rivolto su di noi al di là del fatto che riceviamo le approvazioni o meno. Questo significa in fin dei conti amare, relazionarsi, ma non essere dipendenti. Questo ci apre alle relazioni libere e all'amore di Dio. 


domenica 7 aprile 2019

sotto i riflettori

La nostra fragilità. L'argomento che puntualmente sfuggiamo o, se lo affrontiamo, è quasi sempre con quella scomodità nel cuore, per doverci ammettere imperfetti. Questa condizione della nostra vita ci parla di un deficit, di un vuoto da colmare. Basta guardare già le prime battute dell’odierno brano di Giovanni. 
La folla va dietro a Gesù: qualcosa che le manca. Ma improvvisamente, il nostro sguardo si sposta ad una donna, sola, ferita nel centro più profondo dell’essere umano. È un’adultera, colei che svende il suo corpo, permettendo che venga ferito nella sua capacità di amare. Ed ora questa piaga viene messa lì, al centro, davanti a tutti, senza scrupoli per essere usata per mettere alla prova Dio stesso. Gli scribi e i farisei volendo cogliere in fallo Gesù, non si accorgono però che gli danno in questa maniera l’occasione per mostrarsi esattamente per quello che Egli è, Misericordia. Il tutto, coperto accuratamente dalle prescrizioni della legge, quasi fosse una copertina dorata, che copre però sotto dei complicati meccanismi che nel loro intento, dovrebbero nascondere il loro peccato, palesando quello della donna. 
Gesù non dà retta alla loro domanda “a trabocchetto”. Gli esegeti ci direbbero che il suo dito che scrive per terra, è quello della mano di Dio che crea e che ora ri-crea la vita ferita dell’adultera. Ma, cercando di guardare la scena dal punto di vista umano, sembra che Gesù fa questo gesto, per sminuire l’imbarazzo della donna, già tanto umiliata. Lui, Dio, l’unico senza peccato, resta con lo sguardo fisso per terra: anche lui si sente umiliato e prova vergogna. Alza gli occhi solo a loro e risponde con un interrogativo, destinato a restare senza risposta esplicita. 
Il Signore accende così un riflettore che illumina tutti gli angoli dell’umanità dei protagonisti. Qualcuno ne resta illuminato, anche se fa male, come ad esempio la donna. Qualcuno invece scappa, sfugge la luce. 
Il gesto di condannare l’altro resta sempre sintomo della mancanza della misericordia che non vale solo per il prossimo, ma in fondo vale anche per se stessi. I farisei e gli scribi condannano l’adultera e in seguito condannano se stessi, scappando dalla luce che gli ha appena rivelato la verità sulla loro fragilità. E non regge nessuna Legge.
E infine: colei che non scappa, non viene giudicata da Dio, ma diviene oggetto della sua misericordia. Si svela l’incapacità del male, davanti alla grandezza della misericordia divina. “Nessuno ti ha condannata”: perché in primis non sei condannata da Dio. Chi vuole evitare la luce, si condanna da solo. E non può più sentire le parole di incoraggiamento che liberano definitivamente dalla pretesa di perfezione: “non peccare più”, cioè non autocondannarti più, perché c’è un Amore più grande, che fa sì che la tua debolezza non scompaia, ma sia per sempre amata e per questo redenta.  

venerdì 5 aprile 2019

sprigionare la libertà

Gv 7,1-2.10.25-30

Una lezione di libertà dietro all'altra, nel brano di oggi. Se ci pensiamo, esistono delle persone che non hanno paura di parlare apertamente e, sebbene la verità faccia male, non gli viene detto né fatto nulla. E, di solito queste persone, riprendendo il pensiero di ieri, non hanno bisogno di urlare, non intimidiscono per essere ascoltate. Semplicemente parlano. E la veridicità delle loro parole, fa effetto da sé. Vi siete mai domandati, perché alcuni quando aprono bocca, vengono subito contestati e schiacciati e altri no? Saranno probabilmente i modi, utilizzati a lungo dalle persone, che creano un certo tipo di effetto. Non c'è niente da fare, aveva ragione quella persona che disse che possiamo sentirci veramente liberi di essere quello che siamo, solo in presenza delle persone veramente libere dentro. E quando accade questo, non ci sono più barriere, ci si può dire quello che si pensa e quello che si è, sia che si tratti di contatto "a quattro occhi", sia quando c'è una grande quantità di gente. Sei veramente te stesso quando non ti senti giudicato, né condannato per la tua possibile fragilità ecc. 
Ma la domanda sul comportamento di Gesù oggi va oltre. Chi è Lui?  Beh, si dicono: se è veramente l'inviato di Dio, allora sì capisce, bisogna ascoltarlo. E' proprio così: tu ascolti o meno una persona in base all'importanza che le dai. Ma, tornando a ciò che abbiamo appena detto: dai importanza alla persona presso la quale ti senti stimato per quello che sei. 
E ancora un altro gradino di libertà, ci propone Gesù. Sapendo cosa pensano su di lui, punta proprio lì. Ha proprio quel coraggio che le persone libere hanno, di dire: bene, visto che le cose sono contorte e complicate, quando chiuse all'interno delle menti umane, portiamole alla luce, in modo che si semplifichino e siano limpide. Questo poi, a chi non ha realmente sperimentato il suo amore e la sua presenza liberatoria, suona scomodo, perché colpisce in quel qualcosa che doveva rimanere oscuro e non essere manifesto. Dunque cercano di fargli uno sgambetto. E non ci riescono. 
La libertà e la verità vanno a braccetto. Non conoscono le barriere delle contorsioni mentali, dei sospetti inutili, delle intuizioni non verificate. Sono semplici e luminose e "si riproducono" velocemente in quanti sono disposti ad uscire allo scoperto. A noi la scelta. 

mercoledì 3 aprile 2019

tutto diventa giovane [4]

Cristo vive! No, non sono auguri pasquali in anticipo. Sono le prime parole dell'appena uscita esortazione apostolica. 

Non l'ho ancora letta tutta... (299 paragrafi fanno un po' paura :D ). Ma leggo le prime frasi. E queste sono per me già una buona novella. 

Cristo vive! Egli è la nostra speranza, e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che rivolgo a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!

Non sono sicura di appartenere ancora alla categoria dei giovani cristiani. Strano pensare che Gesù, quando è morto aveva più o meno la mia età. So che vorrei che queste parole siano per me, proprio perché tutto ciò che viene toccato da Dio, ringiovanisce e non c'è più bel desiderio di quello di essere toccati da Lui, e ricolmati della sua Vita. Lui infatti non vuole la morte del peccatore ma che EGLI VIVA! Credo sia una bellissima notizia, a questo punto del cammino quaresimale. 

Sono molto curiosa delle cose che ci suggerisce Francesco per conservare sempre un cuore giovane, aperto e pronto a collaborare al disegno della salvezza. Conoscendo il nostro Papa, saranno di certo delle indicazioni molto concrete, che toccano da vicino la nostra vita. 
Buona lettura a noi, allora. La prospettiva è meravigliosa: arrivare alla ennesima Pasqua della nostra vita, con il pensiero di poter ringiovanire ancora una volta, perché sebbene sia vero che gli anni passano, è altrettanto vero che la vita si rinnova, proprio con la Risurrezione di Cristo. A noi la voglia di rispondere al dono di questa Vita! A noi scegliere di essere giovani, donne e uomini della Risurrezione.

tale padre tale figlio

Gv 5,17-30 

Dunque come è questa storia? Chi è più importante padre o figlio? Credo sia chiara la risposta. Ma! C'è un "ma". E' chiaro che nella relazione padre-figlio c'è sempre una nota di ovvia superiorità e inferiorità. Questa posizione tuttavia ha una ragion d'essere solo fino a un certo punto della vita e della "carriera" di padre e di quella relativa di figlio. Per quanto restino per sempre legati, viene il momento in cui tutti e due si incontrano "allo stesso livello" della vita. Il padre deve accettare che il figlio ormai è cresciuto. Qualsiasi scelta farà, giusta o sbagliata, sarà la sua. Il genitore può dare un consiglio ma non si può sostituire al figlio (sebbene il figlio sia naturalmente portato a riprodurre i suoi errori) e non può continuare a guardarlo "dall'alto". Altrettanto il figlio deve assumersi responsabilmente la sua crescita e iniziare a vivere camminando con le proprie gambe non dare al padre l'occasione di continuare a trattarlo come un bambino. Dunque Gesù cosa vuole dire quando dice: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare il Padre? Suona un po' come se Gesù fosse dipendente dal Padre, alla maniera di un uomo immaturo? Fermo restando ciò che abbiamo detto sopra: cioè che riprodurre i gesti buoni e meno buoni dei genitori, è un meccanismo psicologico "normale", qui però si stratta di qualcosa di più. Il Padre infatti ama il Figlio. Ecco il primo elemento essenziale: l'amore. E quello, lo sappiamo, libera, altrimenti non sarebbe amore. Il Padre... gli ha dato il potere di giudicare: Dio rispetta la natura umana del Figlio e lo lascia "libero" di giudicare, anche se il legame è tale da far sì che il giudizio dei due sia sempre lo stesso. 
Fa pensare, che Dio operi con due categorie umane: amore e libertà, nel parlare del legame intratrinitario tra due persone della Trinità. Ma proprio amore e libertà sono due nomi dello Spirito. E questo fa pensare ancora di più. Per quanto non saremo mai capaci di scrutare e comprendere a fondo queste relazioni tra i Tre (come li chiamava beata Elisabetta della Trinità), pare che ogni valore umano delle relazioni familiari venga risaltato oggi dalla Parola di Dio. Figlio generato dal Padre, ma uguale a Lui, non dominato da lui. Figlio come persona indipendente, eppure legato dall'essenza del bene al Padre. 
Forse può essere uno spunto buono per riflettere su come viviamo, nella nostra età adulta, le relazioni genitori-figli.