domenica 28 febbraio 2021

in salita

Mc 9,2-10


Il brano che la chiesa ci offre in questa II Domenica di Quaresima, è chiamato Vangelo della Trasfigurazione. Molte volte, ascoltando o leggendolo, a qualcuno di noi, nella corsa quotidiana, scatta dentro quella voglia di fuga, quasi da fiaba, con una serie di passaggi magici da vivere, con la scusa di stare vicino a Dio… Probabilmente in parte questo sentimento è giustificato, data la carica fortemente simbolica di ciò ci racconta l’evangelista Luca. Per fortuna la Parola di Dio invece ci permettere di passare dal rischio di misticismo alla mistica, quella vera, quella che trascina il mistero del Regno dentro la nostra quotidianità.
Vediamo oggi Pietro, Giacomo e Giovanni che incontrano nella trasfigurazione la salita, la stanchezza, la gloria, la nube e la voce. Non la salita per una scampagnata sulle montagne, ma per pregare, accompagnati dal vero Amico sempre presente. La stanchezza li porta poi inevitabilmente al sonno, che ci fa pensare al Getsemani, dove i discepoli dormono, mentre Gesù parla con il Padre delle cose che stanno per compiersi. Eppure, il Signore li guarda con amore e misericordia, e concede loro lo stesso, il dono per il quale li ha portati lì, l’assaggio della sua gloria. Ma anche qui, l’ipotetica favola, si muta ben presto in esperienza di forte impatto. E proprio quando il crescente desiderio di rimanere lì, viene espresso precipitosamente dal sempre pronto Pietro, arriva la nube. Non si vede più nulla, vengono a mancare le parole. Fanno posto infatti all’unica voce che conta, quella del Padre che parla dell’essenziale.
Che cosa hai sperimentato tu, nella trasfigurazione? Ma sarà tutto vero? Dove sei? Sulla pendenza, nella crisi di stanchezza, nella percezione della gloria, che ogni tanto arriva a sorpresa, nella nube che ti toglie la visuale? Dio è lì. Forse non hanno capito Pietro, Giacomo e Giovanni e neppure tu. Forse non ce n’è bisogno. Ogni salita è possibilità di guardare diversamente la vita, la storia. Questo è l’effetto dell’incontro vero con Lui: piano piano, nei nostri tempi, pazientemente attesi da Lui, saper scorgere, grazie allo sguardo trasfigurato, nel volto di ogni fratello, la sfolgorante bellezza originaria.
Perché se tu hai visto la gloria di Dio, hai sentito il suo profumo, andrai compiendo le tue salite quotidiane, disseminando le capanne su ogni pendio. Camminerai convinto che “è bello per noi stare” hic et nunc, in questo presente, in cui lui c’è. E trasfigurerai, forse più ancora in questa Quaresima, il tuo ambiente, rendendolo sempre più spazio dell’abitazione della Pasqua, in cui gli uomini e le donne, da risorti, camminano in salita, perché il Signore li ha presi con sé e mantiene la sua promessa. Allora non c’è bisogno di parlare, i discepoli infatti restano in silenzio. Parlerà la differenza che si intravede nelle pieghe della tua vita concretamente vissuta, ricolmata della speranza che, da uomo o donna risorto/a, testimonierai anche in mezzo al sudore del cammino.

lunedì 22 febbraio 2021

la nostra identità

Mt 6,7-15

E' una grande domanda sull'identità, quest'oggi. Ma non illudiamoci. Non si tratta esattamente dell'identità di Gesù, o del fatto che sia più o meno importante che gli diano delle risposte su cosa pensa la gente o cosa pensano loro, i discepoli. E' l'esatto contrario. Sapere cosa pensano i discepoli, sapere cosa pensa Pietro, sapere cosa penso io e cosa pensi tu, serve alla nostra identità. Non c'è niente da fare: man mano che tu incontri e conosci Cristo, tu cominci ad incontrare e conoscere te stesso. Cominci a renderti conto di chi sei davvero, della tua identità. Forse man mano che la sua luce invade la tua vita, tu resti sbalordito da ciò che in essa viene illuminato e che prima non eri in grado di vedere. Ma poi, tu capisci che la tua identità parte dallo sguardo del Signore su di te. E questo sguardo è sempre lì, ed è uno sguardo d'amore. Allora tu capisci che lui è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, perché tu sei TU. E dopo capisci ormai con tutta la tua interiorità, cose nuove non tanto su di Lui, quanto sul suo agire nella tua vita, su quella modalità con cui Lui ti ama, che appartiene al tuo nome, scritto sul palmo della sua mano. Ed ecco: ammiri sempre di più ciò che Egli è e...ammiri sempre di più ciò che tu sei. Ti vuoi bene, vuoi bene a te stesso, perché sai di essere amato. Possano le parole che Francesco ripeteva a La Verna, dopo aver ricevuto le stimmate, essere guida per la nostra vita. Francesco non si sentì arrivato, quando Cristo gli concesse il dono della perfetta somiglianza con lui nella passione. Anzi, da lì sgorgò la domanda: Chi sei tu? Chi sono io? Quanto più infatti la nostra vita cammina segnata dagli incontri sempre più profondi con il Dio vivente, tanto meno capiamo e tanto più frequente diventa anche per noi la domanda di Francesco. Solo in Lui noi troviamo noi stessi.  E la risposta su di Lui, risponde alla domanda su di noi. Senza di Lui non solo non possiamo fare ma non possiamo nemmeno essere nulla.

sabato 13 febbraio 2021

una lebbra benefica

Mc 1,40-45

I lebbrosi. Quella categoria di gente che doveva assolutamente, a causa di questa malattia infettiva e pericolosa, stare lontano dalle abitazioni e dalle persone. Mi metto nei panni della gente dell'epoca di Gesù, per domandarmi se avevano proprio torto... non lo so. Ma che non volevano contagiarsi, questo lo capisco. E credo che il brutto della lebbra non fosse la malattia in sé, ma proprio la mancanza di rapporti umani. Non a caso i lebbrosi si mettevano insieme, quando vivevano lontani da altra gente. Mentre vedi sgretolarsi il tuo corpo, forse a maggior ragione vuoi avere legami, quel qualcosa che dia una consistenza alla tua esistenza umana, quel qualcosa che forse, nella reciprocità di una benevolenza, faccia sì che quando la malattia ti avrà consumato, il tuo ricordo resterà, come segno di una presenza, che, nonostante tutto, ha scavato dei solchi nel cuore dell'altro. Forse non ci pensiamo, ma i lebbrosi in questo senso ci insegnano molto. Guarire, era impossibile allora. E poi, come succede tante volte nella nostra vita, arriva Gesù che "non sa" che è impossibile, e lo fa, guarisce il lebbroso. Oppure meglio, Lui sa che nulla è impossibile a Dio, per cui non guarda mai applicando la divisione tra: "quello sì, quell'altro no". Il punto è che dopo la guarigione da una malattia così grave è Gesù a trasformarsi in... una specie di lebbroso. Siccome il miracolo grida per se stesso, oltre che per la bocca del guarito, e ora è Gesù a doversi allontanare, a dover evitare i contatti, ma per non essere travolto. Così il bene che egli compie, in realtà diventa anch'esso una lebbra, benefica. Essa attira le persone che ne vogliono ricevere, se ne vogliono contagiare, già edificati dalla fede del lebbroso guarito. Ma il messaggio è chiaro: non devono essere i miracoli a farci correre dietro a Gesù, ma piuttosto la testimonianza della fede che attira verso di Lui. Siamo realmente anche noi i portatori di questa lebbra benefica?

giovedì 11 febbraio 2021

il coraggio delle briciole



Mc 7,24-30

C'è un'umanità. Un'unica umanità. Eppure ci sono delle umanità e a quanto pare delle sotto-umanità. Non voglio aprire le discussioni sugli "stranieri" che popolano le nostre strade...(anche perché sarei anch'io una di loro ;-)). Il punto è che c'è in questa umanità chi mangia il pane e ne butta via l'eccesso... e c'è chi non mangia nemmeno le briciole. Noi, più ricchi, veniamo così confermati nella nostra falsa identità di abbienti, i poveri invece nella loro altrettanto falsa identità di sottocategoria di coloro che non hanno nulla e non hanno diritto di avere nulla. False identità significano false società. E vice versa. Ci vuole tanto coraggio per ritrovare le vere identità che porteranno alla costruzione delle società rinnovate...ci vuole proprio il coraggio della donna cananea. Coraggio della battuta pronta, capacità di riconoscerci per quello che siamo, per farci riconoscere tali dagli altri. Si, con Dio bisogna litigare e bisogna sapergli rispondere: quando ce vò, ce vò! La stessa cosa vale per i potenti, i falsi ricchi... che forse alle volte si credono di essere Dio. Il Signore stesso loda la madre del Vangelo per la sua risposta pronta, per l'audacia di rivendicare ciò che si deve a lei e a sua figlia. E noi? Assuefatti alla prepotenza di chi dovrebbe servire, educati alla falsa umiltà che non risponde alle umiliazioni per non passare per i superbi della situazione. Ogni cosa va vagliata e sottoposta al discernimento. Ma lo Spirito ci muove sempre a mettere al centro l'uomo e le sue necessità. L'uomo come tale, non uomo appartenente ad una data circoscrizione geografica. L'augurio oggi è proprio questo: che anche le briciole abbiano il coraggio di riconoscersi pane, che cadano le nostre false sicurezze e sappiamo rispondere, con prontezza e chiarezza di fronte a un'occasione per amare.

martedì 9 febbraio 2021

cose o persone?


Mc 7,1-13


È sempre più comodo trattare con una cosa che non con una persona. Una persona è un mistero ed è imprevedibile, devi sforzarti molto per capirla e convivere con lei. Dio è una persona e, dal punto di vista dell'impegno, è molto più difficile convivere con Lui che compiere determinati riti automaticamente. Dio è una persona ed è invisibile o, meglio, visibile nel cuore e con il cuore puro e sincero. Per convivere con Lui bisogna continuamente sforzarsi con tutta la vita di essere vivi, di avere il cuore vivo e docile alla Sua voce e al Suo insegnamento. Chiaramente il motore di questa convivenza è l'amore: l'amore infinito di Dio e il mio amore, finito ma pur sempre unito all'infinito desiderio di Dio vivo. La convivenza vera esclude automatismi, perché tutto dipende dalla lettura della sempre nuova situazione che devo affrontare. Questa lettura avviene nel cuore umano che deve essere vivo, sensibile e pieno d'amore. È come nel matrimonio, l'uno chiede all'altra, continuamente, essendo nelle nuove situazioni: "amore mio che facciamo adesso?" Così è nella convivenza con Dio: o Dio, Amore mio adesso che facciamo? Questa ricerca della giusta decisione costa una fatica, ma è indispensabile perché restiamo vivi e veri. Altrimenti comincio a crearmi la mia religione composta da prescrizioni vuote da eseguire. Anch'io devo stare attento ad essere vivo e autentico nella mia fede. Finché sono innamorato di Dio e Gli chiedo: "Amore mio che facciamo?", posso stare anche tranquillo per le mie scelte. Ma questo cammino esige un dialogo continuo nel mio cuore con Colui, che essendo innamorato di me, vuole continuamente comunicarmi non solo la luce per le mie scelte, ma soprattutto il Suo amore che mi dona la forza per affrontare le fatiche del cammino della vita.

martedì 2 febbraio 2021

Profumate e sporche del mondo

Le foto di gente vestita con l'abito religioso di qua e di là... oggi nella Presentazione del Signore si celebra la giornata dei consacrati e... sorrido ricordandomi alcune volte quando...
"Cosa? Cosa sei? Una consacrata secolare? Che cos'è?" Non è sempre semplice spiegare alle persone che sono incuriosite nel conoscere una "suora in pantalone", cosa veramente è la nostra vocazione. Forse non è semplice nemmeno per noi, comprendere, perché il Signore ha suscitato nella chiesa questa forma di vita consacrata, che non va associata ad un abito, ad un convento, alla cosiddetta separazione dal mondo. Anzi, su quest'ultima...proprio tutt'altro. Mi piace ricordare oggi le parole che in qualche maniera sono eredità da vivere per noi, consacrati nel mondo. Le scrisse Madeleine Delbrel
Ci sono luoghi in cui soffia lo Spirito, ma c'è uno Spirito che soffia in tutti i luoghi. C'è gente che Dio prende e mette da parte. Ma ce n'è altra che egli lascia nella moltitudine, che non «ritira dal mondo». E' gente che fa un lavoro ordinario, che ha una famiglia ordinaria o che vive un'ordinaria vita da celibe. Gente che ha malattie ordinarie, lutti ordinari. Gente che ha una casa ordinaria, vestiti ordinari. E' la gente della vita ordinaria. Gente che s'incontra in una qualsiasi strada. Costoro amano il loro uscio che si apre sulla via, come i loro fratelli invisibili al mondo amano la porta, che si è rinchiusa definitivamente dietro di loro. Noialtri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della nostra santità.
Si, queste parole parlano di noi. Noi, consacrate e catapultate per e nel mondo. Noi, donne che del mondo dobbiamo fare un grembo in cui ancora oggi Dio possa nascere, crescere e manifestarsi. Noi, che camminando per le strade, improvvisamente cadiamo nella contemplazione, perché vediamo che Lui è presente dovunque. Una normale vocazione. Una vocazione che non conosce la perfezione, ma che si trova perfettamente nella propria e altrui fragilità, perché sa che le ferite sono feritoie. Una come tutte, e diversa da tutte. Forse assomiglia a quella di Simeone...che da sempre vive la sua vita per e con Dio, eppure...anch'egli lo accoglie tra le braccia. Perché ha bisogno di sentire che il suo Signore ha una carne umana, che abita i nostri tempi e i nostri spazi, che non si sottrae alle normali leggi della vita. E lì si compie la sua chiamata. Nel bambino vede la salvezza, nel povero vede la pienezza, nel proprio peccato, l'infinita misericordia di Dio. Siamo donne coscienti di essere chiamate ad essere spose di un Dio geloso di diventare tutto in tutti. Si, ci piace sporcarci del mondo e che il mondo si sporchi di noi, perché crediamo nel suo profumo e siamo certe che che quando una donna con un gesto d'amore mette la sua mano in quella di Cristo, il suo potere non ha più limiti (p. Luigi Faccenda
#kolbemission www.kolbemission.org










lunedì 1 febbraio 2021

Quando il bene fa paura

Mc 5,1-20

Mi è capitato nella vita di ricevere un bene inaspettato, che oltrepassava di molto le mie attese. Quelle volte che le dimensioni di questo bene erano veramente imponenti, era nata dentro il mio cuore una sorta di paura. Alle volte è semplicemente un'insicurezza, una momentanea incapacità di reagire a qualcosa di "non programmato", anche se buono. Che paura è dunque quella? Forse l'istintivo sentirsi in dovere di ricambiare e quindi temere di non avere altrettanto bene con cui ricambiare? Forse è l'incredulità verso un amore espresso nei fatti, così evidente e grande? Sembra alle volte che sia proprio quel tocco del paradiso, a farci spaventare nel profondo del nostro cuore. Qualcosa di meraviglioso, il sentimento di essere amati infinitamente. La trepidazione che viene dalla percezione che quell'attimo presto svanirà, spesso ci spinge ad allontanare/allontanarci dalla sorgente dalla quale viene quel bene. In più quando sentiamo che improvvisamente perdiamo controllo sulla realtà, perché emotivamente impegnati nel percepire l'amore che ci giunge. Esattamente come la gente del Vangelo di oggi, che pregava il Signore che se ne andasse... Nell'attimo della perdita di dominio sugli eventi, si erano persi infatti i 2000 porci, mentre un bene immenso ha raggiunto un uomo, liberato dalla legione, cioè dalla schiavitù interiore. Siamo meravigliati di fronte a un evento del genere e preferiamo porre la nostra attenzione sulla perdita che non sull'enorme guadagno. Perché alla perdita noi pensiamo di poter rimediare con le nostre forze, dandoci da fare, correggendo gli avvenimenti e forse anche Dio stesso. Mentre un miracolo ci sfugge e ci manda in tilt. Ci tocca imparare ad accettare questo tilt, il tilt divino.