giovedì 24 giugno 2021

una misteriosa insistenza

Lc 1,57-66.80

Nelle nostre vite succedono alle volte delle cose che rimangono impresse nel nostro intimo così profondamente, da essere capaci di cambiare non solo noi interiormente, ma anche il nostro modo di stare al mondo, il nostro futuro. Sono cose potenti nel significato, che spesso si dispiega nel corso del tempo, per condurre la nostra vita altrove. Delle volte questi vissuti li chiamiamo "traumi", quando ci portano in una direzione negativa. Ma poi ci sono anche altre tipologie di cose. Come ad esempio quella che è successa a Zaccaria. Quale esperienza più "mistica" che l'entrare, nel turno sacerdotale, nel luogo più centrale del Tempio, e stare in quello che Israele chiamava "santo dei santi", spazio riservato, alla presenza di Dio? Eppure sembra che c'è qualcosa in più. A Zaccaria appare l'angelo. Gli parla, Dio gli parla attraverso un inviato. E' un evento che non lascerà mai più la sua vita e che determinerà la vita della sua famiglia, e poi anche quella dell'umanità, attraverso la nascita del precursore di Cristo, Giovanni, che festeggiamo oggi. Zaccaria e Elisabetta insistono nel volergli dare un nome che nella sua famiglia non c'è mai stato. Insistono nonostante lo scandalo che questo crea ai vicini e ai parenti. Non spiegano però da dove viene questa misteriosa insistenza. Cambia il loro atteggiamento, diventano fermi nella loro posizione, non sottostanno più a questa tradizione che doveva essere osservata. I cambiamenti. Le persone cambiano, spesso le vediamo cambiare e non ci spieghiamo come mai. Non necessariamente cambiano in meglio o in peggio, semplicemente cambiano i loro modi e poi noi li interpretiamo. Esistono nella vita di ciascuno di noi queste misteriose insistenze, che sono frutto di una vita vissuta o di un particolare incontro con Dio. Sì, perché quando si incontra davvero il Signore, non si può più essere gli stessi. Si comincia anche a tentare imprese impossibili, forti della sua Presenza costante. Oggi forse ci conviene richiamare alla mente e al cuore questi tempi e spazi di incontro "decisivo" con lui. E ci conviene ricordare che, quando vediamo dei cambiamenti nelle vite delle persone, forse invece di voler subito giudicare o valutare, potremmo fare un passo indietro e aspettare, rispettosi del cammino dell'altro, perché potremmo avere davanti a noi un'opera di Dio, senza esserne coscienti. 




martedì 22 giugno 2021

diventare conchiglia

Mt 7,6.12-14

Penso e ripenso a queste perle. Quelle che Gesù dice che non vanno gettate ai porci... Questa parola può essere interpretata male, se uno pensa che si tratti della chiusura alle persone che ci capita di incontrare nella vita, e che non riconoscono il tesoro che noi vogliamo porgere loro. Se pensiamo così, questa frase ci porta sostanzialmente a vivere "camminando sulle uova", per distinguere che cosa, quando e perché dire/dare a qualcuno piuttosto che a qualcun altro. E diventa una vita invivibile e non raramente contrassegnata dalla paura di fidarsi e chi ne ha più, ne metta. Indubbiamente abbiamo a che fare con un invito da parte del Signore, di essere prudenti, perché resta vero che nella vita non tutte le cose vanno consegnate a tutti: altrimenti saremmo inevitabilmente vittime di "abusi" a cui involontariamente ci esporremmo. Va bene essere aperti e spontanei, al di là dei calcoli nelle nostre relazioni, ma è importante sapere anche maturare quel grado di apertura e spontaneità che interiormente ci permetterà di discernere dove inizia il nostro confine. Il confine di una persona è quel limite, insito nella natura umana, che segna un oltre, che appartiene solo al "tu per tu" nostro con Dio. Ecco grosso modo il senso di ciò che ci vuole dire il Signore. 
Ma c'è dell'altro. C'è da dire che la perla nasce in una conchiglia da un disturbo, da un corpo estraneo, che non viene rifiutato, ma rivestito della sostanza che riveste la stessa conchiglia. Pensiamo che cosa questo significhi per noi... è automatico voler rimuovere cose/persone che ci danno disturbo. Che succederebbe se, soprattutto per le persone, invece di rifiutare, come potrebbe fare la conchiglia con il granello di sabbia, le tenessimo dentro, permettendo che ci diano un po' di fastidio (forse cogliendo l'occasione di andare in profondità, per vedere cosa e per quale motivo realmente ci dà fastidio, per perdonare?)? Ci viene in aiuto Etty Hillesum, quando scrive: Accogliere l'altro nel proprio spazio interiore e lì lasciare che fiorisca, dargli un posto dove possa crescere e svilupparsi. Vivere davvero insieme all'altro, anche se non lo si vede per anni, lasciare che l'altro ci continui a vivere dentro e vivere con lui, questa è la cosa essenziale. E così si può continuare a vivere insieme a qualcuno, al riparo dagli eventi esteriori di questa vita. Ciò è una grande responsabilità. 
Allora ogni perla che noi "gettiamo", purché non ai porci, significherebbe condivisione di un dolore che viene trasformato nella grazia di accoglienza, nella gioia che ne viene. E sarebbe condivisione della vittoria della vita sulla morte, dell'accoglienza sul rifiuto. Gettare questa perla fuori di sé significherebbe raccontare che ogni cosa nella nostra vita ha un senso più profonda nell'ottica di Dio. E forse potrebbe produrre altre perle, nelle persone-conchiglie, che smetterebbero di rigettare le cose/le persone della loro vita, trasformandole in spazi di guarigione.
Ma per far questo, occorre che diventiamo conchiglie: capaci di apertura e di chiusura al momento opportuno. Perché la perla si forma nel silenzio del dialogo quotidiano con Dio, laddove sono nascosti i segreti del Re, che, appunto non vanno gettati ai porci. 
Questa è una grazia da chiedere, per riempire il mondo di perle, ricchezza dell'umanità.


venerdì 11 giugno 2021

sacro perché spezzato

La festa di oggi può restare sempre un appuntamento lontano, che ci parla di una realtà così mistica da sembrarci lontana. Certo, il cuore di Dio, soprattutto quello rappresentato con tanto di corona di spine e di fiamma, in mano a Gesù, resta un'icona "classica" ma spesso anche ormai incomprensibile e magari ci lamentiamo che non dice nulla alla nostra vita. Spesso infatti un'iconografia attribuita ad una realtà, ci "disturba" nella possibilità di cogliere cosa, anche oggi il Signore ci vuole comunicare. Beh, vediamo insieme che forse viene fuori qualche cosa.  Quel che dice Gesù oggi di sé o meglio del suo cuore mite ed umile, si verifica negli attimi immediatamente seguenti la morte di Gesù in croce. Una morte precoce, a quanto pare, perché il cuore gli viene trafitto proprio perché già morto. Serviva questo gesto? Pare che sia stato compiuto per accertare la morte. Ma ci sono degli studiosi che dicono che la causa immediata della morte di Gesù è stato un infarto, o meglio una rottura del cuore (ma per gli aspetti scientifici possiamo fare ricerche autonomamente). Il suo Cuore noi oggi lo festeggiamo come sacro. Sacro significa messo da parte per Dio. Strano no, che il cuore di Dio (ovvio che sia messo da parte per Dio, se è suo), non sia stato immune dalle rotture e dalla sofferenza? Beh alle volte io penso che può essere sacro solo ciò che è spezzato
La chiusura non ha nulla a che fare con Dio, il quale è relazione, è il fluire dell'amore, è un continuo dare e ricevere, che si può attuare solo attraverso delle aperture. Ecco perché ciò che è spezzato può essere sacro (ma, attenzione, non necessariamente lo è!). Le ferite, come già ha detto qualcuno, possono essere feritoie comunicanti la vita. Ecco perché si dice che dal costato del Signore con l'acqua e il sangue è sgorgata la Chiesa, il segno visibile del suo amore. E così anche la chiesa resta sacra solo quando aperta, quando disponibile per essere anche ferita, squarciata, per testimoniare questo amore. Ma veniamo a noi: a me e a te. Hai presente quel momento in cui ti è venuto proprio un "infarto", il tuo cuore è stato spezzato, ferito, quando ti sei sentito usato, quando hai sofferto? Sicuramente sì. Tutto questo è sacro, se tu ne trai vita. Se ti concentri sulla morte, la ferita va in cancrena, si diffonde su tutta la tua persona e non ti permetterà di vivere felice. Ma se tu guardi la tua ferita, il tuo essere trafitto, come occasione di apertura, di "scuola" in cui imparare qualcosa della vita, forse di apertura agli altri, ancora più sofferenti di te. Quando il Papa Francesco ci invita ad USCIRE, vuole dire proprio questo: di non rimanere chiusi, di non lasciarci rubare la possibilità di purificare la nostra vita. Uscire e far entrare aria nuova, lasciare che con essa la ferita, che è luogo di passaggio, sia guarita e diventi apertura per la luce, per l'acqua pura, per quest'aria, per le persone bisognose della nostra accoglienza.
Questa è la tua e la mia possibilità di avere dei cuori che assomigliano a quelli di Gesù, che tendono ad essere quello per cui sono stati creati: sacri, appartenenti a Dio.