domenica 26 dicembre 2021

Maria e Giuseppe: maestri della comunicazione


 Lc 2,41-52

Roba da adolescenti nel Vangelo di oggi... E i dilemmi dei genitori: fino a che punto si può lasciare un ragazzino dodicenne libero, tra le persone fidate, perché sicuri che tanto rimarrà comunque nelle vicinanze? Si può fare oppure meglio essere prudenti, perché è pur sempre un adolescente e non si sa mai cosa gli possa saltare in mente? 

Ebbene, sì, Gesù pure è proprio un adolescente normale! Se ne va per i fatti suoi, perché ha interessi completamente diversi da quelli dei suoi genitori e non si pone il problema della loro preoccupazione. Deve fare quel che ha in mente. E, approfittando della fiducia dei genitori, lo fa. 

Ma quel che ci insegna davvero tanto oggi nel Vangelo, è la modalità comunicativa di Giuseppe e Maria, in questa situazione. Credete che non si siano almeno un po' spazientiti o arrabbiati, per il tempo perso, per l'atto di disobbedienza, per la fiducia buttata via, per l'ansia che hanno provato, e chi ne ha più, ne metta? Cosa si fa in questa situazione? Solitamente si va e si dice al bambino discolo: "ti rendi conto quanto tu sia inaffidabile, disobbediente e ci faccia perdere tempo e pazienza?", non di rado condito con un "come ti ho fatto così ti disfo". Oppure si giustifica tutto: "vieni, amore, ora andiamo a casa, eh il nostro figlio è libero e fa quel che si sente di fare". Due estremi. Guardiamo un attimo la reazione di Maria e Giuseppe. "Restarono stupiti", beh ci sta... non sapevano come interpretare questo stare di Gesù in mezzo ai dottori del Tempio, in veste di chi insegna. Ma poi: "Figlio PERCHE' ci hai fatto questo? Ecco tuo padre ed io angosciati ti cercavamo". Una maestria comunicativa incredibile!

1. Domandare il perché: non solo con gli adolescenti, ma con tutti. Di fronte ad un evento per me incomprensibile, invece di cominciare a dare giudizi, valutazioni, colpevolizzare, addirittura interpretare i pensieri e i sentimenti dell'altro ("tu pensi che... tu mi hai fatto...."), domandare la ragione delle sue azioni. Questo significa creare un'apertura di confronto che non può che rafforzare il legame, ancora di più se anche il risultato finale non dovesse essere una piena comprensione, comunque domandare il perché significa mettersi sullo stesso piano e non "sopra" e di conseguenza costruire uno spazio di condivisione, permettere all'altro di avere le sue ragioni, che io posso non capire. 

2. Comunicare i propri sentimenti: "io e tuo padre" eravamo angosciati, non "tu ci fai angosciare" o "è colpa tua se siamo in ansia". Fa molta differenza, responsabilizzarsi per i propri sentimenti. Certamente si comunica una propria reazione a un evento scatenato dall'altro, ma non gli si addossa una responsabilità che, nella maggior parte dei casi, non ha. Perché, diciamocelo, molti conflitti sono assurdi proprio perché nessuno vuole fare del male all'altro, e quindi nemmeno provocare nell'altro i sentimenti negativi. Comunicarli invece, di nuovo, ci rende partner e fa sì che segnaliamo la volontà di stare bene, per sé e per gli altri. E significa che la persona che abbiamo di fronte, non si sente colpita e non si sente in dovere di difendersi, cosa che automaticamente provoca reazione di difesa. 

Due passaggi che a livello di linguaggio potrebbero sembrare banali e potremmo dire che non hanno importanza. Chiaramente, moltissimo dipende anche dei toni che si usano, perché ovviamente se Giuseppe e Maria avessero urlato a Gesù... la forma prenderebbe sopravvento sul contenuto e l'avrebbe distrutto. 
Possiamo dunque fare le nostre prove nella vita quotidiana, di questa comunicazione non violenta, magari questa Santa Famiglia ci potrebbe insegnare una nuova qualità della nostra vita famigliare e sociale. 

sabato 25 dicembre 2021

un Dio che mi assomiglia


Gv 1,1-18
Oggi mi fermo e guardo Gesù Bambino adagiato sul fieno: vedo un bambino indifeso. Penso: il Verbo davvero si fece carne, si fece questo piccolo corpicino... ha pianto col primo respiro, era pieno di rughe, appena uscito dal grembo della mamma, dormiva scaldato dal corpo di Maria. E capisco i sentimenti di Sartre quando scrisse queste parole, mettendole nella bocca di Maria: "Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia". E immagino che aveva lo stesso desiderio che spero abbiamo avuto tutti oggi: di "mangiarsi" questo bambino. E noi...l'abbiamo mangiato, nell'Eucarestia. E IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE VERAMENTE DENTRO DI NOI. #buonNatale #gratitudine

sabato 18 dicembre 2021

il Dio fuori tempo


Mt 1,18-24

Non so voi, ma io leggendo il Vangelo di oggi, mi sono detta: insomma, povero uomo, il nostro Giuseppe... Ma non poteva Dio, nella sua sapienza, aspettare che questi due promessi sposi andassero ad abitare insieme, per arrivare con il grande Annuncio? C'era bisogno di far incasinare questa povera gente mettendo in enorme imbarazzo Giuseppe, per non parlare dei rischi per Maria? Insomma, dai, questo Dio arriva sempre fuori del tempo da noi previsto: o prima, o dopo... Hai mai ripensato alla tua vita in quest'ottica? Guardando come alle volte sembra un giocare a nascondiglio, da parte di Dio, quando le risposte o non arrivano o arrivano nel tempo in cui ancora non ti senti pronto... Eppure, c'è un disegno di sapienza in tutto ciò: i nostri tempi non sono quelli di Dio. Ma se guardi attentamente la tua vita, ti accorgi che tutto ciò che per noi è avvenuto "fuori tempo", si è rivelato importante e strumento educativo da parte di Dio, nella lettura illuminata dalla fede della nostra vita. Ricordiamoci, che anche quando le cose accadono non come e non quando noi vorremmo, c'è sempre una chiave di lettura e i segni da leggere attorno a noi con attenzione, che illuminano questi "imprevisti". Per Giuseppe sono state le parole dell'angelo di cui si è dovuto fidare ciecamente.
E per me e per te? Siamo invitati oggi a fare la lettura della nostra storia e ad imparare da essa, con quale linguaggio il Padre tenero, anche se imprevedibile, parla nella nostra esistenza. Questo esercizio, fatto nel silenzio orante del cuore, ci permetterà di imparare ad accettare ciò che è inaspettato, oggi e domani, con meno ansia e più consapevolezza di essere inseriti in un piano di amore, piano della salvezza. Ci permetterà di vivere il tempo come sacramento dell'eternità.

venerdì 10 dicembre 2021

non va mai bene?

 

Mt 11,16-19

La verità antica tanto quanto l'umanità: qualsiasi cosa tu non faccia, non va mai bene. Musica allegra - non ballano. Musica triste - non reagiscono. Qualsiasi musica non va mai bene, ma anche qualsiasi reazione alla musica, non è mai adeguata. 

E forse va bene così. In nome di quale criterio io dovrei fare le cose o reagire a delle cose in una maniera, che corrisponde a quello che pensano/sentono/pretendono gli altri? Certamente, esistono le esigenze di un vivere comune, esigenze per prima insite nella natura dell'uomo, quale animale sociale. Dopodiché però, data l'unicità di ciascuno, ci si trova davanti a tutto uno spazio aperto, in cui ognuno di noi non solo può ma anche deve essere se stesso. 

Gesù oggi ci dice null'altro che questo: la vita relazionale è fatta di molti tentativi ed alcuni per forza falliscono. Perché il pensiero dell'altro non è mio e il suo sentire non necessariamente corrisponde al mio mondo dei valori. Ma questo fa parte della vita e va accettato. Le nostre lamentele, i nostri pettegolezzi su come la gente "fa diversamente" da ciò che noi vorremmo e sentiamo dentro, potrebbero allora trasformarsi dalle frustrazioni in costatazioni di una naturale diversità. Sta a noi scegliere cosa di queste differenze ce ne faremo. Certi, come Gesù che ci parla oggi, che la sapienza (che è un deposito comune all'umanità), si farà la strada da sola, perché parla con e nelle opere. 

giovedì 9 dicembre 2021

la vicinanza


 

Mt 11,11-15

Preme tanto la vicinanza di Dio all'uomo. C'è un pre-cursore, che ci porta e ci trasporta ad immergerci nell'intimità Dio-uomo, quasi compiuta. Giovanni si fa spazio del "già e non ancora", dell'anelito, finché non nasca il più piccolo nel regno dei cieli, il Bambino. Perché Dio si è annidato già nella culla dell'attesa, grembo di una ragazza. E, "se lo vogliamo accogliere", Giovanni siamo noi, se leggiamo in lui il desiderio di Dio, quello di farsi prossimo e farsi uno con l'uomo. Per questo noi siamo al mondo: per farne esperienza ed essere luogo di incontro dell'uomo con Dio. Nell'invisibilità di un'esperienza che un giorno avrà il suo compimento.


martedì 7 dicembre 2021

Il SI della storia


Lc 1,26-38

Non si capisce bene se la storia finora è stata sterile o vergine...un popolo che attende da secoli, forse sterile in chi non spera più, forse vergine in chi, come Maria, continua a chiedere "maranathà!" Una storia che voleva essere madre...ma che non riusciva a generare il Salvatore. Fino a quando una vergine non ha risvegliato il cuore dell'umanità, capace di accogliere Dio, con il suo SI, tanto deciso quanto folle. Così io e te, sempre in attesa della sua venuta, sempre inquieti. Fino a quando il cuore non si apre e riapre per vederlo, incarnato per sempre nell'umanità, su tutte le strade della vita. E finalmente, con gli occhi verginali, riusciamo a vedere dovunque la sua presenza e il suo essere "tutto in tutti". E corre libero il Magnificat della storia.

sabato 4 dicembre 2021

le mappe della tua vita


 Lc 3,1-6

Quanto sono dettagliate le informazioni che ci fornisce oggi l’evangelista Luca, per contestualizzare l’inizio dell’attività pubblica di Giovanni il Battista. Davvero siamo sicuri che queste ci servono? Nella sola prima frase, abbiamo chiara l’immagine politica della Palestina. In mezzo a tutti questi nomi, quali: Ponzio Pilato, Erode, Anna, Caifa… che forse non ci fanno venire in mente niente di buono, si fa strada la parola di Dio. Essa però, stranamente, non viene in una città o anche qualsiasi altra località, ma raggiunge il deserto e in esso, Giovanni. Sembra che Luca voglia operare un’analogia con il Verbo, cui incarnazione ha appena raccontato e che avviene a Betlemme, nella piccolezza (cf Mi 5,1). Hai mai pensato all’analogia che tutto questo potrebbe avere con la tua vita? Oggi è il giorno in cui fare memoria del momento in cui hai fatto il tuo incontro, forse quello decisivo o forse il primo importante, con Gesù, il Verbo, appunto. Oggi è il giorno, in questo cammino che ci prepara alla sua nascita, di riprendere questo evento e fare come fa Luca. Puoi visitare con la memoria del cuore, le regioni della tua esistenza, per vedere come e da “chi” erano governate, domandarti su cosa stava succedendo nella “politica” del tuo vivere di quel periodo. Puoi infine individuare il punto, dove la Parola venne a visitarti. Forse scoprirai che anche in te e nella terra e nella storia che sei, Egli preferì andare oltre tutti gli ambiti conosciuti per nome, visitati, inquadrabili nella tua geografia, per impiantarsi in una tua periferia, in un qualche margine della tua persona. Sicuramente ti ricorderai questo primo amore e lo zelo che ne conseguì. Questo incontro produce sempre una sovrabbondanza che sfocia nel fervore, che anche a Giovanni ha spinto a camminare e gridare quell’Amore che sta per raggiungere tutti. Fai un secondo step. Guarda al presente. Dove sei oggi? Che posto ha in te e nel tuo cuore, Colui che hai incontrato con così tanta forza? In quale regione del tuo essere Egli dimora? Ha già preso possesso di tutto/a te stesso/a? Sei ancora disposto/a ad andare e dire con la tua vita la sua Presenza vivificante, rallegrante, totalizzante? Ricordati che nei momenti di stasi, di crisi, di ripensamento, nell’esperienza del non-senso, che sono in fondo tutti nomi dei “deserti” che attraversiamo nella nostra vita, la strada c’è. Ed è quella di ritornare all’Amore conosciuto, a Colui che sa raddrizzare, riempire, abbassare, spianare, che ti fa di nuovo vedere la salvezza. Nel nostro cammino di Avvento, non lasciamoci scappare la preziosa possibilità di tracciare la cartina generale della nostra vita presente. In primis quella geografica, per comprendere i luoghi che oggi hanno più bisogno di essere la culla del Salvatore, ma anche quella fisica, per sentire nel cuore quanto i nostri sentieri, burroni, monti, colli, vie, hanno bisogno di Lui.


martedì 30 novembre 2021

lasciare tutto per ritrovare tutto...

Mt 4,18-22

Non ha detto Gesù ad Andrea o a Pietro: guarda siccome io ti ho scelto, tu non puoi più essere pescatore. No, no! Tu, Andrea, Pietro, sarai ancora pescatore, perché questo è il tuo mestiere e va rispettato anche come una chiamata. Ma il tuo lavoro sarà trasformato dalla presenza di Dio, pescherai per lui! Quindi lascia le tue reti, per ritrovarle! Ne avrai di altre, per continuare a pescare. Da qui il nostro impegno secolare: trasformare tutte le realtà della nostra vita, compiendo ogni cosa per portare l'amore di Dio ai fratelli tra cui viviamo il nostro quotidiano, anche o soprattutto nel nostro lavoro, che spesso ci occupa la gran parte delle nostre giornate. Così, senza che nessuno se ne accorga, nemmeno noi, Dio potrà essere sempre di più tutto in tutti. La nostra missione d'amore verso il mondo sarà compiuta. 

lunedì 22 novembre 2021

un "tutto" limitato

Lc 21,1-4

Ed eccoci di nuovo nel Tempio con Gesù, di fronte al tesoro, ad osservare la gente. I ricchi, allora come oggi, sfilano per far vedere quanto denaro danno per il Tempio. Tuttavia danno poco, perché non danno quel che realmente potrebbero. La vedova viene e getta tutto quello che ha per vivere. E ci insegna una cosa importantissima. Lei dona tutto, proprio perché è consapevole di quel che ha e di quel che non ha. Non puoi dare tutto se non sei consapevole di ciò che possiedi e di ciò che non è tuo. La capacità di donare tutto/donarci tutti interi, si basa sulla presa di coscienza di ciò che abbiamo e di dove sia invece il limite e "la nostra miseria". Perché donando tutto, rendendoci conto che invece non siamo tutto, apriamo uno spazio di necessità di aiuto, di una mano, della reciprocità, della complementarietà... spazio in cui subentra l'altro, necessario al completamento del tutto, che io da solo non posso colmare. Ma posso certamente disporre del mio e dare tutto, quando mi rendo conto di quanto ho. E ovviamente non stiamo parlando del denaro, ma della nostra vita, delle nostre energie, dei nostri talenti. Nessuno di noi è chiamato a fare tutto, colmare ogni bisogno, altrimenti saremmo Dio (l'unico che tutto può). Allo stesso modo nessuno può esimersi dal dovere di donare se stesso e il massimo di sé, fin dove può. La storia e la storia della salvezza si compiono proprio così: nel quotidiano adempimento della "nostra parte", di quel "tutto" individuale limitato, che è necessario alla costruzione del mondo.

sabato 13 novembre 2021

il tempo da te definito


Lc 18,1-8
Spesso sentiamo dire dalle persone che conosciamo: "Dio vede questo e non fa niente", "Dio non c'è, altrimenti non permetterebbe tutto questo". Sono affermazioni curiose provenienti dal nostro mondo automatizzato e appartenente all'era dell'"oltre digitale". La nostra non è più nemmeno la logica del "premo il tasto e rispondo ad un bisogno". Questi ragionamenti appartengono all'epoca dell'assistente Google, il quale ci ascolta per rispondere al momento opportuno a ciò che pretendiamo da lui. Ha "visto", o più precisamente, ha sentito, e reagisce, senza riflettere, esaminare né rispettare i tempi opportuni. Sì, Dio non è Alexa e nemmeno Siri, da cui esigiamo quasi che sappiano i nostri pensieri e rispondano ad ognuno di essi. Dio scruta ed esamina i nostri bisogni e i nostri desideri, per rispettare il tempo in cui sapremo distinguere gli uni dagli altri e decideremo cosa davvero ci è utile e necessario. Ma Dio non ascolta tutto ciò passivamente, come una macchinetta che attende i comandi. E il Vangelo di oggi fa la giusta domanda: ci farà aspettare a lungo? La risposta sta dentro di noi. La risposta sta nel tempo della nostra fede, dunque, nel tempo che viene definito dalla nostra capacità di domandare e di fidarci. La risposta che arriva prontamente, è esattamente quella che arriva quando siamo pronti, quando il Figlio trova la fede sulla terra del nostro cuore, che grida giorno e notte a Lui. Perché solo un cuore che si rivolge continuamente a Lui, sa distinguere con sempre più precisione il bene da scegliere. E' un allenamento, questa libertà che altro non è che capacità di scegliere appunto il bene in ogni situazione. E allora i tempi coincidono alla perfezione, perché non sono più definiti dall'ansia del "tutto e subito",  ma dalla sapienza del "qui ed ora", tempo della fede, tempo di Dio. 





mercoledì 10 novembre 2021

il miracolo del cammino


Lc 17, 11-19 

I lebbrosi oggi ci insegnano con il loro esempio, una cosa importante. Se tu decidi di fermarti per vedere chissà quali meraviglie, ricordati: il miracolo è quando cammini. Quando tu cammini con la consapevolezza di camminare verso di Lui. E' nel movimento che il sangue scorre più velocemente, e avviene la purificazione di tutto noi stessi. E se tu pensi che, una volta avvenuto il miracolo, puoi stare comodo, ricordati: è solo un gioioso inizio.

Perché il tuo camminare deve produrre ancora molti miracoli, i passi dei piedi o i passi del cuore, non importa. Va' e torna. Muoviti. Mostrati grato, cioè disponibile al nuovo miracolo, perché riconoscente del fatto che non hai nulla di tuo, che sia in grado di compierlo, ma tutto ti è stato donato. 


 

martedì 9 novembre 2021

tutto posso

 Gv 2,13-22


E' una questione piuttosto semplice. Certo che tutto si può. Da tener presente però che ogni cosa ha un limite o ha dei limiti. Così è fatto questo mondo, così siamo fatti noi. E saperlo, saper definire il limite, si chiama consapevolezza. Non coscienza, cioè non solo l'essere presenti a se stessi, ma essere presenti e ragionare. Sapere che fin lì si può arrivare, e oltre no. Perché oltre non c'è quel che vorremmo che ci sia. Un limite non siamo noi a stabilirlo, ogni cosa che noi sperimentiamo nella nostra vita, ha già un suo limite. Possiamo provare ad oltrepassarlo, laddove questo è possibile e ragionevole. Ma non sempre. E la sapienza ci porta nella vita proprio nella direzione della comprensione di questo confine invalicabile. Alle volte però, non ne siamo in grado. Ed ecco entra in scena Gesù. Forse al Tempio si poteva pure tollerare la presenza dei cambiamonete, per i tributi che dovevano essere versati... forse... ma non i mercanti. Il limite. Certo che si può portare al Tempio ogni sorta di animale che magari poi sarà pure sacrificato, per venderlo, ci sono tante "giustificazioni" per farlo. Tuttavia non è il loro posto. Esiste un confine, che la gente non ha capito. 
Passiamo dunque al nostro tempio interiore. Si, possiamo metterci dentro ogni cosa. Possiamo far entrare, attraverso la porta dei nostri sensi soprattutto, qualsiasi cosa. Tante cose avranno pure delle valide giustificazioni. Ma dopo noi diventiamo, interiormente, un mercato: confusione, chiasso, conflitti, interessi, bancarelle che fanno a gara per vedere quale urla di più... tutto si può, davvero. Ma non sei più tempio. Non sei più luogo di incontro con Dio e luogo in cui amarlo e, perché no, anche sacrificare qualcosa per Lui. Sei un mercato, sei un caos, giustificato purtroppo non di rado proprio con la presenza di Dio (io questo lo faccio per usare i miei doni, quest'altro per avvicinare le persone al bene, corro perché qualcuno ha bisogno...ecc.ecc.). E nel frattempo siamo un pasticcio che, in quanto pasticcio, cioè un miscuglio di tante cose, contenitore di tante voci, non ha la sua identità. Non ti meravigliare, se viene quel giorno in cui il Signore decide di entrare, ma non è una visita esattamente piacevole, perché deve rovesciare e creare ancora più confusione, affinché tu ritorni a Lui, causa del rovesciamento e principio con il quale le cose tornano al loro posto, perché se Dio è al centro e al primo posto, tutte le cose nella vita tornano al loro posto.  

lunedì 8 novembre 2021

nel traffico della vita

Lc 17,1-6

Non dimenticherò mai le raccomandazioni del mio istruttore alla scuola guida, il quale spesso mi ripeteva: 
"ricordati che mentre guidi devi stare attenta a te stessa, a ciò che fai tu ma devi stare altrettanto attenta o ancora di più, a quello che fanno gli altri. Insomma, sappi che sempre, in ogni circostanza, anche quando l'altro ha torto, tu, se hai il senso di responsabilità, puoi evitare dei disastri". 
E non potevo non ricordarmelo oggi, alle parole di Gesù sullo scandalo: state attenti a voi stessi. In effetti, lo sappiamo, disgraziatamente, quante volte succede che degli autisti  semplicemente vedano delle persone in difficoltà le persone in strada oppure addirittura provochino degli incidenti e non si fermino, se ne vadano come se nulla fosse. E' forse questo il modo in cui "stare attenti a sé stessi"? Decisamente no. 
E nella vita? Ci pensiamo quante volte può succedere che, anche involontariamente, causiamo un "incidente" e ci passiamo sopra, come se niente fosse? Lo scandalo  non sta nel fare un incidente, se pensiamo che tutti siamo fallibili, ma nel fatto che passiamo oltre senza voler indagare sulle nostre responsabilità compiute o non compiute. Ma c'è di più: Gesù parla dello scandalo verso i piccoli. E in effetti è più facile ancora non accorgersi o far finta di nulla, quando abbiamo a che fare con i piccoli, di tutte le categorie possibili e immaginabili. I bambini "tanto non capiscono ancora", per cui spesso vengono esposti dagli adulti a delle cose pericolose, per non dire abominevoli, perché "cosa vuoi che capiscano?" I poveri, nemmeno li notiamo, ormai assuefatti all'abisso che spesso c'è tra la nostra vita e la loro. Ognuno percorre la propria corsia, non ci incrociamo, ergo: l'incidente non c'è. E l'incidente è proprio nel fatto che non troviamo un incrocio, una rotonda per tornare indietro e tendere la mano... Poi ci sono i poveri in spirito: siccome non pretendono, non alzano la voce, siccome spesso tacciono, non si lamentano, diventano loro "la nostra corsia", lo spazio sopra cui transitiamo con le nostre pretese, le nostre rivendicazioni, i nostri presunti diritti... I bambini sono sempre più feriti sin dall'infanzia, i poveri sono sempre più poveri, i deboli, i fragili, sono sempre più tali. E Gesù non mette nessun dolcificante, dice che chi, nel traffico della vita, non sa stare attento a se stesso e di conseguenza è colui che non bada a nessun'altro, non ha ragioni per vivere. In effetti, se ci pensiamo: la vita è un fluire di relazioni. Più stai attento a te stesso, più sei a contatto profondamente con te stesso, più sarai capace di relazioni con gli altri, più ti sentirai vivo e il "traffico" delle nostre vite, sarà più sereno e ordinato. 

sabato 30 ottobre 2021

in una frase sola

Mc 12,28-34 

Sicuramente tutti abbiamo partecipato alle volte in quelle discussioni in cui delle persone scambiavano dei pensieri e dei ragionamenti contorti, senza venirne fuori, senza trovare la soluzione, senza trovare un accordo... per giungere al punto in cui, come disse qualche persona saggia, arriva quello che non sa che in quella data situazione non ci sono soluzioni, e semplicemente le trova. Solitamente queste discussioni finiscono per essere concluse da questo "disturbatore" dell'andamento della discussione, con una espressione o una frase sola, per dire: le cose sono semplici. Ma non a tutti sta a genio questa cosa. Ci sono persino quelli che, di fronte ad uno che tende a semplificare la vita con i suoi ragionamenti diretti e limpidi, si incavolano, come se la persona che hanno davanti, in fondo non capisse l'importanza delle questioni sollevate. Ma non è così: spesso queste persone comprendono fino in fondo e sanno andare all'essenziale e per questo che sono come dei fari che quando si accendono, improvvisamente illuminano le situazioni e fanno vedere le cose che prima restavano invisibili.
Fa ridere come gli scribi nel Vangelo vanno da Gesù, chiedendo che lui riordini tutta la molteplicità di leggi minuziose da osservare, secondo la loro importanza. Ma Gesù, da Luce che è , va direttamente al sodo. Quel che è importante è semplice e racchiudibile in un'unica frase. Purtroppo per quelli che si immaginano di ricevere ancora un'altra norma che dia loro sicurezza e senso di adempimento, il semplice comandamento dell'amore, non dà sicurezze. Quel che è semplice, come ad esempio un bambino, quando lo consideriamo fino in profondità, interpella radicalmente la nostra libertà. Non moltiplicazione delle regole, dunque, ma la crescita nella libertà, verso quel compimento della legge di cui Gesù parlava l'altro giorno. Ed è la libertà interiore da tutte le rigide convenzioni, che permette di dare la snellezza alla nostra vita e ad essere costruttori di un futuro più limpido e meno complicato. Il comandamento semplice dell'amore, si esplicita non in tanti regolamenti, ma nelle scelte quotidiane del nostro cammino. 

mercoledì 27 ottobre 2021

questione di distanza

Lc 13,22-30

Ti è mai capitato di parlare in pubblico e avere davanti a te tanta gente? Se sì, capisci bene che non puoi ricordare e tantomeno conoscere tutte le persone che ti hanno ascoltato. Finché una persona non ti si avvicina, non ti mostra il suo interesse per fare una domanda, per un confronto, ecc, c'è una reale possibilità che tu non ti ricorderai di lei, se la incontri l'indomani. E' normale. La stessa cosa nei grandi eventi, dove si sta "insieme", ad esempio grandi rinfreschi, tavolate... finché non ci si ritrova l'uno vicino all'altro, per caso o appositamente, non ci si conosce. E questo esattamente pare essere il problema degli uomini del Vangelo di oggi. Vogliono dire a tutti i costi al Signore che lo conoscono, perché l'hanno visto insegnare nelle piazze, e perché hanno mangiato in sua presenza. Il problema è che non l'hanno nemmeno sfiorato, pur avendone avuto non una, ma più occasioni. Come vuoi essere riconosciuto, se non ti sei mai avvicinato veramente a Colui che dovrebbe essere la tua salvezza? Non è che Egli non vuole esserlo. Sei tu che l'hai guardato a distanza, l'hai visto, ma non l'hai voluto toccare, accogliere, non ti sei "sporcato di Lui". Ovvio che non sa di dove sei tu... c'è così tanta gente che lo guarda da lontano! E visto che Lui stesso ha detto di sé di essere la porta delle pecore, (Gv 10,7), ecco che ti dice di entrare per la porta stretta. Cioé che devi essere disposto a sentire questo passaggio, questo movimento di entrata. Sentire addosso a te, che non necessariamente sei delle stesse dimensioni della porta. Così solo sei costretto non solo a "sfiorare" ma anche a provare a trovare le tue dimensioni, stringendo di qua, spingendo di là... La porta larga crea spazi vuoti, parla di distanza. Quella stretta ti mette in condizioni di vivere a con-tatto con la salvezza, che si opera nella disponibilità di mettersi in gioco anche a costo di fare brutta figura, sembrare troppo grossi per la porta, sporcarsi il corpo con ciò che è diverso... abbattere insomma le distanze. Ecco da dove tu sarai conosciuto non solo dal Signore ma anche dagli uomini: se sei in grado di toccare e lasciarti toccare, senza più tenere quelle false "distanze di sicurezza", che ti tengono "al sicuro", ma sterile e incapace di relazioni, quelle quotidiane ma anche quella fondamentale, con Lui, che ti salva.




lunedì 25 ottobre 2021

la posizione eretta

Lc 13,10-17

Gli anni passano e nella nostra vita continuano ad esserci cose, sulle quali non abbiamo coraggio di "alzare lo sguardo"... O meglio, non è che non abbiamo coraggio, è che piuttosto non ci poniamo più la questione. Magari poi abbiamo attorno a noi anche delle persone che ci confermano nella nostra posizione "curva", come quella della donna del Vangelo di oggi. Forse è capitato più volte nella nostra vita che nel giorno, momento, circostanze, luogo, in cui avremmo voluto rialzarci, ci è stato sempre detto che era "sabato" e in quel dato momento non era il caso di prendere le decisioni, di prendere insomma in mano la nostra vita e cambiarla. 
Così si giunge a vivere con lo sguardo rivolto verso il basso. E se dicessimo: "basta!" ? Forse è proprio oggi quel giorno, quel sabato, appunto, in cui il Signore viene a guarirci e attende che, invece di ascoltare tutte le voci (quelle interiori e quelle esteriori), che ci confermano nell'impossibilità più o meno assoluta di alzare lo sguardo, di "raddrizzarci", di risorgere. Vivere da risorti si può quando decidiamo davvero di non continuare più a piegarci davanti alle nostre debolezze o sensi di colpa di fronte alla vita o alle persone. Oggi è il giorno in cui posso cambiare davvero la mia vita, oggi di nuovo Gesù passa accanto a me per guarirmi e rendermi dritto. Non importa che tutti mi dicano che in questo momento, tempo e con queste persone non è possibile. Sono io che ho la responsabilità per la mia vita e io decido quando rispondere all'invito del Signore che mi vuole in posizione eretta, con lo sguardo rivolto verso di Lui, verso l'alto. Non c'è legge umana che regga, di fronte alla possibilità che abbiamo, di risorgere ogni giorno. E chi ci dice il contrario, è bugiardo e non lo si deve ascoltare. Chi non mette sopra ogni cosa la vita dell'uomo e la sua vita in pienezza, non ha capito per cosa è venuto Cristo sulla terra. Con questa certezza domandiamoci oggi: qual è la mia gobba? Da cosa Dio vuole rialzarmi, in cosa raddrizzarmi? Cosa mi impedisce di lasciarmi toccare da lui? Quale legge del sabato metto prima della mia dignità di persona? Perché permango nella convinzione che sono mento importante delle leggi che non hanno nulla a che fare con l'amore? Siamo chiamati a vivere nella posizione eretta, lasciamoci raddrizzare da Colui che si è alzato persino dalla tomba, per darci la vita piena. 

domenica 24 ottobre 2021

chiamare per nome


Mc 10, 46-52
Una magra illusione, quella di vivere convinti che possiamo sempre fare tutto da soli. Forse un'illusione che viene da lontano, che per alcuni di noi resta come residuo dell'essere dovuti sempre apparire come bambini super efficienti, capaci, pronti a cavarsela in ogni situazione, anche se essa dovesse comportare un livello di stress difficilmente sopportabile. 
Ed ecco che alle volte ci viene difficile dire: "non ce la faccio". Piuttosto siamo portati ad affermare: "è impossibile". C'è una piccola trappola in tutto ciò. Non volendo affermare di non essere capaci di affrontare una cosa, veniamo allo scoperto lo stesso, in quanto il dire "è impossibile", è già l'affermazione del nostro limite personale. Eh si, perché vedere che invece un altro a posto nostro se la cava, alle volte ci punge interiormente. 
È impossibile che un cieco guarisca. Specialmente nei tempi di Gesù. Non c'erano oculisti che potevano visitarlo... ma sappiamo anche che pure oggi la cecità fin dalla nascita spessissime volte è irreversibile. È impossibile... è affermazione del limite dell'uomo anche senza che l'uomo lo sappia. A cosa serve dunque che Bartimeo gridi: "voglio vedere", se sa che è impossibile? Molto semplice. Saper chiamare per nome il nostro limite, è quel movimento di discesa verso la verità profonda di noi stessi, in cui finalmente la grazia di Dio è "autorizzata" non solo ad operare ma anche a compiere i miracoli! L'autosufficienza viene vinta dall'onnipotenza di Dio. "È impossibile" viene soggettivato e passa ad essere "io da solo non posso, ho bisogno di te". L'uomo torna alla sua prima e originaria e unica ammessa dipendenza: da Dio. E SUBITO torna a vedere, cioè ad essere sano, così come era uscito dalla mano di Dio. È l'effetto della capacità di chiamare per nome la propria condizione, di non averne paura. Si torna un po' in paradiso, dove all'inizio l'uomo non aveva paura, si torna ad essere ciò che si è.


martedì 19 ottobre 2021

aspettare e aprire

Lc 12,35-38

Che stanchezza al solo pensiero che dobbiamo stare sempre vigilanti! Essere sempre svegli, stanca e stanca molto. Ma stanca solo coloro che vivono la necessità di vegliare come obbligo o per paura. Cioè quando non c'è di mezzo l'amore. 
Quando ami, tu sei abituato a vigilare. E non sto parlando di quell'innamoramento che ti occupa completamente la mente, per cui non sei capace di pensare ad altro che all'oggetto del tuo affetto. Questa, in ogni relazione, è una fase che termina, e relativamente presto. Amare, lo sappiamo, è scegliere ogni giorno la persona amata, nonostante e al di là di tutto. Per fare questo, chi ha fatto esperienza del vero amore, sa che c'è bisogno di essere sempre presenti. In primis a se stessi, poi all'altro. E diventa un'esigenza del cuore, una condizione di vita, perché, con tutti alti e bassi che possono esserci nella nostra vita, l'amore si esplicita e cresce proprio nella nostra consapevolezza di quel che succede dentro e attorno a noi. E allora l'amore diventa non soltanto servire ma anche essere serviti, perché con gli occhi aperti, come lampade accese, noi sappiamo scorgere tutti i regali che Dio o gli altri, ci fanno. Cioè diventa reciprocità percepita, sia di giorno, quando le cose si vedono con chiarezza, che di notte, quando facciamo fatica a prendere le misure e a vedere. E scopriamo che Dio sta sia nei "giorni" che nelle "notti" della nostra vita, perché lo stile di vita da "vigilanti" è proprio stile dei risorti, gente capace di vedere la vita vera ovunque e in qualsiasi pagina, anche la più buia, della nostra storia. 
Aspettare e aprire, due verbi importanti del Vangelo di oggi. Aspettare certi al 100% che Dio c'è e questo basta. Aprire sempre, perché è dalla nostra libertà che dipende la possibilità del suo passaggio non solo nel nostro cuore ma anche nel mondo a cui siamo inviati. 

giovedì 14 ottobre 2021

Dio che si fida di te


 

Lc 12,1-7

E' un Vangelo con tanti cuoricini, quello di oggi. Gesù, pur usando il tono di raccomandazione e di allerta per certi versi, sta mostrandosi tenero e premuroso. Anzitutto chiama i discepoli amici. Forse questa parola è oggi molto sottovalutata e usata a sproposito talvolta. Sembra che con chiunque non ci ritroviamo, siamo già amici. Su Facebook, abbiamo "le amicizie"... spesso si attivano alcune "amicizie", quando abbiamo dei bisogni particolari. Ma cos'è secondo te l'amicizia? Oppure, cosa desidereresti che fosse amicizia? Che tipo di relazione, legame? Alle volte penso che nella possibilità dell'amicizia è nascosto un tesoro unico e irripetibile: un'opportunità di stabilire un rapporto con l'altro/a talmente profondo, da appartenersi vicendevolmente ma non essere schiavi l'uno dell'altro. Per noi cristiani, l'amicizia potrebbe significare anche quel tipo di condivisione di vita in cui ci si sente come in un grembo, dove si può essere e dire tutto quel che si è e si sente, e tutto rimane lì per essere offerto al Padre come dono che viene e a Lui torna. Questo probabilmente è ciò che Gesù intende quando chiama i discepoli amici. Intende quelle persone a cui può raccontare nella verità sia il positivo che il negativo, sia le luci che le ombre, perché sa di avere a che fare con la gente che si fida di lui e... dimostra di fidarsi anche Lui di loro. Dunque, è un Dio che si fida dell'uomo. Del resto la stessa sua incarnazione dice già questa fiducia. Penso sempre che la capacità di Gesù di fare la "danza" di avvicinamenti e allontanamenti, parla di un'incredibile equilibrio relazionale che solo in Dio troviamo in pienezza, ma anche nell'amicizia fondata su di Lui, possiamo costruire e percepire. Infine, la tenerezza di Gesù si manifesta in questo brano, quando ci ricorda il nostro valore. Noi valiamo molto, se Dio si fida di noi, veramente tanto. E' che alle volte non sappiamo ricordarcelo, non cerchiamo questo Dio che ce lo ripete tutti i giorni, che siamo preziosi. Evidentemente Gesù ci dice oggi di non temere, proprio per confermare queste verità su Dio: è nostro amico, si fida di noi, siamo preziosi ai suoi occhi. E non importa quanto piccoli o quanto insignificanti come passeri, ci sentiamo. 

 

sabato 9 ottobre 2021

un parto soprannaturale

 


Lc 11,27-28

Leggendo il Vangelo di oggi, occorrerebbe domandare alle donne che sono madri, qual è il compito secondo loro più importante e quale quello più arduo per una madre. La donna che grida dalla folla verso Gesù, mette in risalto la benedizione che è scesa sulla sua madre, col solo fatto di esserlo biologicamente: grembo che l'ha portato e seno che l'ha allattato. E noi, che conosciamo chi è la mamma di Gesù, Maria, sappiamo quanto lei sia stata cosciente di questa benedizione. Ma sappiamo anche quanto Ella sia rimasta attonita e stupita davanti alla vocazione ad essere la Madre di Dio, sappiamo quanto non se ne sentiva all'altezza. Probabilmente Maria aveva in parte coscienza e in parte intuizione, che appunto il suo compito verso il Figlio di Dio, quel Compito supremo, non era affatto darlo alla luce e farlo crescere, ma qualcos'altro. 
Maria, quando suo figlio è cresciuto, ha sofferto tantissimo per lui. Specie all'inizio per la sua mancanza, per la mancanza delle notizie su di Lui. Ma probabilmente il parto più grande e più doloroso, era quello interiore, dell'accettazione del compimento della Parola di Dio su di Lui. Ecco cosa risponde il Signore alla donna: beati coloro che ascoltano la Parola e la osservano. Beati coloro che si concentrano su ciò che Dio opera nella loro vita attraverso la sua Parola, che non si soffermano solo sul livello materiale, ovviamente necessario e "primario", ma sanno elevare anche la relazione così stretta, come quella materna, ad un livello diverso. Ognuno di noi infatti è madre di Dio, nella misura in cui è in grado di cercare e di trovare la Presenza di Dio nella propria vita quotidiana. A cosa pensa una mamma, infatti, se non al proprio figlio, tutti i giorni? Ecco la nostra chiamata. Essere madri di quel dio che abita il nostro mondo e la nostra storia, alle volte di nascosto, altre volte manifestamente, ma che dispiega la sua presenza nella Parola che trasforma verso il bene la nostra esistenza. Perché la Parola di Dio è sempre quella che ci spinge al bene e alla costruzione del mondo. Ecco, questa va osservata, per la beatitudine "materna" che Gesù oggi ci presenta. 






lunedì 27 settembre 2021

le connessioni

 


Lc 9,46-50

Non so se ti fermi mai a pensare a quest'ultima frase di Gesù del brano del Vangelo di oggi... chi non è contro di voi, è per voi. Pensa a una persona/un gruppo di persone con cui non ti sei mai sentito in sintonia o con cui hai perso la sintonia. Spesse volte viviamo la modalità di rapporto con loro come per costrizione, con una netta sensazione di un separé in mezzo. Dunque, anche se fanno o o dicono qualcosa, anche una sola cosa, su cui siamo concordi, comunque non gli diamo più la possibilità di ripresa di relazione. Esattamente così i discepoli nel brano del Vangelo. Ebbene, il Signore ci insegna l'esatto contrario. E probabilmente molti moralisti, ne restano scandalizzati, come quando egli si sedeva con i peccatori a tavola. No, Gesù non è ipocrita, che si schiera con chi gli è più comodo, nel momento in cui gli è comodo. Gesù ci fa vedere come trovare le connessioni. Viviamo in una cultura segnata da secoli dalle differenziazioni, dall'andare sempre più nel dettaglio, creando tanti gruppi e sottogruppi, basta guardare anche la stessa politica che fatica a trovare punti di connessione o a metterli in risalto per il bene comune. Le differenze sono da sempre e  per sempre ricchezza, ma solo ed esclusivamente, se nella differenza riusciamo a sottolineare il bene che ci lega, e a camminare nella fratellanza, facendo risaltare ciò che ci unisce, al di là di ciò che ci separa gli uni dagli altri. Perché, come spesso ci diciamo "è tutto collegato", perché crediamo che tutto viene da Dio e a Lui deve ritornare, per cui il principio di vita, se lo seguiamo, potrà portarci a quegli agganci che ci permettono di regalarci e di condividere le forze che abbiamo. Specie questi ultimi difficili tempi, ci mostrano quanto siamo deboli su questo punto, ma quanto, mettendo in comune ciò che siamo e abbiamo, possiamo davvero far prevalere le connessioni. E questo fa sì che il nemico torna ad essere amico, perché l'esperienza di poter costruire insieme, anche su quell'unica virgola che ci accomuna, si trasforma nel comune sforzo di crescita. E questa esperienza cambia davvero la vita, facendoci sperimentare che da soli, gli uni senza gli altri, non andiamo da nessuna parte. 

martedì 21 settembre 2021

tu non stai bene...

 

Mt 9,9-13

Cosa rispondi quando ti chiedono come stai? Non nascondiamolo: di solito anch'io rispondo bene, bene. Ci sono quelle volte che so che sto mentendo. Ci sono contesti in cui non ci si dilunga sul proprio ben o malessere. Ma resta vero che siamo abituati a mostrarci forti, non bisognosi di sostegno, autosufficienti, resistenti, combattenti ecc ecc. Élite insomma. La crema del mondo. Ma poi ci sono i cuori spezzati, le lacrime notturne e anche diurne, le battaglie portate avanti in silenzio, le violenze di qualsiasi tipo, subite... Va bene o non va bene così? Come sarebbe se ogni nostro dialogo iniziasse dallo scambio sul nostro stato d'animo? Come cambierebbero i dialoghi stessi, se, io che dialogo con te, ad esempio sulle cose del lavoro, sapessi che tu non stai dormendo da un po' di tempo per una preoccupazione o se tu, parlando con me di altre cose, sapessi che vivo delle sofferenze in famiglia? Non sarebbero degli scambi più umani? Tipo: prima di parlare di altro, diamoci due carezze, sentiamoci vicini. Ma ciascuno di noi ha anche fatto esperienza di essersi aperto con qualcuno che non sapeva far tesoro della nostra apertura, ci siamo feriti, per questo oggi preferiamo dire, come di consueto: tutto bene, grazie. Siamo abituati che certe cose non si fanno o non si dicono. Schemi prestabiliti, trasmessi dalla società. Ed ecco Gesù che rompe gli schemi. Non chiede nulla a nessuno ma va direttamente da quelli che sono i "malati" della società. Loro non possono dire che stanno bene, perché la loro condizione è pubblica, quindi non hanno scuse, restano allo scoperto, sono vulnerabili. E Gesù assicura a coloro che gridano allo scandalo, che no, non si è sbagliato, è venuto sulla terra proprio per loro, perché non sanno e non possono nascondere il loro malessere. Così viene anche da noi. Ovvio, questo solo se vogliamo definirci malati e in giornata intrattenerci con Lui che ascolta e ama le nostre fragilità. Si, è così, tu non stai bene e io non sto bene. Ma siamo sicuri che Lui è con noi. E poco importa cosa pensano gli altri. Se non ammettiamo di essere malati, non possiamo ricevere l'amore che è cura gratuita, che è un ricevere senza avere in cambio nulla. Ricordati, sei chiamato perché sei malato.  







sabato 11 settembre 2021

un ascolto che scava

 


Lc 6,43-49

Nel brano di oggi mi colpisce particolarmente un'espressione, usata da Gesù. Egli dice che chi ascolta le sue parole è come se stesse scavando molto in profondità per porre le fondamenta e poi costruire la propria casa. Scavare nella profondità della roccia, è un lavoro molto molto arduo, che richiede tanta forza e tanta perseveranza, oltre che tempo. Quasi un lavoro impossibile, assurdo e irrealizzabile da soli. Precisamente come quando come ci mettiamo a scavare nel nostro cuore. Ci passa la voglia, ci perdiamo in mezzo ai nostri pensieri, desideri, emozioni, sentimenti. Non sappiamo da quale punto iniziare, ci disperiamo, magari riusciamo a scavare un pochino, dopo però ci sembra di nuovo troppo dura, ci tiriamo indietro, ci diciamo "ora basta", oppure ci facciamo a un certo punto la convinzione che "è sufficiente" così e ci accomodiamo su ciò che abbiamo "raggiunto". Fino alla prossima ondata violenta del fiume, di qualcosa che ci investe fortemente dal di fuori, che ci mette in discussione, che ci crea un'interiore "scomodità". Allora appare il bruciore interiore, qualcosa vacilla, nascono emozioni improvvise, quali rabbia, sconcerto, sorpresa. Segno che qualcosa non è stato approfondito sufficientemente. Allora forse si ricomincia a scavare un po' di più. Oppure no. Si può anche far finta di nulla, lasciar passare l'emozione e andare avanti facendo finta di nulla, fino alla prossima ondata. La casa della nostra vita, pur dando apparenza di stabilità, sarà sempre più o meno vacillante, ci piaccia o no. Ma si può rafforzare, se abbiamo la tenacia di andare in profondità, scavando. E al contrario, si può indebolire se non lo facciamo. 

Ci sono tanti modi di vivere la nostra fede. Ne voglio sottolineare 4. Ci sono persone che hanno sempre Dio e il Vangelo sulla bocca, ma la vita è un'altra cosa, purtroppo. Poi ci sono quelli che parlano di Dio e la loro vita è coerente con ciò che dicono (nel limite dell'umano ovviamente). E ancora abbiamo quelli che di Dio non parlano o quasi mai. Tra di loro quelli che non ne parlano perché non lo considerano e quelli che non ne parlano, perché la loro vita ne parla sufficientemente. Qual è la modalità giusta? Non lo so, dato che poi ci sono anche tante altre modalità, sfumate. Ma mi sembra di capire che, se è come dice Gesù oggi, che ognuno dal tesoro del proprio cuore trae ciò che è coerente con la sua vita, allora molte parole in realtà non servono, perché vengono comunque risciacquate dalle onde del fiume in piena. Mentre se con l'ascolto della parola del Signore, stiamo scavando abbastanza, allora prevale proprio quello, l'ascolto, e quello dà frutti visibili. 

martedì 7 settembre 2021

chiamati per nome



Lc 6,12-19


Un elenco di nomi. Noioso. Non appena vediamo un elenco di nomi, ci viene da pensare che quello che abbiamo davanti è una cosa noiosa, un'ennesima pila di documenti o quant'altro. L'evangelista Luca ci propone un elenco, quello dei nomi dei dodici apostoli, i primi 12. Il fatto che siano stati i primi inviati, può in parte spiegare, perché sia importante riportarne i nomi. 
Ma forse c'è una ragione più importante ed è la preziosità di ciascuno di noi. Dio chiama e invia ciascuno di noi, ognuno per una missione che è sfumatura diversa dell'amore di Dio verso l'umanità. Per questo ognuno di noi è pensato, amato e chiamato precisamente per nome, non come massa o come appartenente ad un determinato gruppo o famiglia. Per nome. Ti chiama per nome, ti dice il suo amore, ti dice il suo amore da portare nel mondo. Ti guarda, ti ama e ti chiama. Non potrai perderti se non nel suo sguardo. Vai, scopri la sfumatura dell'amore di Dio che sei, portalo nel mondo!

venerdì 3 settembre 2021

Liberi o schematizzati?

Lc 5, 33-39

"Si è sempre fatto così". La fatidica frase che deve rivendicare un presunto bene, diventa rivelatrice di un rischio tanto grande quanto subdolo... Comode le nostre sicurezze: chi ce le tocca? Tutti digiunano, anch'io digiuno, anche tu devi digiunare, siamo a posto. Non importa se è momento giusto, che cosa è bene per una singola persona...lo facciamo tutti e così "siamo al sicuro". E così, andiamo avanti, tanto si è sempre fatto così e siamo convinti dentro di noi che la sicurezza ci verrà da questa ripetizione infinita degli "schemi salvifici". Poi però ci lamentiamo, perché le giornate sono tutte uguali, perché non arriviamo mai a nessun "dunque" nella nostra vita... Anche questa può essere quella che Papa Francesco chiama la vita da "divano", rischio tanto per le nuove che per le vecchie generazioni. E se decidessimo di liberare questi nostri due muscoli fondamentali: il cuore e il cervello? Se cominciassimo ad allenarci ad usarli costantemente, per leggere i segni dei tempi, per mettere in moto una carità creativa? Se invece di ripetere gli schemi, laddove essi risultano obsoleti, cominciassimo a fermarci, da soli o meglio ancora, insieme, per vedere cosa è che oggi ci chiede la vita? Forse non ci chiede il digiuno...forse appunto finché lo Sposo è con noi, non c'è da digiunare, ma da stare consapevolmente al cospetto del mondo, del prossimo e della vita. E questo comporta la capacità di pensare ogni volta che si fa una scelta: perché saper scegliere il bene non è scontato, ma è espressione della massima libertà, il più bel regalo che Dio ci fa. 

mercoledì 1 settembre 2021

il male che parla di Dio


 

Lc 4,38-44

Leggendo e rileggendo la Parola di oggi mi colpisce vedere su cosa si concentra Gesù. Entra nella casa di Simone e, vedendo la suocera sofferente, comanda alla febbre. Successivamente, guarendo molte persone, minacciava i demoni. Non si rapporta (e non considera un problema), la persona in sé. ma la malattia, il male. Questo è già un grande insegnamento per noi, per quei momenti in cui, per via di una "malattia", difetto, incomprensione, differenza, ecc., abbiamo la voglia istintiva di "buttare via" tutta la persona, tutta una relazione. Il Signore ci insegna che la persona è preziosa, che ha un valore inestimabile, che è stata salvata da Lui. Quel che Egli fa oggi è separare la persona dal suo male e guarire il male, per aiutare la persona ad essere se stessa. Un compito tutto cristiano, non pretendere la perfezione e comprendere, a partire dallo sguardo introspettivo su noi stessi, di non essere tutti feriti e "malati" di qualcosa. E, paradossalmente, sono proprio questi lati bui della nostra vita, che parlano di Dio e della necessità di accogliere la sua salvezza in ogni angolo della nostra vita e della nostra persona. Se facciamo questo cammino, allora saremo capaci di accogliere, sebbene spesso con fatica, gli altri, portatori di "malattie" e disfunzioni. I demoni chiamano Gesù svelando la sua vera identità, esattamente così come le nostre difficoltà e problemi, che sono lì in attesa di incontrare la salvezza, nella quale Dio si rivela quello che è, perché se non avessimo lati negativi, non avremmo bisogno di Lui e della sua salvezza. La preziosità della persona umana sta infatti non nella mancanza dei difetti, ma nella capacità di accogliere Dio e la sua azione, che svela il lato buono e bello di ogni cosa. 

lunedì 30 agosto 2021

partendo dal ciglio

 

Lc 4,16-30
Grosso modo, tutti conosciamo questa dinamica. Non tutti vogliono sentirsi dire alcune delle cose che gli altri pensano. Anche ciascuno di noi che oggi riflettiamo su questo Vangelo, certe cose non vorrebbe sentirsele dire. E probabilmente, specie a chi ha il ruolo di vegliare sugli altri, di guida di qualsiasi tipo, molte volte non vorremmo dirgli determinate cose, che sappiamo possano toccare in profondità l'altro e suscitare reazioni non prevedibili. Così Gesù. Parla di sé, suscita ammirazione. Dopo svela alcune dinamiche finora intoccabili, in più appartenenti ad un passato che era sacro per il popolo d'Israele. Il passato, a noi noto dalle pagine dell'Antico Testamento, che parlano ad esempio della storia di Elia (cf. 1 Re 17), che lasciava già presagire quelle che sarebbero state le logiche realizzatesi poi con l'incarnazione di Gesù. Nel caso specifico riguardanti la fede dei piccoli, dei poveri, dei pagani,  a cui viene mandato il profeta, perché sono gli unici che sanno accogliere la parola di Dio, che viene attraverso quel profeta. Queste parole sono dure per chi basa la sua fede sull'osservanza e rimane nella certezza che così si salva. Gesù puntualizza proprio questo e suscita scandalo. Tanto che lo portano sul ciglio del monte e vogliono spingerlo giù. Ma la forza del vero profeta, quello che agisce in vera fede e per amore, sta proprio lì. Egli parte dal ciglio del monte, da quell'istante in cui gli può sembrare che la sua profezia e il suo proclamare la Parola, è stato vano e non è stato accolto e anzi, lo porta verso la morte. Egli sa che capitano tanti di quei cigli del monte, quando si sta per cedere, per essere spinti giù, solo perché si cerca l'autenticità. Sa e non si lascia scomporre, la sua fede in Dio gli dà la forza per passare ancora in mezzo alla folla furiosa e andarsene. Sa che Dio è con lui e che la sua vita finisce spesso al ciglio, ma questo diventa come un punto di ripartenza, secondo quanto fece Gesù: passando in mezzo a loro, si mise IN CAMMINO. 
Dunque il cammino riparte da lì. Così è il cammino di chiunque cerchi sinceramente l'autenticità.  

martedì 24 agosto 2021

il tuo albero di fichi

 

Gv 1,45-51

Il brano del Vangelo di oggi ci può servire a ricordarci spesso una cosa essenziale. E cioè che per primo e in ultimo è sempre il Signore che ci guarda, il suo sguardo d'amore, collocato proprio laddove siamo collocati noi, sotto qualsiasi nostro albero di fichi, è già con noi. Tante volte sono gli altri che ci chiamano, che ci vogliono dare un nome, un'identità, cose talvolta molto belle, ma che non possono nella vita essere un riferimento ultimo. Anche a me e a te il Signore dice oggi: ricordati, che in mezzo a tutte le chiamate, prima che chiunque ti abbia conosciuto e amato, io ti avevo già visto. Il mio sguardo ti ha dato vita e identità. Ti vedo anche oggi in qualsiasi tuo luogo, anche quello più indesiderato o insignificante. E lì, al di là di tutto e di tutti, TI AMO! 

domenica 22 agosto 2021

non devi nulla



Gv 6,60-69

Ancora una volta sperimentiamo quanto sia importante per Dio sottolineare il dono più grande che Egli ci ha fatto, creandoci. I discepoli nel brano che ci viene proposto, sono molto diretti e sinceri. Davvero da ammirare che non stanno lì a fingere, a fare i bravi bambini. La parola che sentono è dura e incomprensibile per loro. E lo dicono. Ma invece di porre le domande e mettersi in ascolto, mormorano tra di loro. Questo spesso è segno di chiusura. Cioè io non capisco e quindi ciao, chiudo la porta e basta così, non mi rompere le scatole. Eventualmente brontolo che così non va bene. Sentimenti che ciascuno di noi ha sperimentato più volte, chiusure che anche noi stessi abbiamo operato più volte nella nostra vita. E Gesù puntualmente va a smascherare con altrettanta schiettezza, quello che succede nei loro cuori. Tra di loro ci sono alcuni che non credono e comunque vari sono scandalizzati dalle sue parole. La possibilità di confronto c'è. L'apertura che può seguire alla sincerità, crea spazio per domande, riflessioni e approfondimenti. Gesù con la sua risposta che non migliora le cose, gli fa capire che il mistero è sempre mistero, ed è possibile che sia oltre la nostra portata, ma che è proprio la fiducia in Lui che cambia le cose, l'apertura alla sua presenza disponibile al rapporto alla pari. 

Chi si mette alla sua sequela deve sapere come stanno le cose, deve sapere che alla risurrezione non si arriva diversamente che tramite una croce, a volte piccola, altre volte grande. Gesù ripete ancora una volta che siamo liberi e non dobbiamo nulla, non siamo costretti, Lui non è un ricattatore, lascia fare quel che noi desideriamo fare. Ci sono domande che per tanto tempo possono essere inespresse, ma che Dio prima o poi ci farà, in qualche maniera. Ciò che dovevano chiarirsi dentro i Dodici, gliel'ha sintetizzato in una domanda il Signore. Volete andarvene anche voi? La risposta non sta nemmeno necessariamente nelle riflessioni di Pietro, che seguono. Essa sta nelle scelte concrete per Lui e con Lui o lontane da Lui, consapevoli che se stiamo con Lui, ci aspetta sicuramente un po' di salita. Una salita che vale la pena affrontare. Dio non conosce compromessi. Lui conosce solo le esigenze dell'amore, perché è Amore. Ma precisamente questo amore che ha voluto condividere con l'uomo, fa sì che Egli ci lasci senza debiti verso di Lui, qualsiasi sia la nostra scelta. 


martedì 17 agosto 2021

sforzarsi di mollare


 Mt 19,23-30

Quanto occorre sforzarsi per ottenere la salvezza? Quanti meriti bisogna accumulare? Come calcolare tutto questo? Che misure prendere per piacere a Dio?
Queste precisamente sono le preoccupazioni dei discepoli del Vangelo di oggi. Pare che si siano fatti già degli schemini, dei loro calcoli, per essere sicuri di poter fare determinate cose e così entrare nel Regno dei cieli. Eppure... Gesù gli smonta tutto questo ragionamento, chiarendo subito che un ricco difficilmente entra nel Regno. E di certo non parla principalmente di un ricco nel senso materiale. Accumulare meriti, come si insegnava una volta, significa anche questo una ricchezza, che fa sì che "ingrassiamo" e siamo come quel cammello che non passa per la cruna di un ago. Accumulare può significare tante cose. Ma significa di certo una cosa di fondo: un'ipertrofia dell'avere, cioè un prevalere dell'avere sull'essere. Ed è spesso questo che ci impedisce la felicità, cioè ci disturba nel poter pregustare quel Regno che è presente tra noi da quando Dio si è incarnato. Se teniamo presente che la sua incarnazione è in funzione della salvezza, sappiamo che non servono i nostri sforzi per essere salvati, ma solo la risposta, la corrispondenza della nostra vita al dono della salvezza che ci è stato già fatto. E la risposta migliore è rivestita di gratitudine. Gesù spiega con chiarezza che da soli non possiamo nulla, ma per Dio niente è impossibile. Lasciare, non accumulare, è la risposta al dono della salvezza. Lasciare che Dio ci ami, lasciarci amare. Lasciare da parte i nostri calcoli, i nostri giudizi, su noi stessi e sugli altri. Lasciare tutto quel che ci viene da accumulare, pensieri che occupano la nostra mente, sentimenti negativi che avvelenano la nostra vita, per avere un cuore libero e disponibile ad essere riempito di tutti i doni che Dio ci fa ogni giorno. A Dio noi siamo cari esattamente così come siamo, gli piacciamo proprio così, altrimenti non ci avrebbe salvati morendo per noi sulla croce. Tocca a noi saperci amare come ci ama Lui, riconoscendo che senza di Lui non possiamo nulla, ma con e in Lui, ogni nostra piccola quotidiana risposta alla sua salvezza, l'accettazione della nostra vita così com'è con ogni gioia e ogni dolore, diventa salvezza compiuta, per noi e per il mondo. Alcuni santi lo chiamavano "abbandono", quell'atteggiamento di mollare le difese, atteggiamento di riconoscimento che, grato per la salvezza ricevuta, risponde con la consapevolezza della propria piccolezza, infinitamente amata.





lunedì 9 agosto 2021

accesi o spenti?


Mt 25,1-13 

Non leggi anche tu qualcosa di strano in questa parabola? A me fa l'effetto quasi di imbarazzo o comunque mi ci soffermo e dico: mah, strano tutto ciò. Lo sposo prima tarda, poi non aspetta le ritardatarie e gli chiude la porta. Le vergini cosiddette sapienti, si fanno esclusivamente i fatti loro senza pensare ad aiutare le altre. Quelle che stanno lì aspettando senza olio... stendiamo un velo pietoso. 
Una serie di situazioni paradossali per noi che ragioniamo per logica e in maniera lineare. Certo, per capire meglio quello che l'Evangelista Matteo ci propone, bisognerebbe comprendere meglio le usanze del tempo e della sua cultura e magari allora si spiegherebbero molte cose. Tuttavia il nostro sguardo va più in profondità, nella profondità della nostra vita. Lo Sposo che tarda possono essere tutti i nostri piani che non si realizzano secondo il calcolo matematico da noi predisposto, che fanno i conti con gli imprevisti. Quando chiude le porte a chi non ha l'olio, è perché la vita non obbedisce a noi e ci vuole trovare pronti, perché il Signore passa laddove e quando meno ce l'aspettiamo. Le vergini sapienti possono essere tutti quegli aiuti che ci aspettiamo ma che non riceviamo, possono generare la delusione, ma ci ricordano le nostre responsabilità e ci restituiscono il fatto che siamo noi ad essere i primi responsabili per la nostra felicità. Infine attendere senza olio... fa pensare a un certo "tipo di fede", vissuta in attesa della salvezza che ci cade addosso, cioè quel "Dio ci penserà" detto senza impegno e con la pretesa di essere graziati in automatico. Ecco dunque la scelta: vivere spenti, cioè sempre in attesa di qualcosa che non arriva, senza attivarci, senza vigilare, senza gustare la dinamica della vita, e quindi esporci al non-senso. Oppure vivere accesi: vigilanti, flessibili, pronti a cogliere il bello in ogni cosa, pronti a raccogliere l'opportunità anche in mezzo alle difficoltà, con i piedi sempre in cammino, per andare verso le nozze, già qui in terra e poi quelle eterne. E il pensiero va inevitabilmente verso Edith Stein che la Chiesa festeggia oggi, patrona d'Europa. La sua esistenza sempre contrastata e martirizzata, eppure splendente, infiammata d'amore per Dio e per i fratelli. Vita infiammata che finisce trasformando il suo corpo in cenere, per amore. 






giovedì 29 luglio 2021

l'eterna relazione

 



Lc 10,38-42

Ho scelto per la meditazione di oggi il brano di Luca invece di quello di Giovanni. Infatti questo Vangelo lo conosciamo quasi a memoria, come pure il detto sulla parte migliore, che Maria aveva scelto rispetto a Marta, che, secondo la logica, avrebbe invece preferito la cosa meno nobile. A prescindere dal fatto che non è esattamente quello che Gesù vuole dire, mi colpisce oggi un'altra cosa, di Marta e cioè la sua paura della solitudine. Quel che ella dice al Signore, non è solo un rimprovero, ma è anche la parola disperata di una donna che si ritrova sola. E usa proprio questa espressione si essere lasciata sola. Come sempre nei nostri discorsi, la colpa è dell'altro, in questo caso di sua sorella. Marta, come la maggior parte di noi, non sa parlare dei suoi sentimenti senza incolpare qualcuno, per cui invece di dire mi sento lasciata sola, dà la responsabilità a Maria. Ma è un tentativo disperato di avvicinare qualcuno che possa capirla, che possa esserle di sostegno nel momento in cui sente di non avere nessuno accanto a sé. Sotto sotto molte delle nostre uscite di questo genere, hanno proprio l'anelito alla relazione, ad essere capiti, amati e ricercati. Ed è tutto normale, finché ne abbiamo la consapevolezza e finché vogliamo prendercene responsabilità. E' la grande verità sulla natura umana: non possiamo essere soli, perché siamo degli esseri in relazione, protesi verso l'altro. Per questo la minima percezione della solitudine corrisponde in noi alla paura della morte: infatti, staccarci dagli altri significa per l'essere umano morire. Forse in questo senso possiamo parlare della parte migliore scelta da Maria: sceglie di rimanere con Colui che è l'eterna relazione, che non abbandona mai e che in sé non ha solitudine. Forse questo il messaggio per ciascuno di noi, oggi: con Lui non siamo mai soli, anche quando la nostra percezione ci dice altro. E in Lui poi, ci sono tutte le altre relazioni, proprio perché Lui è la Relazione che tutte le altre sostiene.