martedì 31 marzo 2020

una compagnia certa

Gv 8,21-30

Lo confesso. Quando leggo questi testi in cui Gesù parla in una maniera un po' enigmatica... non mi piace. Mi piace il parlare chiaro. Il Signore pone delle distanze nel suo discorso di oggi, sottolinea le differenze tra lui e i suoi ascoltatori. Magari passerebbe la voglia di ascoltarlo, quando dice tutto questo e soprattutto quando sembra che non si spiega. Ma in realtà anche oggi lui ci riporta a una verità tutta da sperimentare, soprattutto di questi tempi. Io sono, l'unica cosa importante: Dio è. Una presenza, una compagnia certa, in cui credere. Gesù si fa testimone di questa presenza, soprattutto se ne farà testimone il giorno del venerdì santo, quando sarà abbandonato da tutti gli uomini e gli sembrerà di essere abbandonato persino dal Padre. Quando sarà innalzato, ci farà conoscere ancora quel Dio che sin dall'Antico Testamento si presenta come Colui che è, facendolo ritornare alla vita, nel giorno della risurrezione. Badiamo bene, qui non si tratta di Dio che c'è in una data situazione, che c'è quando lo invochiamo, c'è quando soffriamo, quando torniamo a Lui perché improvvisamente ne abbiamo bisogno. Qui si parla di uno che è, di una presenza, di una costante, e costante eterna. Forse nel tempo di disagio che stiamo vivendo, non sarà molto di consolazione a livello emotivo, ma di certo sarà una verifica della permanenza di questa Presenza nello "sfondo" della nostra vita. Uno sfondo che diventa rivestimento in cui riposare in ogni situazione, anche la più difficile e assurda. Per sperimentare ancora che non potremmo reggerci da soli, se, ininterrottamente e sa sempre e per sempre non ci fosse Lui, che è. Poche compagnie, durante la quarantena. Viene dunque a galla quest'unica e la più importante compagnia. La scopriamo restando nella casa del nostro cuore, mentre dobbiamo restare nelle nostre case. Vogliamo stare in essa?

domenica 29 marzo 2020

due in una

Gv 11,1-45

Non ci ho fatto proprio caso a Lazzaro oggi... anche se è lui la causa di tutta questa confusione  Più che le solite considerazioni sull'uscire dal buio alla luce, abbandonare i propri sepolcri, sull'anticipazione della risurrezione di Cristo, vorrei guardare ancora alle due sorelle del risuscitato. Mai come oggi mi pare che siano una stessa persona nelle sue due espressioni. Marta, inquieta come sempre, non appena sente che Gesù sta venendo da loro, gli va incontro senza manco fargli entrare nel paese... Me la immagino che corre incontro a Lui per rimproverarlo che in un momento di massima debolezza del fratello, non è stato lì con loro. E poi... provoca, si, Marta è provocatrice, non le basta sapere che il fratello sarebbe risorto nell'ultimo giorno, vuole sapere di più, vuole sapere l'utilità per la quale Gesù è arrivato lì con Lazzaro già morto e sepolto. Attende parole che le parlino dei fatti. E, donna di animo grande e fiducioso, CREDE, crede prima che il miracolo avvenga: la sua è una confessione di fede non minore di ciò che diciamo noi nel credo. Ma non finisce qui. Torna a casa e dice a Maria che il Maestro l'aspetta. Gesù non ha detto nulla di simile. Ma il fatto è che Dio quando ti parla e quando tu lo interpelli, ti vuole nella tua interezza. Per questo Marta è come se andasse a recuperare la sua "seconda metà". Maria, che finora è stata seduta in casa, si muove finalmente. Questa persona che sono loro due, tira fuori "il resto di sé", lo fa uscire, esce allo scoperto con tutto ciò che ha dentro e che forse ha spesso tenuto dentro. E avviene che questa donna si getta ai piedi del Signore e piange. Finalmente cade la corazza della "forte" Marta, che sebbene faccia bene a "rimproverare" il Signore, deve mostrarsi anche nella sua debolezza. E' come quando noi (non si sa perché) pensiamo di dover essere forti di fronte al dolore e non riusciamo a lasciarci andare. E invece Dio, per fare miracoli nella nostra vita, ha bisogno della nostra autenticità, cioè che noi non ci vergogniamo né davanti a Lui né davanti agli uomini, della nostra fragilità. Ed ecco che il cuore di Dio si commuove e avviene il miracolo. Ciò che era causa del dolore profondissimo, riporta la vita in questa famiglia. Così Marta e Maria rappresentano una persona nella sua interezza e verità. Si, perché se la malattia di Lazzaro è per la gloria di Dio, noi sappiamo che la gloria di Dio è l'uomo vivente, quello intero, risorto,  ricompostosi nella sua umanità. Risorge dunque il fratello, ma risorge anche LA sorella, si ricompone appunto. Siamo un po' tutti noi così: litighiamo (giustamente) con Dio, ma dobbiamo arrivare nei nostri dolori, a lasciarci andare, lasciare che il nostro cuore sia quello che è, forse che si spezzi, per far penetrare la luce nuova, la Luce della nuova vita. 
Tanto attuale per il nostro oggi... gridare al Signore, coscienti della nostra debolezza, del nostro bisogno in questa situazione che denuda la vulnerabilità di tutti... ma gridare da CREDENTI, coloro che sanno di essere sempre ascoltati. 

sabato 28 marzo 2020

post giudizio

Gv 7,40-53 


Mi colpisce quanto si accesa la disputa del Vangelo di oggi, su chi sia realmente Gesù e se sia lui il Messia. Si usano tutte le conoscenze che vengono dalle scritture e si fanno tanti ragionamenti più o meno contorti per... fare vedere che "io ho ragione". Come se l'identità di una persona potesse essere definita da un'altra persona con assoluta certezza. Come se il cuore e la mente dell'uomo fossero delle pietre che, una volta che si sono induriti, tali restano. E invece: sorpresa! Anche il cuore e la mente che noi giudichiamo più duri di questo mondo, finché sono in vita, possono cambiare. Ed è precisamente questo fatto che dovrebbe aiutarci a cambiare il modo di guardare le persone e permetterci di entrare nell'ottica di Dio, di acquisire gli occhi che Egli ha, guardando noi, occhi di un innamorato, che vede il meglio che la sua creatura può fare, pur senza costringerla a farlo. Gesù viene inquadrato in una serie di inflessibili "verità" proposte dalla gente, dalle guardie, dai farisei. Ogni gruppo, persona sembra tirare l'acqua al proprio mulino. Risultato? Ognuno torna a casa propria, senza concludere nulla. 
Cosa provoca dentro di noi questa quarantena? Riusciamo a vedere cose nuove e finora sconosciute o inaspettate, nel ristretto cerchio di persone con cui ora ci rapportiamo? Riusciamo, come Dio, a vedere li bene che risiede nei nostri prossimi più prossimi, nonostante la tensione che spesso rischia di farci tirare fuori invece il peggio di noi? Sarà forse una buona occasione per cominciare a cambiare il nostro sguardo, dal momento in cui non abbiamo più le vie di fuga da questo o quell'altro aspetto della nostra capacità relazionale. Possa davvero iniziare ad essere un'occasione per scrollarci dal di dosso i pregiudizi che da sempre portiamo dentro di noi, quelli sulle etnie, sui gruppi sociali, sulle nazioni, sui singoli, persino sulle nostre famiglie. Siamo chiamati davvero a passare dal pregiudizio ad una sorta di post giudizio, cioè ciò che viene dopo e nonostante che, per la nostra propria sicurezza emotiva e mentale, noi abbiamo già giudicato e inquadrato le persone. Solo andando oltre questo, potremo infatti scoprire la bellezza dello stare insieme, del convivere, del ritrovarci tutti uguali, come davvero è, davanti a Dio. E lo potremo fare, per assurdo, a partire dal nostro essere oggi tutti uguali, davanti ad un microrganismo, che minaccia le nostre vite, ma che non potrà averla vinta mai, sulle nostre relazioni, se solo noi lo vorremo. 


venerdì 27 marzo 2020

l'unica certezza

Gv 7,1-2.10.25-30

Man mano che si avvicina la Pasqua e, prima di essa,  i momenti della Passione, vediamo nei racconti del Vangelo, lo stringersi delle argomentazioni e l'irrigidirsi sempre più grave della categorizzazione della persona di Gesù. Pochi ragionamenti ormai, molta voglia di incastrare il tutto dentro le conoscenze previe, tipo: ma costui sappiamo di dov'è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia. Ecco come efficacemente calmare la propria coscienza e giustificare la propria insicurezza, la necessità che scatta , di arginare e, possibilmente, eliminare ciò che mette in crisi la concezione ordinaria della vita e della fede. Sappiamo, tutto questo porterà alla morte di Gesù. Egli, d'altro canto, è sempre più spoglio anche lui, delle sicurezze terrene (ammesso che ne abbia mai avute) e dei ragionamenti convincenti. Ormai resta solo il saper da dove si è venuti e dove si va. L'unica sicurezza, quella cintura che resta per reggere la sua umanità di fronte al pericolo della morte imminente: l'appartenenza al Padre e il compimento della sua missione. Il suo ruolo cruciale nella storia della salvezza. Anche a noi in questo tempo difficile, restano pochissime sicurezze, sperimentiamo angosce, incertezze, non sappiamo come pensare al domani. Lezione di abbandono nelle mani di Dio, che porta la storia del mondo e dell'umanità, nonostante le resistenze e le interpretazioni umane, lontane dalla sua "logica". Beh allora non resta altro che inserire la linguetta della Cintura nel foro, avviare la fede, provare la solidità dell'unica sicurezza che possiamo avere in questo tempo e che in molti, non credenti, non hanno. Ci tocca farlo per noi e per l'umanità. Certi che dopo ciò che sperimentiamo come morte, verrà la risurrezione. Perché "andrà tutto bene" non è necessariamente vero, mentre "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio", sì. 


martedì 24 marzo 2020

tu ce la fai!

Gv 5,1-16

Nei Vangeli le persone vivono la guarigione sempre a contatto con qualcuno. Essendo l'uomo un essere in relazione, non può prescindere dalla relazione, per essere risanato. Sia che la guarigione debba essere un dono ricevuto dalle mani di Gesù, sia che la guarigione avvenga affrontando insieme la ferita, ci vuole un'altra presenza. Infatti quando oggi Gesù chiede al malato, se vuole guarire, sembra che non senta proprio la domanda, ma che risponda con una lamentela che denota, più che la malattia, la mancanza di relazione. Non ho nessuno che mi immerga nella piscina. Non ho nessun aiuto, una persona che veda e guardi la mia fragilità, la ami e per questo amore mi sia strumento di risanamento. Lui pensava infatti di dover per forza arrivare alla piscina, di dover cercare un rito di mediazione per riprendersi. Invece ci voleva una persona che gli dicesse: muoviti, ce la puoi fare! Sì, perché dopo 38 anni in queste condizioni forse era ormai assuefatto alla sua condizione e forse in realtà non sperava più. E questa è la cosa peggiore: non avere più speranza. Non credere più di potercela fare. O addirittura dare la colpa agli altri, nel proprio non sentirsi aiutati. Non sappiamo la storia dell'infermo. Non sappiamo se e quante volte effettivamente abbia chiesto aiuto... oppure se per caso abbia sempre sperato che qualcuno lo vedesse e l'aiutasse a prescindere. Chiedere aiuto in realtà è un grande atto di coraggio perché espone la persona a vedersi negato quell'aiuto che solo potrebbe riportarla alla vita. E questo spesso significa ferita su ferita. Tuttavia ci riporta alla verità sulla relazione che guarisce. L'aiuto non sempre è quello di ricondurre la persona alla piscina. Delle volte è proprio il saperle dire: guarda che sai camminare solo che non c'hai mai provato. E la persona si scopre capace. Qualsiasi aiuto infatti che ci possiamo dare reciprocamente, non è un mettersi al posto dell'altro e vivere la sua vita al posto suo. E' invece saper dare questo spazio che serve all'altro affinché possa tirare fuori le proprie risorse. Esattamente come fa Gesù che ascolta e senza perdersi in chiacchiere, gli dice tu sei capace. E il sentirsi guardato e amato raddrizza le gambe del malato e fa sì che egli comincia a camminare da solo. A noi le ulteriori considerazioni su vari momenti ed eventi della nostra vita e delle nostre relazioni. Soprattutto in questo momento difficile che stiamo vivendo, in cui l'essere in relazione è messo seriamente alla prova, ma può rivelarsi una grande risorsa per la nostra crescita. 

sabato 21 marzo 2020

dritto al cuore

E' la più bella domenica della Quaresima, quella che ci chiama ad essere gioiosi per la vicinanza della Pasqua, difatti si chiama laetare, cioé rallegrati. Forse non ci viene per nulla da rallegrarci quest'anno... eppure c'è una chiamata alla gioia anche in questa quarantena. La Parola di Dio oggi ci manda tanta, ma tanta luce. Davide, il più piccolo e il meno indicato a diventare re, nella prima lettura viene esaltato. Il più semplice e quello non considerato... La seconda lettura ci porta sempre sulla scia della semplicità ad accogliere la luce, e a condannare tutto ciò che è tenebra, peccato e a farlo apertamente e risolutamente. Saper fare questo è già anticipazione dei frutti della Pasqua, e se noi oggi ancora scegliamo di agire così, siamo già nella Pasqua e anche oltre. E infine il lungo brano del Vangelo di Giovanni sul cieco nato che ritorna alla luce, ritorna a vedere. All'inizio del brano vediamo rispecchiata la mentalità israelitica del tempo: se uno è nato cieco, sarà colpa dei genitori che hanno peccato (idea che tra l'altro si protrae ancora tanto nel tempo, nella storia della Chiesa, fino a sant'Agostino incluso!). Speculazioni sulla sua nascita, poi speculazioni sulla sua identità: è quello che chiedeva l'elemosina o no? Speculazioni circa l'accaduto, l'evento in cui egli ha recuperato la vista... tanti raggiri mentali, tante tenebre dietro: leggiamo che i farisei avevano già deciso tra loro che chi riconosceva Gesù come Messia, sarebbe stato allontanato dalla sinagoga. La paura, persino nei cuori dei genitori del guarito. Il non voler parlare. E il protagonista si ritrova solo, quasi a doversi difendere da chi lo attacca, per trovare i motivi per sollevare il polverone. E, in mezzo a questa confusione, la magnifica capacità di dire solo quel che va detto, dell'ex-cieco: "se sia un peccatore non lo so. una cosa so io: ero cieco ed ora ci vedo". Nessun raggiro mentale, nessuna voglia di giustificarsi di fronte a chi lo accusa, nessuna parola in più. Solo l'oggettivo accaduto. Frutto della luce che l'ha raggiunto nella guarigione. Quando la luce di Dio comincia a penetrare nella vita di una persona umana, a dispetto di tutti coloro che potrebbero anche volerlo ferire e mettere alla prova, egli non si sbilancia... perché la forza di Dio è con lui. E infatti, pian piano che la luce avanza dentro i nostri animi, tutta la nostra persona si semplifica. Non cerca più giustificazioni davanti alle accuse ingiuste, non cerca tante parole, va dritto al cuore delle questioni. Sa che il resto è opera delle tenebre. Speculazioni, pettegolezzi, raggiri vuoti... non servono al discepolo di Gesù. Ed egli, anche se cacciato fuori, sa credere con semplicità e con semplicità confessare io credo. Ed è esattamente da qui che poi sgorga il laetare,  a cui ci invita la chiesa oggi. Dalla fede, che, man mano che si semplifica, diventa capace di scorgere la presenza di Dio anche nella quarantena. E produce gioia profonda, (non vuota allegria) anche laddove si fatica. 

domenica 15 marzo 2020

dove passa Dio?

Gv 4,5-42

Avevo in mente oggi quei passaggi di personaggi importanti, quando devono visitare una città o c'è un evento, tipo il Papa, e si passa la parola: guarda che il Papa passa di quà e... tutti si dirigono in quella direzione...
Avete mai pensato cosa sarebbe successo se si dicesse oggi: guarda, a quell'ora Dio passa in quel luogo. Ci andremmo tutti? Io penso di sì, chi per fede, chi per non-fede, cioé perché scettico (tipo io), chi per curiosità, chi per relazionare sui raduni ecc. Beh, Dio di certo prende le strade che non necessariamente conosciamo. Cosi Gesù dalla Giudea si dirige verso Galilea e... non si capisce perché, passa per la Samaria. Non c'era mica bisogno di passare di là, non soltanto per la strada da fare, ma anche perché Samaria, si sa, non era un ambiente frequentato dai giudei... Eppure lui sceglie di passare proprio lì. A che scopo, a mezzogiorno? Se non c'è nessuno in giro? (come in questi giorni sulle nostre strade)... Siccome lui è uno che non perde nemmeno una pecora del suo gregge, va dove c'è una che ha un bisogno vitale di Lui. Eh si, Lui sa che lei esce negli orari più impensabili, perché per la gente e una poco di buono. E come se questo non bastasse, lei è la prima alla quale Gesù si autorivela, cioé la prima alla quale è lui a dire di se stesso, di essere Messia. Esagerato? 
Beh guardiamoci attorno... non abbiamo messe, siamo spaventati perché non accediamo ai sacramenti e temiamo per le nostre anime. Eppure, come disse già qualcuno c'è una crepa in ogni cosa e da lì entra la luce. La crepa della nostra insicurezza in questi giorni, si fa spazio per Dio. Egli si fa un giro diverso e inaspettato, entra nelle nostre vite e nelle nostre case attraverso gli schermi, attraverso delle condivisioni che altrimenti non avremmo forse fatto, attraverso i sentimenti di debolezza e di abbandono a Lui. Si fa presente, non ci abbandona. Per la Samaritana è il peccato in cui vive, per noi è questa vulnerabilità che diventa strada, anzi diventa porta per Lui. E finalmente non siamo noi a dire: Dio di qua, Dio di là (come succede nei Vangeli, quando dopo le guarigioni o gesti come quello di Cana, sono gli altri a riconoscere la messianicità di Gesù), ma è Lui che si mostra nella sua potenza e nel suo essere Lui quello che ama il mondo anche nell'ora più rovente, in questo mezzogiorno che stiamo vivendo, sterile, silenzioso, scottante. E parla, come ha parlato alla Samaritana. Le dice tutta la sua vita e fa di lei la sua messaggera. Cosa ci dice della nostra vita, nel silenzio di questi giorni, quanto lo ascoltiamo? E' tempo di preprazione per essere messaggeri anche noi, per poter dire: anche questo mi è servito, per portare la sua vita nel mondo.

sabato 14 marzo 2020

tutta colpa del padre...

Lc 15,1-3. 11-32

Bello questo Padre prodigo...Certo che noi diamo sempre la colpa al figlio perché sperpera. Ma come potrebbe essere mai il figlio se il Padre è così tanto prodigo? Certo, il Padre lo è secondo la verità e secondo le dismisure di una vita veramente donata. Vede, ha compassione, corre incontro, si getta al collo, abbraccia, bacia...forse mentre leggiamo ci viene una sorta di nostalgia.. tutte cose che noi in questo tempo di emergenza, non possiamo fare. Ma il Padre infine fa festa e anche noi crediamo che la faremo, e ha ancora determinazione ed energie per "sprecare il tempo" col figlio maggiore...insomma, sta avendo misericordia con tutti noi e con tutto ciò che combiniamo, sia quando ci allontaniamo, sia quando restiamo in casa, ma...siamo arrabbiati e infelici. Quanto spreco, quanto spreco santo! Mi viene da pensare alla felix culpa e a questo felix sperpero dell'amore da parte del Padre dalle mani e dal cuore bucati, che perde controllo dell'amore e gli permette di fluire libero dal cuore. Perdere il controllo sull'amore, ecco come lo si vive: possa l'amore prendere il controllo su di noi e ricolmarci dell'esperienza autentica della misericordia.

giovedì 12 marzo 2020

il tuo Lazzaro

Lc 16, 19-31


Il riccone del Vangelo di oggi, nota la presenza di Lazzaro solo dopo la morte. Lo riconosce finalmente come una presenza, e non una presenza qualsiasi, no, no, lo percepisce finalmente come una presenza che gli è necessaria. In vita non ha saputo dargli ciò che gli era necessario, ora sa che potrebbe ricevere qualcosa da lui, che però gli viene negato, in base alle scelte fatte durante la sua vita terrena. 
Al di là dei risvolti finali, vale la pena guardare oggi la propria vita e cercare il Lazzaro che ognuno di noi ha (almeno uno di sicuro).
Quel Lazzaro che ti offre la goccia di semplicità, nel bel mezzo dei tuoi pensieri contorti.
Quel Lazzaro che ti offre la goccia del sorriso quando ti intristisce l'animo afflitto dalla confusione di sentimenti.
Quel Lazzaro che ti offre la goccia della soluzione immediata, quando tu cerchi soluzioni chissà dove.
Quel Lazzaro che fa quella cosa, che "non si può fare", perché... non lo sa che "non si può".
Quel Lazzaro a cui ricorri quando hai bisogno della goccia della leggerezza.
Quel Lazzaro che cerchi quando hai bisogno della goccia di ascolto.
Continua tu la tua lista...

Chi è il tuo Lazzaro? Cogli la sua presenza nella tua vita perché, sebbene possa essere presenza semplice, che non si impone e delle volte inosservata, ti dona nella vita un sollievo di cui tu hai bisogno. Così è con gli umili e i semplici: non li vediamo, ma senza di loro la nostra vita sarebbe più pesante.