domenica 31 maggio 2020

sapere di che si tratta

At 2,1-11

E' la grande verità: quante teste tante idee, pensieri, vedute, opinioni. O meglio, di più, dato che non abbiamo un solo pensiero o idea a testa. E' ovvio dunque che talvolta non ci capiamo a vicenda. Non c'è un essere umano, nemmeno tra i gemelli, che abbia la stessa esperienza di vita e di conseguenza sappia comprendere perfettamente l'altro. Ma c'è Qualcuno che perfezione la nostra comprensione reciproca. Lui è l'intesa più vera, lo Spirito. E' ovvio che tutti gli osservanti Giudei presenti al momento della Pentecoste, non hanno avuto improvvisamente il dono del corso accelerato delle lingue, per sentire ciascuno nella propria lingua, raccontate le opere di Dio. Questa è una proposta che capita solo negli spot pubblicitari, quella di apprendere una lingua in pochissimi giorni. Ma, sorridiamo tutti, perché anche semplicemente meccanicamente capire una lingua, non significa e non significherà mai comprendere una persona che parla quella lingua sin dalla nascita, perché non significa comprendere il suo sfondo culturale, il suo vissuto ecc. Ecco che dunque lo Spirito si sostituisce alle nostre più brillanti pubblicità. Tutta quella gente improvvisamente comprende. Si ritrovano ad essere partecipi di un dono, che permette loro di trovarsi in sintonia, una tale sintonia che non è più solo un'intesa umana, ma il saper leggere le opere di Dio, e questo significa occhi davvero nuovi. Questo significa trovare qualcosa che ci accomuna al di là della provenienza e della lingua che si parla. Questo significa esperienza di comunione e se è bello avere un'intesa a livello umano, quanto è meraviglioso quando comprendiamo i sentimenti, i desideri e gli aneliti dell'altro... quando sentiamo che c'è qualcosa oltre noi, che fluisce tra noi e ci permette di vivere la stessa esperienza. Ecco cosa hanno vissuto i Giudei al momento della Pentecoste, l'esatto contrario della torre di Babele. Questo è ciò che fa lo Spirito, quando lo si invita ed accoglie, rafforza i nostri legami, ci fa ritrovare collegati laddove e con persone con cui non ci saremmo mai immaginati di poterci capire "al volo"... dello Spirito. E di sapere, anche in mezzo alle tante teste diverse e idee diverse, fino in fondo, di che si tratta, pur senza "conoscere la lingua". 

venerdì 29 maggio 2020

amare è inviare

Gv 21,15-19

E' un brano quello odierno, che molti di noi conoscono e amano. A me colpisce oggi la reazione di Gesù all'assicurazione da parte di Pietro, del suo affetto. Non gli dice: "allora siccome mi dici che mi vuoi bene, vieni qua, fatti abbracciare!"...e vissero felici e contenti nel loro affetto. No, la risposta immediata di Gesù è "pasci i miei agnelli". Gesù non fa molte effusioni di amore su Pietro, ma fa vedere la sostanza del vero amore. Il vero amore sì, fa capire all'altro di essere amato, certamente, ma lo fa ad uno scopo preciso: Gesù ha tenuto vicino i discepoli, per prepararli al passo decisivo dell'amore, che è l'invio. Ecco quindi che per Pietro, dopo tanta sequela da vicino, dopo persino il rinnegamento e il pentimento, l'affetto è forte e tanto consolidato da renderlo pronto ad essere inviato. Dice di amare il Signore e ora deve farlo vedere "ereditando" da lui la fatica nel condurre il gregge. Chi ama davvero, non tiene nessuno attaccato a sé fino alla fine. Chi ama davvero, sa inviare, sa delegare, sa fidarsi con certezza di essere "rappresentato" in quell'amore che lega i due. Così ogni amore diventa invio, diventa un ulteriore cammino da compiere, con l'amato nel cuore e forte del suo amore. Lo Spirito sta per esserci donato affinché anche noi camminiamo nel mondo con la consapevolezza di essere inviati per amore. Dio si fida di noi e ci chiede che ci fidiamo non solo di lui ma anche che abbiamo questa fiducia reciprocamente, davvero da fratelli e che sappiamo "inviarci a vicenda", certi che proprio laddove fiorisce il nostro amore reciproco, fatto anche di fatiche e sofferenze, là Lui sta in mezzo a noi. 

mercoledì 27 maggio 2020

siamo tutti collegati

Gv 17,20-26

Alla luce del Vangelo di oggi, mi sembra di poter dire che il cristiano è l'uomo con una sorta di tentacoli. Gesù infatti non prega solo per noi che ascoltiamo la sua Parola, ma anche per coloro che da noi saranno raggiunti o meglio per coloro che saranno raggiunti dalla sua Parola, attraverso di noi. Ovviamente Gesù non parla di proselitismo o di tanto chiasso da fare attorno a sé: quello riguarda coloro che sono convinti di essere loro gli artefici della salvezza del mondo e degli altri. Invece chi comprende che è semplicemente strumento e in quanto tale dà il suo contributo, ma ha bisogno di essere nelle mani del Costruttore, non pretende di fare chissà quali spettacoli. Si fida e sa, che la Parola di Dio sa agire anche senza la sua piccolezza, eppure, come disse una volta Giovanni Paolo II, Dio ha voluto aver bisogno di noi, per portare la sua Parola. Ecco che Gesù, prima di congedarsi dal mondo, prega già per tutti coloro che noi incontreremo sulla nostra strada, perché vuole entrare nella loro vita. Ma restiamo desti: sarà Lui a fare tutto, se noi ci rendiamo disponibili per Lui. Ragione per cui il cristiano non è chi urla molto, ma chi fa parlare molto Dio tramite la propria vita. Ecco, ancora una volta: opere e atteggiamenti e non parole. Con gioia e coraggio, consapevoli che Egli è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo. 

lunedì 25 maggio 2020

la divisione dei compiti

Gv 17,1-11

Hai presente quando sai che c'è una cosa importante da compiere e sai che il tuo compito in essa non è indifferente? Il sentimento del voler fare le cose al meglio ti porta a quella sorta di premura che ti farebbe fare di tutto per far andare tutto al meglio. Eppure c'è una divisione dei compiti, che fa sì, che tu debba riconoscere che a un certo punto il tuo compito termina, per dare spazio e possibilità di contribuire ad altri e, infine, a chi deve terminare l'opera, che fa quel passo che completa il tutto. Questo è esattamente ciò che sta facendo Gesù, nel Vangelo di oggi. Sta consegnando il tutto nelle mani del Padre che è l'unico artefice e così riconosciuto anche l'unico che può portare al termine tutta l'opera. Gesù, pur essendo lui stesso Dio, sta facendo un atto di abbandono al Padre. Riconosce che l'eternità non è concludere questo pellegrinaggio terreno e andarsene all'altro mondo, ma l'eternità è farsi da parte e far conoscere il Padre, perché solo il Padre poi dà, attraverso lo Spirito, la possibilità di conoscere chi sia realmente il Figlio. Distaccarsi da ciò che si è, da ciò che si ha... riconoscersi parte di un insieme più grande. Sono grandi compiti anche per tutti noi. Come si vede dagli esempi degli ultimi mesi, si può fare qualcosa di buono e di grande, se ci riconosciamo in un'esistenza "a catena", dove ogni anello è importante, ma è più importane la catena tutta, che crea un insieme forte e irresistibile, spazio di sostegno reciproco. Questo è ciò che anche oggi sta ricostruendo il nostro mondo: dare ciascuno il proprio, consapevole di costruire un importante insieme per il bene di tutti. 

giovedì 21 maggio 2020

trasformazione

Gv 16,16-20

Sicuramente oggi anche tu hai qualche tristezza dentro di te. Se non una che ti opprime, una importante, probabilmente ne hai una piccola oppure una che ti porti dal passato, tipo quella tristezza che ti viene, quando ti ricordi una cosa, una persona, un evento... un qualcosa che punge al cuore. E' segno che sei tu il destinatario delle parole di Gesù di oggi nel Vangelo. Perché la sofferenza, ogni sofferenza, è destinata ad essere tramutata in gioia, nella misura in cui in essa entra la grazia di Dio. Ci sono quelle tristezze grandi, che sembra non possano essere colmate, ad esempio la persona cara che se ne va... al momento quando succede, pensiamo che ci stia crollando il mondo addosso e che non riusciremo mai a tornare alla vita normale. E invece nella maggior parte dei casi succede il contrario e molte volte la memoria che conserva il bene, l'amore ricevuto, trasforma l'esperienza del dolore, nel calore che si infonde nel cuore al pensiero della persona amata. Altre volte il pensiero di questa persona, ci sprona ad essere coraggiosi, migliori, a interrogarci... ecco che la tristezza si trasforma in gioia, non quella euforica che è risata superficiale, ma quella profonda, che ci fa tornare alla consapevolezza, che anche nel dolore, c'è un senso. E questa è la vera gioia, perché è risposta alla domanda sul male e sulla morte, la rassicurazione che esse non hanno l'ultima parola. E se non l'hanno oggi, possiamo già gioire per quel domani, che sarà il giorno dell'Eternità. Lo Spirito che presto ci verrà in dono, ci porta proprio lì. 




martedì 19 maggio 2020

mi fa volare

Gv 16,5-11 

La tristezza si affaccia al cuore dei discepoli quando Gesù parla loro di doversene andare. Ma come? Non se n'era già andato una volta, morendo? Ora ci lascia di nuovo? E' la stessa tristezza che prova il figlio quando lascia la casa paterna, condivisa dal genitore che deve lasciarlo andare. Il genitore, Gesù, deve andarsene, deve fare un passo indietro, per far spazio a noi... affinché possiamo accogliere lo Spirito, che ci abilita a fare tutto ciò che Gesù stesso ci insegna. C'è un momento così nella vita di ogni famiglia, in cui il genitore fa un passo indietro perché comprende che, dopo aver trasmesso al figlio determinati valori, modi di vivere, ora deve lasciare che egli stesso si sperimenti nel vivere concreto. E' esattamente lo stesso meccanismo. Se non me ne vado non verrà a voi il Paraclito. Cioè non potrete tirare fuori dai vostri cuori quell'anelito e quella capacità di ricerca, che vi permetterà di essere amici dello Spirito e suoi seguaci. E' un Dio umile il nostro. "Scompare" dalla scena, per far passare il suo amico Consolatore. E ci dà tanta, ma tantissima fiducia, perché ancora una volta fa risaltare la nostra libertà e ci permette di essere adulti nella fede. Davvero, "ci fa volare", cioè ci fa compiere dei grandi passi  per la nostra vita e la vita del mondo, se lo vogliamo. Tra pochi giorni si rinnova per noi il dono dello Spirito. Gioco eterno tra la lontananza e la vicinanza di Dio. Spalanchiamo i cuori, per averli pronti, quando verrà! 

domenica 17 maggio 2020

vedere in prospettiva


Gv 14,15-21 

Potrebbe far venire il mal si testa, il discorso di Gesù, sulla sua visibilità/invisibilità. E' ancora sulla terra, però tra poco il mondo non lo vedrà, ma lo potremo vedere noi, perché Egli vive e noi viviamo. Cosa significano queste misteriose parole? Beh, noi sappiamo in avanti cosa succederà tra poco... Lui ascenderà al Padre e ci manderà lo Spirito Santo. E infatti la questione riguarda tutta proprio la capacità di vedere. Il mondo, in questo caso inteso come quelli che di Dio non ne vogliono sapere, in parole povere, non lo vedrà. Ma non perché Lui non sarà più presente sulla terra, ma non lo vedrà proprio perché non lo vuole vedere, appunto perché non gliene importa nulla. Noi potremo vederlo, perché Lui rimane, vivente tra noi. Certo non fisicamente, camminante sulle nostre strade, ma in prospettiva, guardando e vedendo più lontano. Una presenza fisica di una persona amata, spesso nella nostra vita fa sì, che ci concentriamo talmente su di essa, che quando viene meno, improvvisamente non sappiamo più come guardare il mondo. Invece il Signore se ne va fisicamente, per invitarci ad allargare lo sguardo... di vedere non più solo in noi e vicino a noi, ma anche in prospettiva, la sua presenza in ciò che è anche lontano da noi. Perché egli, essendo il Vivente, vive nell'universo. Ed è questo il modo in cui Egli viene da noi, ogni giorno.  Precisamente questa è prova che non ci ha lasciati orfani. Lo Spirito che Gesù manda, è il testimone della sua presenza nel mondo. Dunque, è lui che ci aiuta a guardare in prospettiva, facendo sempre nuove tutte le cose e insegnandoci a vedere il tutto in ogni frammento, la bellezza in ogni cosa bella, anche la più piccola.

sabato 16 maggio 2020

alzare lo sguardo

Gv 15,18-21

Il Vangelo di oggi è una sorta di pacca sulle spalle. Sappiamo bene qual è la differenza tra il raccontare le proprie difficoltà alla persona che non ne ha mai fatto esperienza e fare lo stesso con una persona che invece ha vissuto lo stesso nella sua vita. Sappiamo bene che tipo di comprensione si può avere. Ecco, il Signore ci dice che tutto ciò che ci fa soffrire nella vita, Lui l'ha vissuto, proprio perché ha assunto su di sé la nostra umanità. Dunque è una pacca sulle spalle non di uno che non sapendo cosa dire, ci dice: dai, coraggio, ce la farai. No, Lui ci dice che comprende, perché in questa sofferenza presente Lui è con noi. Le sue parole però non sono da confondere con un nesso casuale. Quando Gesù dice che noi veniamo perseguitati, perché Lui è stato perseguitato, non è causa - effetto. Piuttosto vuole forse farci capire, che in noi, anche se al 100% umani, c'è già quell'immagine e somiglianza di Dio, che fa sì, che l'ingiustizia di qualsiasi tipo si ripercuote sulla nostra anima, causando la sofferenza. Lui, Dio-uomo ci dice che noi siamo uomini/donne-Dio. Ci dice la somiglianza tra Lui e noi. E che non c'è nulla nella nostra vita in cui non ci sia Lui e in cui non possiamo trovarci in Lui. Ecco la cosa che ci può far alzare lo sguardo. Perché il sentirsi soli in un momento di difficoltà, ci fa ripiegare su noi stessi, non necessariamente nel senso negativo, ma anche perché una persona che si sente sola, istintivamente "si chiude" per raccogliere le sue energie per contrastare la sofferenza che vive. E questo è naturale e antropologicamente giustificato. Ma per noi, c'è una marcia in più: il suo essere con noi. Ecco perché, la sua pacca sulla spalla, ci può far alzare lo sguardo e tornare a considerare, che non soffriamo solo noi, ma che soffrono tutti gli esseri di questo mondo. E che forse c'è un passo ulteriore da fare, quando ci viene da ripiegare le energie in noi stessi: quello di donare queste energie a Lui e, insieme a Lui, cercare come vivere anche ciò che ci reca più fatica. 

giovedì 14 maggio 2020

amare a distanza

Gv 15,9-17

Forse in questo tempo abbiamo sperimentato con più forza cosa significa la distanza fisica nelle relazioni umane. Proprio ieri stavo riflettendo su come mutano le relazioni, quando non ci si rapporta di persona, ma solo tramite i mezzi di comunicazione, i più svariati. Come suona in questo contesto che stiamo vivendo, il comandamento dell'amore del prossimo? Amarci gli uni gli altri, come ci ha amati Lui... Cosa significherà mai? C'è da tenere presente che, sebbene Gesù storico, uomo che ha calpestato questa terra, non ha potuto incontrare tutti gli uomini, di certo egli ha pagato in prima persona, proprio con la sua vita fisica, cioè morendo. Il suo amore non ha raggiunto solo una mortificazione interiore, una sofferenza morale, spirituale, ma proprio la morte corporale. Cosa abbiamo sperimentato in quarantena, dovendoci rapportare sempre con le stesse persone? Come abbiamo mantenuto  i nostri affetti con le persone a distanza? Cosa è risultato più facile? 
Di solito si dice che è facile amare a distanza. Certamente, perché anche nell'amore ci deve essere una giusta distanza, e lo capiamo se ricordiamo i momenti in cui in stretta quarantena ci venivano i nervi di fronte alla nostra stessa famiglia, perché magari non la sopportavamo più. L'amore ha bisogno di vicinanze e lontananze. Stare insieme, sempre vicini, soffrendo, anche questo può essere un modo per dare la vita, anche se alle volte sembra che ce la stiamo togliendo a vicenda, che "non respiriamo più", esperienza anch'essa di quell'oblazione che Gesù ha compiuto sulla croce. Nell'esigenza interiore che abbiamo, quella di amare e quella di essere amati, possiamo trarre molti insegnamenti sia dal dover amare a distanza, sia dal dover amare ad eccessiva vicinanza. Ciascuno di noi puoi misurarsi con le dimensioni della propria capacità di amare. E forse proprio riflettere su questo, potrà dare un nuovo sapore a quando potremo abbracciarci di nuovo...




martedì 12 maggio 2020

andate in pace


Gv 14,27-31 
Normalmente il credere, l'atto di fede riguarda le cose che non si vedono, che non si sono ancora realizzate... oggi invece Gesù ribalta anche questa logica: "ve l'ho detto perché quando avverrà, crediate"... dovremo dunque credere pure quando si sarà realizzato, non più solo ora quando ancora non lo vediamo! Questo proprio perché quanto deve succedere ai discepoli, "toglie" loro la presenza del Signore, un po' come stiamo vivendo in questa quarantena... Ma rimane ciò che è fondamentale: la PACE, la pace che fa sì che il non vedere il Signore, il vuoto, si trasformi in un'esperienza interiore della sua costante presenza. Noi siamo quei discepoli che non vedono, ma credono. La Chiesa attraverso il proprio ministero invece ci offre la pace che Gesù un giorno lasciò ai discepoli, quella che viene dal loro incontro con Lui e ci offre l'esperienza dei discepoli dell'incontro con lui. Ecco perché i loro sentimenti spesso sembrano essere nostri stessi. Possa ogni "andate in pace" che sentiremo, tornando a celebrare e dopo l'incontro con lui nell'Eucarestia, confermarci nel credere costantemente e nell'operare sempre consapevoli della sua Presenza tra noi!

domenica 10 maggio 2020

tornare a casa

Gv 14,1-12 

Molti di noi, in questo periodo di pandemia, non riuscendo a rientrare a casa propria, al luogo a cui sentono di appartenere, hanno sentito fortemente lo smarrimento che riguarda la minaccia dell'allontanamento duraturo dal luogo che dà sicurezza. Di certo non ci è mancata la casa in sé, ma ciò e coloro che la abitano. Chissà quanti di noi abbiamo riflettuto sulla nostra vera appartenenza... Ci dice Gesù nel Vangelo che è lui che ci prepara il posto presso il Padre e ci porterà laddove noi apparteniamo da sempre e per sempre, anche se abbiamo paura di questo luogo, che luogo non è, di questa dimensione sconosciuta. La sicurezza tuttavia anche in questo caso non è però data dallo spazio in sé da occupare, ma dalla relazione, dalla vicinanza con colui che ci ama per eccellenza e che è sorgente e fine di ogni nostro affetto. Forse questi sono i tempi per fermarci e guardarci dentro, per capire quanto apparteniamo a questo "posto" che Gesù ci va a preparare, cioè a questa relazione d'Amore che va scritt con la A maiuscola, perché a differenza di altri amori, non passa ed è punto di riferimento tanto stabile, quanto basilare. Perché senza appartenere a questo Amore, qualsiasi nostra dimora terrena non resta che surrogato di questa, mentre ogni appartenenza radicata in questo Amore, diventa feconda e sanante.














venerdì 8 maggio 2020

al bivio (7): la decisione

Se c'è qualche grande crisi che fa strage nel mondo di oggi (oltre quella economica), è certamente crisi della capacità decisionale e della responsabilità per le decisioni prese. Lo si vede chiaramente nei casi delle persone che non riescono a decidere un percorso di studi, o di sposarsi, o di avere un figlio, o della banale destinazione per la vacanza. Poi invece si accorgono che le occasioni sfuggono, il tempo passa...ma è pur vero che oggi tutto è diventato molto più complicato, e la vita esige da noi tanti calcoli complessi. Invece Dio è semplice e ci dice: prosegui avanti. Non restare al bivio perché esso non è luogo in cui costruirsi un nido. La mancanza di decisione è pure una decisione. Purtroppo la peggiore di tutte, perché spesso in questa maniera la nostra vita finisce tra le mani di chi, sulla nostra indecisione, vuole guadagnarci. Se ci sembra che non decidendo, lasciamo a Dio la realizzazione della sua volontà, potremmo sbagliare di grosso. Non confondiamo la libertà, di cui abbiamo parlato nella puntata precedente, con l'eterna sospensione, soprattutto quando già intuiamo la direzione da prendere.
Ogni scelta è di per sé dolorosa perché comporta la mancanza di ciò che non scegliamo. In questo senso, la scelta della vita dedicata a Dio e ai fratelli, può essere particolarmente sfidante: richiede di abbandonare i sogni su una famiglia da crearsi o spesso anche su una stabilità di luogo. Ma è un abbandonare qualcosa di prezioso per una preziosità maggiore. Tuttavia tante e troppe persone so fermano proprio qui, dove sembra ormai che manchi solo l'ultimo passettino. Molte e fantasiose sono le scuse con cui lo fanno. Dalla mancanza di certezza assoluta (impossibile!) alla mancanza di mezzi economici (per coloro che dovrebbero sposarsi, scusa reale ma un tantino esagerata, nella prospettiva dell'esistenza della Provvidenza), alla salute, al parere condizionante degli altri ecc ecc. Ricordati: 
se il processo di discernimento e il cammino sono autentici, questo piccolo passo, sarà solo una meravigliosa conferma di quanto già intuito nel cuore. 

giovedì 7 maggio 2020

chi accogli?

Gv 13,16-20

Sebbene il parlare di Gesù sia per ora molto enigmatico, in quanto Egli sta preparando i suoi all'arrivo dello Spirito, ci sono anche nel brano odierno, dei passaggi che hanno una valenza importantissima, nella nostra vita quotidiana. Chi accoglie colui che manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Che discorso grandioso sull'accoglienza! A molti tra noi, man mano che conosciamo una persona, succede di avere la tentazione di cambiarla. Perché, con l'intuito o talvolta con discorsi anche molto ragionati, vogliamo provare che se cambiasse, sarebbe meglio... una volta ho assistito a un dialogo di questo genere. Una persona diceva all'altra che non va bene che faccia in una determinata maniera e come sarebbe meglio se facesse diversamente nella sua vita. L'altra persona ha ascoltato pazientemente, dopodiché ha guardato chi le stava dando quei "consigli" e ha risposto: cosa ne sai tu della mia vita, del mio passato, in base al quale oggi faccio proprio così? Mi hai mai chiesto con quale obiettivo mi comporto così, cioè che futuro intravedo? Il "consigliere" è rimasto a bocca aperta. Un esempio che azzecca perfettamente con ciò che dice Gesù. Prima di entrare nella vita degli altri, dovremmo accoglierli esattamente così come sono e ciò significa: con il loro passato che li ha portati ad essere ciò che oggi sono e con la prospettiva del loro futuro, che, sebbene noi possiamo aiutare a costruire, non siamo chiamati a costruire al loro posto. Chi accoglie me, te, accoglie ciò che ero e ciò che sarò. E chi accoglie l'altro così, crea uno spazio per la sua crescita, un terreno fertile. Perché una persona umana cambia, certamente, migliora, ma lo fa solo in un ambiente e in delle circostanze, in cui si sente pienamente accolta per quel che è. Bella esperienza da fare personalmente e da far fare agli altri, l'accoglienza reciproca, che fa crescere. 

al bivio (6): la libertà

Il coraggio di cui parlavamo ieri, ha una figlia che è contemporaneamente madre.
Si chiama libertà: nasce dal coraggio di svincolarsi e genera il coraggio sempre più autentico.
La libertà oggi pare essere il più altro dei valori. Siamo pronti ad uscire sulle strade, al solo pensiero che qualcuno potesse limitarcela. Vogliamo decidere autonomamente sulla nostra vita, senza pensare se per caso facendo così, non limitiamo la libertà altrui. La cosa sorprendente è che, allo stesso tempo, quasi non ci curiamo affatto della nostra libertà interiore (e non lo sappiamo nemmeno). Con tanta ingenuità siamo pronti ad affidarci a dei dispositivi elettronici, oggetti, ideologie, voglie e persone (!) fino a diventare loro schiavi, continuando però ad urlare il nostro diritto ad essere liberi. 
E invece proprio la libertà del cuore che determina le svolte importanti della nostra vita. Se desideriamo fare delle scelte sapienti, seguendo la voce di Dio, dobbiamo creare quello spazio, in cui Dio potrà proporci anche delle cose che da soli non avremmo mai scelto. Se rimaniamo nelle nostre abitudini, sicurezze, seguendo rigidamente solo la nostra stessa visione del mondo, e le nostre idee, sarà difficile attraversare questo delicato confine. 
Sant'Ignazio parlava spesso della santa indifferenza. Non si tratta ovviamente del menefreghismo e del disinteresse verso le realtà che ci toccano. Si tratta di vivere in modo che "non desideriamo da parte nostra la salute piuttosto che la malattia, la ricchezza piuttosto che la povertà, l'onore piuttosto che il disonore, una vita lunga piuttosto che una vita breve" (Esercizi spirituali, 23). Ecco l'ideale della libertà interiore: essere pronti ad accogliere qualsiasi cosa ci accada e qualsiasi piano di Dio. 
Se vuoi sinceramente cercare la tua strada e domandare a Dio che direzione prendere, non potrai sfuggire la domanda sulla libertà del cuore. Non è infatti una scelta, se prendi in considerazione una sola possibilità. Non lasciarti schiavizzare dai ragionamenti che ti vende una massa: spiega le ali e vola, anche verso lo sconosciuto, sii libero! 

mercoledì 6 maggio 2020

al bivio (5): il coraggio

Se qualcuno di voi sta scegliendo o ha scelto di vivere seguendo Gesù Cristo (indipendentemente dal carattere della scelta), si sarà accorto che non è una strada sempre facile e piacevole. 
Certamente è la strada piena di gioia e di felicità, ma le sono estranei l'eccessiva sicurezza, comfort e una vita "sistemata". La strada che si fa con il Signore, richiede una dose di follia, che magari all'inizio nemmeno ci immaginavamo. Se uno pensa che la fede è per le persone deboli, di certo non ha mai provato a realizzare quello che ci propone la Parola di Dio. Dio ci invita costantemente al viaggio verso l'ignoto. Era così sin dai tempi di Abramo, quando egli disse: vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre (Gen 12, 1). Non sai ancora dove devi andare e cosa succederà per strada, ma esci e ti fidi che Lui ha le risposte alle tue domande. La vita è piena di svolte, di più grandi o più piccoli drammi, ma se ci siamo davvero fidati di Dio, sappiamo con quella certezza che viene dalla fede (quindi dalla relazione, dall'ascolto della sua voce, e da tutto ciò di cui abbiamo parlato nelle puntate precedenti), che andrà tutto a buon fine. Non ci è stato promesso un viaggio tranquillo, ma un sicuro arrivo, come già disse qualcuno. 
Questo vale per ogni vocazione, per la vita consacrata, missionaria o sacerdotale vale ancora di più. Per questo ogni scelta richiede coraggio. Con l'attenzione posta su cosa sia il coraggio. Esso infatti non è spavalderia, ma esercizio di fiducia. Questo tipo di coraggio può esserci una buona guida nella vita, in quanto ci sintonizza sulle frequenze dello Spirito e ci guida nella lettura dei molteplici segni che ci si presentano tutti i giorni. Restare senza troppe sicurezze, significa vivere vigili e attenti, pronti a cogliere qualsiasi manifestazione della voce di Dio. L'evangelista Giovanni riporta proprio queste parole di Gesù a Nicodemo: il vento soffia dove vuole e ne senti la voce ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito. Fidiamoci, allora! Il Buon Pastore non mancherà ad esserci, in qualsiasi valle oscura che possa capitarci di attraversare. 





martedì 5 maggio 2020

al bivio (4): la gioia

Se sbirciamo un po' nella Bibbia, nello specifico nel capitolo 17 del vangelo secondo Giovanni, scopriamo che lì Gesù fa una lunga e bellissima preghiera, chiamata dalla tradizione "preghiera sacerdotale". In questa preghiera Egli chiede per noi fondamentalmente tre cose: unità, verità e gioia. Ecco perché spesso la tentazione o le visioni passate della chiesa, sembrano di provocarci a pensare che Dio voglia la nostra eccessiva serietà, quasi tristezza (trascuro il fatto che molte persone della chiesa stessa ancora spesso si mostrano proprio tristi). Molte volte ancora, quando ci sentiamo felici, o dal di dentro di noi o dal di fuori, ci viene quel dubbio nel cuore: ma a Dio piacerà questa cosa? Invece non è affatto vero che Dio ci ama solo se siamo penitenti, facciamo digiuni, silenzi e preghiere!!! 
Non è stato forse Gesù a dire di essere venuto affinché le sue pecore abbiano la vita in abbondanza? Ma cos'è la vita vera è gioia in abbondanza! Gioia nonostante tutto: nonostante la sofferenza (che non è il suo contrario!!!), nonostante lo scoraggiamento... siamo stati fatti nella e per la gioia!
Le penitenze vengono con la vita stessa e non è necessario cercarsene ancora di più. Direi che si potrebbe rischiare l'affermazione che sia più vicino a Dio chi tralascia le "pratiche religiose" ma vive una vita serena e contagia di gioia, che non colui che si nega queste gioie e diventa progressivamente sempre più acido, triste, invidioso e scostante. Basta a questo proposito guardare il figlio maggiore della parabola del Padre Misericordioso (Lc 15,11-32)... 
E torniamo al discorso sulla vocazione. Qualsiasi strada tu non scelga, sarà sempre un offrire la tua vita: o a colui/colei che sposerai o a coloro che avvicinerai nella tua professione o a Dio servendolo nella chiesa. Attenzione però a quando vengono i pensieri di tipo: "ora mi chiudo in convento così mi separo da questo mondo schifoso", oppure "ora sposo lui, così mi darà sicurezza e mi proteggerà dai problemi"... Questi pensieri non vengono esattamente da Dio. 
L'autenticità della scelta viene provata proprio dalla gioia, che rimane, come strato che riveste la profondità del tuo animo, anche quando si presentano le inevitabili difficoltà. E' un'avventura folle, la scelta di vita con Lui, ma sempre contrassegnata dalla gioia. 



lunedì 4 maggio 2020

dare la vita

Gv 10,11-18

Ecco il segreto e la grande differenza tra il pastore e il mercenario. Il Pastore, ci dice Gesù oggi nel Vangelo, è colui che si spinge fino in fondo per quelle che considera le sue pecore, ma anzi, anche per le pecore che di per sé non sono sue. Dare la vita, lo sappiamo come funziona, lo si può fare se la propria vita la si tiene in mano. Allora si affaccia al nostro cuore la domanda fondamentale: io vivo la mia vita in tutte le sue dimensioni oppure sono "agito" e agitato da alcune sue dimensioni, senza che io le gestisca? Se crediamo che il compimento della nostra vita, stia davvero nella capacità di donarci all'altro, allora questo richiede da noi una grande capacità di essere in primis coloro che "si possiedono", cioé che hanno quella capacità di guardarsi dentro e di chiamare i nostri pensieri e sentimenti per nome, che permette loro di donarsi nella libertà. E donarsi nella libertà significa essere generosi ma saper anche definire i propri limiti, dire i propri "no". Tant'è vero che Gesù parla di una dinamica particolare, quella di dare la vita e riprenderla. Certo, lui ne parla in ottica del suo essere Dio e avere il potere sulla vita e sulla morte... ma in realtà anche noi, in minor grado, ce l'abbiamo. Donare la vita non è infatti lo stesso che lasciarsela rubare. Dove sta la misura? Come si riconosce questo confine? Dai nostri sentimenti. Se io e te ci doniamo nella libertà, siamo felici. Ma laddove dentro di noi appaiono sentimenti negativi, stanchezza, pensieri "neri"... forse siamo arrivati al limite della nostra umanità che ci dice che qui non c'è più il dono della vita, ma semplicemente un'abitudine ad essere sempre disponibili anche dove non rispettiamo noi stessi. Dare la vita significa necessariamente avere modo per "riprenderla", ricaricarsi, ritrovarci con noi stessi e con Dio. Solo così potremo essere, come Lui, dei buoni pastori per tutti coloro che Egli mette tutti i giorni sulla strada della nostra vita. 


al bivio (3): i desideri

Mi sono domandata più volte, e di conseguenza ho domandato anche a delle persone giovani, perché la parola "vocazione" susciti spessissimo una sensazione di paura o di smarrimento. La risposta quasi da parte di tutti era la stessa, con sfumature diverse. Sembra che si tratti di una sorta di decisione presa già dapprima, dall'alto, per noi, al di là della nostra libertà, una sorta di verdetto che prima dobbiamo indovinare e poi con umiltà accogliere oppure subire. E se non lo facciamo, guai a noi: avremo deluso l'Amico più grande o addirittura, saremo puniti. 
E ora basta con questi ragionamenti! 
Ma se Dio è buono ed è nostro Creatore, non poteva in qualche maniera darci qualche indizio, in modo che non andiamo a caso a indovinare? Certo che poteva! E l'ha fatto! La nostra vocazione matura nel nostro cuore e occorre solo guardare lì, per scoprirla. Si cela nei desideri, in quei desideri più folli, più profondi, che alle volte abbiamo timore di rivelare. Ma il nostro cuore spesso è impolverato, con uno strato spessissimo di preoccupazioni, affari da portare avanti, il continuo corri corri... E in tutto ciò riusciamo a scorgere giusto qualche superficiale voglia, di certo non desideri più profondi. 
Se diamo invece alla nostra vita il ritmo che ci permette di scavare in profondità e, nei nostri desideri cominceremo a vedersi delineare una strada da percorrere, non cadiamo nella tentazione di adottare le categorie umane. Dio non punisce e non "ce la farà pagare", se sbagliamo la rotta o deviamo dalla strada. Con Dio non si fa matematica, dove tutti i conti devono quadrare alla perfezione. Lui è come un navigatore che ricalcola continuamente il percorso per noi, riportandoci sulla strada giusta, se ci fidiamo di Lui. L'importante è non confondere i momentanei moti del cuore, con le autentiche nostalgie della nostra vita. I primi non sono buoni consiglieri per prendere delle decisioni, le seconde, durature e forti, sì. Attraverso di esse ci parla Dio. 
La vocazione è il compimento di ciò che dentro di noi sogniamo, delle volte senza nemmeno saperlo, è felicità. Ma è anche qualcosa di più: è contribuire al compimento del sogno di Dio sull'umanità. 

domenica 3 maggio 2020

il meglio della vita

Si... oggi è la domenica del Buon Pastore e siamo abituati a pensare a Lui come uno che guida le sue pecore. Ma questa IV domenica di Pasqua è anche giornata di preghiera per le vocazioni.  Io  oggi mi immagino un Buon Pastore diverso, quello che... spinge! Qualsiasi genitore, educatore, guida, deve a un certo punto, in quel momento giusto, spingere e mandare, come dice il Papa, spingere ad uscire. E si, è un movimento spirituale quello di spingere: così fa la madre quando partorisce un figlio, quando da alla luce una creatura finalmente capace di vivere con le proprie forza. Così è con la vocazione. Ti accorgi di volerti "dare al meglio della vita" (slogan della giornata odierna), quando finalmente c'è qualcosa (o qualcuno: lo Spirito), che ti spinge fuori, prende tutto il tuo essere e lo muove verso i fratelli e il mondo, mentre ti tiene stretto presso il Signore e quando trovi che questo donarti e restare con Lui, è il meglio della vita. Il mandorlo in foto è un mandorlo vocazionale. Guardo la sua bellezza, mentre fiorisce, dopo essere stato piantato come simbolo delle nuove vocazioni, in questa giornata, per rendere grazie e chiedere che tanti si sentano spinti per la missione, dopo aver scoperto di essere una missione. 
Concludo con le parole di don Pino Puglisi: "Abbiamo bisogno di vocazioni. Vocazioni coscienti, generose, perseveranti, ogni giorno rinnovate. Abbiamo bisogno di persone che siano cioè consapevoli che la vita ha un senso perché è una vocazione. Consapevoli di essere chiamate da Dio nelle comunità in cui vivono per rendere ciascuna un servizio singolare, unico, irripetibile, indispensabile, complementare a quello degli altri per dare vita a vere comunità, nella varietà dei carismi e dei ministeri, dei talenti e dei servizi. Abbiamo bisogno di vocazioni al servizio della comunicazione, al servizio dell’annunzio, al servizio missionario, al servizio socio-sanitario, al servizio dei poveri e degli handicappati, degli emarginati e dei tossicodipendenti, dei carcerati e dei dimessi dal carcere, dei giovani e degli anziani, dei lavoratori e dei disoccupati, vocazioni al servizio politico e amministrativo. Ma innanzitutto abbiamo bisogno di persone che si mettano a servizio delle vocazioni, di persone cioè che siano a servizio dei fratelli, ponendosi accanto a ciascuno per un cammino graduale di discernimento. Persone che a tal fine diano indicazioni, alla luce della Parola di Dio, perché ciascuno capisca qual è la sua vocazione e qual è il servizio che deve rendere".

al bivio (2): una voce

Abbiamo cominciato, nella puntata precedente, a considerare come solo a partire da una relazione possiamo stare al bivio chiamato "vocazione" e sentire una voce. Per approfondire questo particolare aspetto, andiamo a vedere alcuni passaggi degli Atti degli Apostoli. In questo libro della Bibbia troviamo varie storie riguardanti appunto quelli che sono stati più vicini a Gesù. Da un lato raccontano cose affascinanti e curiose. Dall'altro però possono sembrare cose astratte e impensabili. Filippo sente e va e agisce, come pure Anania. Pietro ha una visione... insomma, sembra fantascienza. O meglio, pensiamo spesso: queste cose oggi non succedono. Ok avere qualche relazione con Dio, provare a parlare con Lui, sforzarsi di riconoscere la sua presenza, ma proprio sentire le voci? No, per carità, sono fiabe. Ed è vero! La voce di Dio dentro di noi è soave, per questo fatichiamo nel sentirla. Possiamo proporci tre passaggi per aiutarci in questo. Fermati, fai silenzio e guardati dentro. Che proposta ti sembra in un mondo in cui ci viene insegnato da tutte le parti di correre con le cuffie nelle orecchie e di guardare più fuori che dentro di noi? Un po' controcorrente forse... Ma non deve essere necessariamente così, però. Se tu davvero vuoi scegliere la giusta direzione, mentre senti di trovarti al bivio, puoi iniziare dal dedicare del tempo per fermarti con Dio e con calma guardare i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri e cominciare a comprendere, cosa Egli ti dice attraverso di essi. 
Forse ti è capitato di aver fatto sforzo a lungo per sentire la voce di Dio, ma non hai visto risultati. Non è motivo per scoraggiarsi, anzi, vedrai che la tua perseveranza ti ripagherà, quando finalmente i tuoi tempi si incroceranno con quelli di Dio. Hai un'importante certezza: Lui è Dio e non ti abbandona nemmeno quando a te sembra di non sentire quando Lui parla. Sii paziente con te stesso. Ma tieni le "antenne" e gli occhi del tuo cuore sempre vigilanti. 
La voce che indica la direzione, la vocazione, appunto, può risultare molto particolare. Anzi, c'è di più: delle volte è una voce anche molto forte, che noi cerchiamo di silenziare a tutti i costi. Se dentro di te qualcosa ti "disturba", in un misto di fascino e paura, non abbassare il volume, ma tendi l'orecchio. Ascolta, non te ne pentirai. 👂


sabato 2 maggio 2020

al bivio (1): una relazione

Oggi e nei prossimi giorni volevo soffermarmi su un bivio, che riguarda tutti noi, senza eccezione. Questo bivio ha un nome, che definisce una "cosa" che ad alcuni fa paura, solo al pensiero, per altri è una "cosa" riservata ai preti, suore e frati. E invece questa "cosa" va molto oltre il solo ambito religioso e non va temuta. Basta lasciarla crescere e chiamarla per nome, per scoprire, che c'è e ci è sempre stata, anche se tante volte nascosta e non ascoltata. E che significa tante, ma proprio tante cose. 
Stiamo parlando della VOCAZIONE. Una parola forse sconosciuta, forse arcaica, incomprensibile, eppure è una delle parole della nostra vita. Non riporto i significati dei dizionari, ve li potete cercare da soli. E non do nessuna definizione compilata da me. Spero che dopo qualcuna di queste brevi riflessioni che condivideremo, ognuno potrà trovarne una propria, pregna di significati e di vissuti. Iniziamo!

Oggi ci soffermiamo su un concetto basilare, per parlare della vocazione. E' la relazione. Non c'è cristianesimo senza la relazione fondante, quella con Dio. E' tanto ovvio per quanti la coltivano, quanto incomprensibile e astratto per coloro che non ce l'hanno. Come si coltiva una relazione? Ovviamente frequentandosi, parlandosi e conoscendosi sempre di più. Come è frequentare Dio? Beh c'è chi dice che a Dio si parla in una forma di monologo e si spera che senta qualcosa o che voglia ascoltare. Altri dicono che si sentono ascoltati da lui, che lo incontrano quotidianamente in ciò che vivono. Certo, se pensiamo che Dio "non sia di questo mondo", diventa dura, stabilire una relazione con qualcuno che vive solo oltre la nostra realtà e in qualche distante "al di là". Forse qualcuno ce lo vuole anche far credere o forse troppo spesso ci ritroviamo proprio a crederlo già dentro di noi. E allora si fatica a stabilire e mantenere questa relazione. Perché non è nemmeno cristianesimo, l'osservanza delle leggi, della moralità, la frequentazione dei sacramenti o di qualsiasi rito, se dietro non c'è una Persona. Una Persona alla quale tende tutto questo e che dona senso a tutto ciò.  

Certo, è difficile perché Dio è una persona che non possiamo toccare, guardare negli occhi, ascoltare con le orecchie. Tante volte anche se crediamo in qualche maniera nella sua presenza, fatichiamo, perché può sembrare distante. E invece Egli è più vicino a noi di quello che potremmo mai immaginare. Tutte le barriere invece vivono nella nostra testa, alle volte nel nostro cuore. Forse occorre ascoltare qui proprio ciò che Gesù stesso ci dice: "se non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei cieli" (Mt 18,3). Se ci fai caso, è proprio il bambino che ha la capacità di oltrepassare il limite, che per noi spesso è muro, tra il materiale e lo spirituale, fino a quando non gli inculchiamo, che è vero solo quel che è tangibile, percepibile con i nostri sensi. E invece: sorpresa! Anche la nostra anima possiede i sensi: sa udire, vedere e sentire una presenza, delle volte anche più intensamente di quella fisica. A noi sta utilizzarli e acutizzarli, questi sensi. 
Solo attraverso di essi possiamo stabilire la vera relazione con Dio, davvero rapportarci quotidianamente con Lui, ovviamente dedicandogli del nostro tempo (che poi è suo!)
All'inizio della nostra riflessione su cosa sia la vocazione, dobbiamo tenere ben presente che tutto inizia da questa relazione, dall'amore che ricambiamo all'amore infinito di Colui che ci ha creati. Allora, dentro questa relazione possiamo piano piano scoprire cosa è questa vocazione, cioè quella "cosa" a cui non solo siamo "chiamati" (da: vocare, chiamare in latino), ma anche quella "cosa" che ci chiama dal di dentro, dal nostro cuore. E non ci lascia in pace, finché non l'ascoltiamo. 
Ma di questo parleremo nella prossima puntata! 😊