sabato 31 ottobre 2020

il meglio deve ancora venire


 Lc 14,17-11

Dare il meglio o prendere il meglio? Ecco il dilemma! Il dilemma che Gesù ci propone di risolvere, nel brano del Vangelo di oggi. Egli osserva, osserva i comportamenti dei suoi contemporanei e trae conclusioni. Ma la consuetudine che tira fuori oggi, noi la conosciamo molto bene. E' chiaro che non andiamo a metterci al primo posto in una festa. L'entrare infatti nel nuovo luogo, con gente sconosciuta, non ci mette a nostro agio, per cui viene naturale rimanere un po' in disparte, un po' indietro. Strano che questa cosa, il Signore ce la debba ribadire. 
Eppure forse c'è un significato nascosto in questo. Occupare il primo posto è andare a prendersi il meglio con le proprie forze, con la nostra volontà. E' sentirci capaci e autorizzati a produrci da soli il meglio. E' lasciare tutti indietro, pur di raggiungere ciò che sembra più prestigioso. Mentre Gesù ci dice che il meglio non ce lo procuriamo da soli e non è necessariamente a noi visibile e facilmente individuabile. Mettersi indietro, all'ultimo posto (purché non sia dettato dalla falsa umiltà), è porci in attesa di quel meglio che deve ancora venire e che, soprattutto, non ci procuriamo da soli, ma riceviamo dalle mani di chi ha il vero potere, su questa festa che è la nostra vita. Rimanere all'ultimo posto è riconoscere a Dio il suo posto nella nostra vita e affidarci e arrenderci a Lui, nella piena fiducia, che Lui già sa il nostro posto, quel bene che deve venire e quel meglio che sta arrivando. Allora la festa sarà vera, quando ciascuno si metterà in posizione di ricevere il meglio dalle mani del Padre buono e quando sapremo dire: senza di te non posso raggiungere il meglio. 










giovedì 29 ottobre 2020

la sua visita in te



Lc 13,31-35

Quanto doveva amare Gesù la città di Gerusalemme... le sue parole lasciano trapelare un amore di predilezione. L'amore vero ha un duplice sguardo: mentre vede come idealmente potrebbe essere una persona o realtà, vede anche molto realisticamente i "difetti" del proprio oggetto d'amore. Ecco Gesù che  vede che questa città "eletta" non è come Dio l'ha voluta. Le parole che seguono sanno del profetismo, che pur rilevando la sventura proclama il momento in cui vi si riverserà l'amore di Dio verso il suo popolo. Gli eventi futuri mostreranno che questo amore è più forte di ogni cosa e continua a "visitare", sta alla porta e bussa... C'è qualcosa che entra dagli occhi e qualcosa che esce dagli occhi. Per Gesù il vedere Gerusalemme "passa dalle parti del cuore" e ritorna agli occhi nella forma di una futura possibile bellezza. Si attiva il meraviglioso funzionamento dell'emotività umana presente nel Dio che si incarna. Le sue parole apparentemente di rimprovero, ripuliscono la città di Dio di ciò che Egli le rimprovera. Questo si chiama riprendere per amore. Quando io intravvedo, con gli occhi puliti dall'amore, l'opera di Dio in te, la meraviglia che sgorga dalla sua visita in te. E ti auguro che tu ti lasci visitare da Lui, per essere ciò che sei.

martedì 27 ottobre 2020

osare la piccolezza


Mt 13,24-43

Cosa può dire una persona umana al proprio animo, vedendo come esso tende sempre alle cose più grandi, più nobili, più elevate, rispetto a ciò che già è, possiede ecc.? Quale il lavoro interiore da fare, che faccia sì che l'uomo viva serenamente e in pace il fatto che, mentre tende sempre verso l'alto per natura, riesce realmente a stare nella pace solo se riconosce e ama la sua piccolezza? Non stiamo qui oggi a fare dei trattati di scienze umane, psicologiche... tuttavia la domanda senz'altro ci si pone. Sant'Agostino parla del cuore inquieto finché non giunge a riposare in Dio, finché non arriva a Lui, dunque parla di una tensione verso l'infinito, una tensione che "sfinisce" l'uomo, sì, ma solo se Egli pensa di poterci arrivare attraverso una falsa perfezione da raggiungere con le proprie forze. Il punto da tenere presente è questo: Dio, non avendo bisogno dei nostri sforzi, ma amando alla follia la sua creatura, è venuto tra noi. Ed è questo il senso del Regno di Dio di cui parla Gesù. L'ha portato lui e non c'è bisogno che ci sforziamo per introdurlo nel mondo, perché c'è già. Il nostro compito cristiano è farlo venire fuori dagli eventi, dalle circostanze, dalle persone. Ma prima di fare questo bisogna che siamo convinti che è già qui, bisogna che siamo donne e uomini di speranza, risorti. Ecco dove acquista il senso la consapevolezza della nostra piccolezza. Essa è rivelazione del Regno. Se pretendiamo di essere e/o di mostrarci grandi, intanto inciampiamo nella falsità, perché il limite e la limitatezza, fanno parte integrale della nostra vita. Mentre la capacità di sentirci piccoli ma amati, è proprio quel canale per far venire fuori il Regno nascosto nelle pieghe della vita. Il granello di senape: una realtà quasi invisibile, eppure di un'efficacia straordinaria. Infatti, noi non siamo infiniti, noi siamo solo coloro che fanno partire delle reazioni a catena. A un certo punto, il nostro compito finisce, perché siamo solo strumenti. Ma che strumenti! Collaboriamo al piano della salvezza! Dunque, occorre osare la piccolezza, occorre tornare sempre e sempre di nuovo, quando si affaccia la tentazione della grandezza "fai da te", a Colui che è sorgente e fine di ogni cosa. Solo il guardare l'uomo - Dio ci permette di coniugare e integrare all'interno della nostra persona umana, la sua innata piccolezza e l'altrettanto innato desiderio di grandezza, desiderio di Dio. Il diavolo si nasconde nei dettagli, si usa dire.  Sì, ed è così proprio perché nelle piccole cose di ogni giorno si nasconde anche il Regno. La lotta tra il male e il bene, la bellezza e la bruttura avviene lì. E il Regno vince, quando noi stessi siamo capaci di riconoscere in queste piccole cose, il passaggio di Dio. 

domenica 25 ottobre 2020

amare il presente e il futuro


 

Mt 22,34-40

Non mi sembra ci sia una particolare necessità di scervellarci oggi davanti a questo brano di Matteo. Anzi, è una parola che sta molto interpellando il nostro oggi. Gesù ribadisce il comandamento dell'amore. Mai come in questo periodo, abbiamo la possibilità di far vedere quanto ci vogliamo bene e quanto teniamo al nostro fratello oltre che a noi, rispettando le indicazioni che ci vengono date, per una vita il più possibile sicura e a tutela di tutti. E' interessante in questo contesto riprendere ciò che Gesù dice per ultimo: da questo dipendono tutta la legge e i Profeti. Cosa significa questo per noi? La legge è per l'uomo e non l'uomo per la legge. La fede, in mezzo a tante critiche giuste o ingiuste, non entro nel merito, ci riporta all'unica cosa necessaria: all'accoglienza di ciò che ci viene chiesto, detto, nella fiducia che, anche se non piace a noi o non ci convince, possa essere essenziale o perlomeno utile. Sì, questo è l'atteggiamento di fede, che segue al nostro ragionamento e lo rende fecondo nell'ottica della salvezza. Dunque, occorre credere che tutto ciò che ci viene chiesto, è per noi, per il nostro bene. I Profeti, è uno sguardo gettato verso il futuro. Si ama per costruire un futuro, si vuole bene, per far durare nel tempo la vita. E, come sempre è stato nella storia dell'umanità, ciò che oggi viene profetizzato, ciò che oggi può essere proiezione verso il futuro, non sempre sarà capito. Si capirà dopo, al presentarsi di questo futuro. Sarà interessante guardarci indietro tra qualche anno e vedere quali cose che oggi restano considerazioni e tentativi, sono delle vere profezie. Lo sapremo, se vogliamo vivere credendo che attraverso ogni circostanza, il Regno di Dio si realizza. E sta qui il senso del comandamento dell'amore. Direbbe san Paolo: affinché Dio sia tutto in tutti (cf. 1Cor 15,28). Intanto a noi il nostro presente. Il presente in cui amare. 





venerdì 23 ottobre 2020

discerniamo insieme

 


Lc 12,54-59

Gesù oggi fa una domanda che potrebbe risuonare molto seria dentro ciascuno di noi. Come mai, questo tempo non sapete valutarlo? Credo che ciascuno di noi, in questi mesi, più di una volta si è detto o ha detto anche ad altri: non ci capisco nulla di ciò che sta succedendo. Ovviamente, di fronte ad una novità, un elemento completamente sconosciuto, cade tutta la nostra capacità di discernimento, perché il nostro discernimento si appoggia sugli elementi che abbiamo già dentro di noi, strutturati e definiti. Quando arriva qualcosa di nuovo, dobbiamo imparare a conoscerlo e ad inquadrarlo, per poi utilizzarlo nella valutazione della nostra realtà. Gesù è precisamente colui che mette "in crisi" le persone, perché costringe loro ad una novità inaspettata e chiede loro di inglobare questa novità, che è il vero e proprio rovesciamento delle logiche del suo tempo, nella loro vita, per renderla nuova. Forse a qualcuno di noi può far male in questo periodo questa domanda provocatoria: come mai non sappiamo ancora inquadrare la situazione creatasi a seguito dello scoppio della pandemia? Ma non è mica colpa nostra... Credo che oggi ci viene ribadito ancora una volta il concetto fondamentale e vitale della fratellanza. Non potremo mai inquadrare la situazione, se non INSIEME. Ecco perché Gesù fa l'appello a tutti di cercare sempre l'accordo con l'altro, in mezzo alle questioni scottanti, perché solo insieme si riesce a trovare la soluzione migliore. In fondo, se ci pensiamo, tutto ciò che oggi ci viene chiesto di rispettare e fare, è a tutela dell'altro. E sì, non sapremo mai valutare bene le cose, senza il riferimento alla relazione. Dio è relazione, nasciamo dalla relazione ed essa dovrebbe essere il nostro primo e l'ultimo riferimento. Lo è davvero?



mercoledì 21 ottobre 2020

pronti non ansiosi

Lc 12,39-48


Siate pronti! Queste parole del Signore oggi mi hanno fatto molto riflettere. Ho pensato a quelle persone, che pensano di dover essere sempre all'altezza della situazione e sempre pronti a tutto ma... non appena capita un imprevisto, si bloccano. E' un'esperienza che è capitata ad ognuno di noi nella vita. Tuttavia per qualcuno è condizione in cui vive. Qual è la differenza tra la prontezza e l'ansia? Tutte e due partono dalla considerazione sul futuro, fosse anche prossimo. L'ansia infatti è la condizione di chi vive talmente attento al futuro da vivere male il proprio presente non essere in grado di viverlo per la preoccupazione per il futuro. Ha bisogno di una massima sicurezza su ciò che accadrà, vuole controllarlo, vuole evitare errori o/e imprevisti. Non così per la prontezza di cui oggi ci parla il Signore. Essere pronti significa vivere nella serena consapevolezza che l'imprevisto può accadere, qui ed ora e che esso fa parte della vita anche se non lo si può capire prima che accada. Esattamente come quel padrone che, arrivando e trovando i servi che lo accolgono, inaspettatamente si mette lui a loro servizio. E' un imprevisto questo! Potrebbe generare l'ansia per la risposta: "cosa dovrò fare ora? come comportarmi? va bene? non va bene? cosa dirà la gente?" ecc.ecc... La prontezza è vita, mentre l'ansia è il timore della sua perdita. Sicuramente a ciascuno di noi è capitato di sperimentare per qualche motivo quell'ansia che arriva ad accorciare il nostro respiro. Ecco questo è desiderio di vita: chi vive, respira calmo, con larghezza di polmoni, se così si può dire, pronti ad accogliere ciò che viene. Chi invece è portato dall'ansia, ha il respiro corto, sente che la vita gli sfugge, boccheggia, cerca la vita... resta infelice, perché incapace di ricevere la novità non calcolata, che inevitabilmente arriva. Siamo nei tempi in cui ne soffre tanta gente, perché tanti strumenti abbiamo inventato per darci sicurezza, che deve, prima o poi sgretolarsi per far spazio alla possibilità di riacquistare la libertà. Beato invece cioè felice è chi vive pronto: serenamente capace di accettare le cose così come vengono (senza idealizzare ovviamente anche l'ansia fa parte di una vita normale, fino a quando non impedisce di vivere fondamentalmente tranquilli), chi sa fin nel profondo del suo cuore, che non è padrone della propria vita, ma che il suo "padrone" è, appunto, imprevedibile nell'amore. 

lunedì 19 ottobre 2020

non salvare il mondo

 



Lc 12,13-21

E così, stranamente, nemmeno il Salvatore se la sente di salvare "tutto e tutti" e risponde a chi invoca la sua "mediazione": "chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?" E' una straordinaria lezione di libertà, quella capacità di dire: "no, non posso, non tocca a me", quando questo è vero. E comporta anche il rischio di essere giudicati, ritenuti non disponibili, ecc. ecc. Tutto sta nel porci la domanda se noi siamo disposti a correre questo rischio, a tutela di noi stessi, per raggiungere l'equilibrio che spetta a quella maturità che comporta il sapere che non siamo noi a salvare il mondo. Ma la libertà qui si confonde facilmente con il menefreghismo, purtroppo. Dobbiamo capirci bene: Gesù non interviene non perché si è stufato delle richieste che gli vengono fatte, ma perché non ce n'è necessità. E' capace di lasciare le persone che agiscano nella loro vita, non si sente in colpa, né è arrabbiato. Capita che non sappiamo distinguere dove dobbiamo intervenire e dove no, perché ogni intervento ben riuscito ci porta un ritorno affettivo, siamo stimati, amati, visti. E quindi diventiamo dipendenti affettivamente, non direttamente dalle persone, ma da questo ritorno, che abbiamo da loro. La libertà ci permette di sapere che abbiamo bisogno di essere amati, ma che non dobbiamo comprarci questo amore, intervenendo sempre e dovunque. Come sempre, si cresce "facendo esercizio", si impara a non dipendere. E si impara, che salvaguardare le verità spirituali, quali il dovere della carità,  si può anche senza sentirsi in dovere di fronte a qualsiasi causa, sempre e dappertutto. 

domenica 18 ottobre 2020

le tasse per la vita?



Mc 12,13-17

Discorso difficile e delicato oggi. Si sa, le tasse sono sempre troppe, danno sempre la sensazione che lo stato ci stia derubando... in questo tempo della pandemia, diventano parte dell'incubo di tante famiglie... c'è più scoraggiamento, che non speranza. 
Per questo il Vangelo di oggi ci stuzzica e mette in discussione a tutti i livelli. E sarebbe comodo dunque se Gesù ci dicesse oggi proprio questo: no, dai, basta, lascia perdere, sono tutti ladri. Ma Gesù non porta questo messaggio, anzi. Sa benissimo che fare la Volontà del Padre significa vivere e coltivare non solo quelle che sono le dimensioni del Tempio, ma anche il mondo, dunque la responsabilità che comporta la vita nel mondo. Non si lascia intrappolare, dove vogliono far vedere che lui, rivoluzionario come è, minaccia il potere. Le radici infatti del suo Regno non sono di questo mondo, come dice lui stesso, eppure lui stesso porta nel mondo il Regno. La Basileia, appunto il Regno è Lui stesso. E rimane in questo mondo, fino alla sua fine. Lo viviamo e testimoniamo anche noi, quando troviamo un giusto modo di vivere in questo mondo, che Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio. Quasi verrebbe da dire che Gesù per primo ha promosso la laicità dello stato. Lui, che non ha fatto distinzione tra giudei e pagani, nella sua missione terrena, ora afferma la nostra responsabilità per il bene comune che riguarda il nostro vivere nella società.  Anche ai suoi tempi si diceva dei governanti che erano ladri, tant'è vero che ribadisce: fate quel che vi dicono, ma non imitateli. 
L'idea delle tasse dunque è quella per la vita, per la vita di tutti, per il bene comune, quando rende tutti noi uguali, nessuno privilegiato, ma neanche discriminato. Cos'è successo con questa idea? Il discorso basato sul Vangelo di oggi, non vuole sminuire la realtà pesante che stiamo vivendo. Resta sempre vero che noi non abbiamo i mezzi necessari per affrontare tante cose a livello economico. Dio non ci dice di disobbedire, ma ci chiede una creatività solidale. Esattamente la stessa creatività che si è messa in moto durante la quarantena, quando abbiamo condiviso anche i beni che avevamo, per dar da mangiare a tutti e quando abbiamo sperimentato che abbiamo risorse per tutti, solo esse sono mal distribuite. Ciò che infatti non ci viene assicurato "dall'alto", possiamo cercarlo insieme "dal basso". Perché a Cesare occorre dare ciò che è suo, ma darglielo aiutandosi e sostenendosi a vicenda non è lo stesso che disperarsi facendo gli sforzi solitari. Una nuova economia (oikonomia), insomma, amministrazione della casa, del nostro mondo, di cui abbiamo la responsabilità comune. 

lunedì 12 ottobre 2020

il Segno

Lc 11,29-32


Oggi è proprio la giornata giusta per riproporci la questione dei segni. Come è infine questa storia dei segni nei confronti di Dio...? Bisogna domandarli, ci si può credere? Gesù è molto chiaro in questo episodio. Non dice che non ci sarà nessun segno, dice che non ce ne sarà altro al di fuori di quello di Giona. Che poi sarebbe Lui stesso per la sua generazione. Nei tempi bui, come percepiamo che siano anche i nostri, non significa che i segni non ci sono. Significa che esiste un segno fondamentale, senza il quale non regge nulla, non regge nessuna simbologia e nessun credo. E che se non troviamo e non leggiamo quel segno, inutile che inseguiamo tanti altri, falsi segni. Non a caso San Giovanni Paolo II tanto spronava la chiesa a leggere i segni dei tempi. E questi segni dei tempi non sono delle cose magiche che vengo da chissà quale speculazione intellettuale di noi,  abituati a inseguire e a cercare una verità assoluta, in dei concetti. I segni dei tempi sono passi di quel Signore che abita il mondo e che ha introdotto il Regno qui tra noi. Dunque è Lui il segno fondamentale, senza il quale non possiamo scorgere nulla di buono, non vediamo l'amore. Quando il buio non ci permette di sentire, di rallegrarci con chissà quali fuochi d'artificio... è allora che siamo chiamati a cercare il segno fondamentale, la Presenza che dona un senso profondo ad ogni cosa, ad ogni epoca e ad ogni avvenimento della nostra vita. Allora non importa quanto sia buio (ricordiamoci che ogni epoca da quanti la vivevano veniva chiamata "buia"), perché resta un senso più profondo a tutto. Direbbe Santa Teresa, la santa di oggi: solo Dio basta. Ed è vero: qui, in mezzo a noi vive Uno che è più grande di Giona e Salomone messi insieme. E' Lui che dà la vita al mondo e gliela dà anche attraverso di noi, cercatori instancabili della sua presenza. 

domenica 11 ottobre 2020

non pervenuti



Mt 22,1-14

Preferiamo essere invitati al banchetto o essere costretti a parteciparvi? Nel primo caso rischiamo di non gustarlo, perché all'invito siamo liberi di rispondere o meno...e non ci basta essere invitati dallo stesso Dio, ancora sappiamo trovarci delle scuse. È meglio essere costretti, rimanere nella categoria di quelli che non sarebbero “degni” di parteciparvi, ma vengono perché “costretti” dall'amore di Dio, il quale, rovesciando le logiche del mondo, per primo accoglie tutti i disgraziati?  Quando l’Amore ci costringe scopriamo di essere tutti ciechi, storpi, zoppi... ma non c’è più vergogna, perché  il banchetto ristora, ridona vita e dignità. Ecco perché “gli invitati” non arrivano... perché il Signore non è venuto per coloro che si ritengono sani, ma per i malati!

giovedì 8 ottobre 2020

a mezzanotte

 


Lc 11,5-13

Non sopporto gente insistente. Mamma mia, quanto non la sopporto!!! Di conseguenza, odio dover insistere, perché non faccio vivere agli altri ciò che io stessa odio. Questo Vangelo oggi mi sta scomodo da morire... lo confesso! Non andrei mai a chiedere, nemmeno ad un amico, a mezzanotte, il pane per sfamare chi è giunto presso di me. Piuttosto mi arrangio con quel che ho in casa. Già, perché io comunque in casa ho sempre qualcosa... eh sì, appartengo a quella minoranza fortunata degli abitanti del mondo, a cui non manca il pane. Questo fa sì che a mezzanotte non devo rompere le scatole a nessuno. Ma mi metto a fare la riflessione esattamente dall'altro punto di vista. Chi è colui che mi rompe le scatole, insistendo? Cosa mi comunica? Mi dice, appunto, che non è autosufficiente, che non ce la fa da solo. Dice: ho bisogno di te. Mi interpella nel mio punto debole, quello di possedere una sufficiente "ricchezza" da potermi ritenere indipendente. Ecco cosa fanno con noi i fratelli più deboli, poveri, bisognosi, tanto insistenti da poter dire legittimamente: basta! Ci riportano alla necessità dell'equilibrio tra l'autonomia e l'interdipendenza. Perché se è vero che ognuno di noi ha il diritto e il dovere di cercare la sana autonomia, è altrettanto vero che siamo tutti collegati e non possiamo vivere, se non in relazione con l'altro. Bussare alla porta dell'altro a mezzanotte, è simbolo di un bisogno che non si può rimandare, simbolo di una ricerca disperata di chi non ce la fa. Viviamo nei tempi in cui, per alcuni bisogni dei poveri, ma anche per le condizioni in cui si trova il pianeta, è mezzanotte e il bussare alla porta è il minimo che si possa fare. Siamo disponibili ad alzarci e a dare la nostra disponibilità?

sabato 3 ottobre 2020

quell'infinito piccolo e povero

A Lui, eternamente vagabondo e per sempre presente... piccola e povera versione dell'infinito! (Transito 2018)

Solo una piccola porzione
per amore di colui
che è Tutto
che con la sua Croce
tutto ha compiuto
Compiuta la sua parte
le mani inchiodate le braccia incrociate
il cuore consegnato la speranza non delusa
Sì, la speranza è tutta proprio qui
E di nuovo Assisi sul tuo cielouna stella fulgente conclude e vola
verso Colui che è Santo forte, grande
altissimo e onnipotente
che è rifugio, fortezza
mitezza e dolcezza
Si chiude l’occhio si schiude il cielo
festa della speranza che nei figli
durerà in terra per sempre
che regna invincibile
nella sera e nella mattina che furono
nel primo giorno
Giorno dell’Eternità

venerdì 2 ottobre 2020

poco e piccolo

Ieri era la festa di santa Teresina. Come sempre, lei preferisce restare nascosta
ma non voglio dimenticarla, oggi soprattutto mentre festeggiamo gli angeli custodi. 
Stiamo parlando di esseri che ispirano tenerezza, che noi associamo facilmente ai bambini, anche se erroneamente. La preghiera agli angeli custodi è una delle prime preghiere che insegniamo ai bimbi... E poi c'è appunto Teresina, con la sua fede che lei definisce piccola, ma che è tanto grande! E quel bambino, che Gesù pose in mezzo dopo che hanno domandato chi è il più grande nel Regno dei Cieli? Tanto piccolo, tanto grande. Sì i bambini fanno poco e ciò che fanno è piccolo, ma prezioso e grande agli occhi di chi ha l'animo grande. Si, Teresina in fondo non è mai uscita dal suo convento, compiendovi delle piccole mansioni, man mano facendo sempre di meno, quando stava ammalandosi. Davanti a noi una piccola via. Scegliere l'essere piuttosto che il fare. Scegliere di fare memoria sempre di quegli angeli che nel cielo guardano il volto di Dio. Questo significa tante cose, anche se piccole e poche agli occhi del mondo. Nel cuore della chiesa, mia Madre, io sarò l'amore, così sarò tutto. Ecco, essere l'amore, non significa niente e significa tutto... Essere bambino significa non fare nulla di "utile", e significa essere una gioia per tutti. Possa il Signore insegnarci questa grande pochezza e piccolezza, che ci ricorda l'unica cosa essenziale, quella appunto che fanno gli angeli di coloro che sono più che fanno: il Volto di Dio. Allora si, non sono più solo gli angeli a vederlo costantemente, ma lo vediamo anche noi, nella nostra vita, nella quotidianità delle azioni più piccole, compiute con e per amore, sopratutto quando questo costa. 

giovedì 1 ottobre 2020

la pace

 


Lc 10,1-12

Oggi vi giro una meditazione che io stessa ho ricevuto e quindi condivido!

Portare solo la pace. Nient’altro. Inermi, indifesi, quasi ingenui. Sentirsi nudi e in balìa dell’altro come un agnello in mezzo ai lupi è la condizione che vi permette di incontrare l’altro.

Forse incontrerete un figlio della pace, uno come voi. Nell'essere accolti, potrete scambiarvi ciò che ciascuno può offrire. Le vostre diversità si integreranno. Stabilirete un legame profondo, intimo, vi sentirete fratelli e sorelle. Avrete la sensazione di essere a casa, pur con degli sconosciuti, che vi sembrerà di conoscere da una vita. Sperimenterete che la comune umanità è la vera dimora dove è possibile abitare. Vi accorgerete che non avete bisogno di altro. E gioirete insieme.

Forse vi capiterà di non essere accolti. È faticoso non essere visti o riconosciuti dall’altro. Viene da reagire e da arrabbiarsi. Si riattivano antiche ferite. Il cuore si chiude per proteggersi. Ecco: quello è il momento propizio per sperimentare una cosa straordinaria: l’altro non ha il potere di togliermi la pace. Non si tratta di fare finta di niente di fronte al rifiuto, di negare il dolore per il mancato riconoscimento e neppure di far buon viso a cattivo gioco.

La pace è un atteggiamento assertivo: ha a che fare con la franchezza, ovvero con il coraggio di guardare negli occhi l’altro riconoscendolo umano anche nella sua chiusura. La pace è esercizio consapevole di questo potere: il potere dell’amore. È ciò che ti rende autenticamente umano. Quando smetti di cercare l’umanità dell’altro smetti tu stesso di essere umano.

La missione, come la intende Gesù, è una chiamata a rimanere umani, anche lì dove ci sentiremmo in diritto di rinunciare alla nostra umanità.

P. Flavio Bottaro