martedì 19 dicembre 2017

in silenzio per amore

Alle volte la nostra vita ha bisogno di essere zittita. Quando in essa si affaccia qualcosa che umanamente risulta incomprensibile, di fronte alle nostre mille argomentazioni, Dio trova il modo per zittirci. E ci fa capire chiaramente, come ha fatto con Zaccaria, che lo fa per amore. Perché il progetto più grande di noi, più bello di qualsiasi nostra capacità di immaginazione, rischia di rimanere soffocato dai nostri calcoli e dalle nostre logiche. Per questo, adesso è il tempo di tacere, finché le cose non avvengano. Forse questo vale mille volte di più nel tempo della frenesia natalizia. E non per mortificarci, ma per liberare la mente e il cuore affinché sappiano farsi spazio per l'essenziale: per accogliere Colui nel quale ogni silenzio e ogni parola acquistano il vero senso. Facciamo silenzio, dunque, perché sta per succedere un miracolo, sta per succedere di nuovo LA VITA.

domenica 10 dicembre 2017

la culla dell'attesa

Preme tanto la vicinanza di Dio all'uomo. C'è un pre-cursore, che ci porta e ci trasporta ad immergerci nell'intimità Dio-uomo, quasi compiuta. Giovanni si fa spazio del "già e non ancora", dell'anelito, finché non nasca il più piccolo nel regno dei cieli, il Bambino. Perché Dio si è annidato già nella culla dell'attesa, grembo di una ragazza. E,  "se lo vogliamo accogliere", Giovanni siamo noi, se leggiamo in lui il desiderio di Dio, quello di farsi prossimo e farsi uno con l'uomo. Per questo noi siamo al mondo: per farne esperienza ed essere luogo di incontro dell'uomo con Dio. Nell'invisibilità di un'esperienza che un giorno avrà il suo compimento.

#grazieGiovanni

mercoledì 6 dicembre 2017

A come attesa


Aspetto te,
Pane gonfio, maturo,
cotto, ripieno 
di ogni questione umana 

Amante diurno e notturno,
che risvegli 
i moti più profondi
e più sconvolgenti 
del mio essere affamato

Sposo mio, Creatore, che risorgi:
spalanchi l'abisso di luce
spaventosamente deviando 
la direzione dell'oscuro andare,
mutando in legame ogni distanza
in gravidanza ogni sterilità
in amore ogni paura.

Trasformando in vita
ogni tomba segretamente custodita,
gelosamente bisognosa
del solo tuo sguardo, 

che fa rinascere e risorgere, 
riportando tutto 
al primo Amore.

giovedì 30 novembre 2017

insistere o/e perseverare?

Con la perseveranza è così: davvero essa salva la nostra anima. Perché una cosa è insistere e un'altra perseverare. Insistere è da carro armato. Non ci piace insistere, soprattutto a vuoto, e non ci piace che qualcuno sia insistente con noi. Ma perseverare sottintende l'amore. Si, persevera solo la persona che è amata e ama. Per questo si verifica nella vita che se tu insisti affinché le persone e le situazioni cambino, questo non succede. Può essere che alla tua insistenza manchi quella dose di amore che la renderà perseveranza. Perché le cose e le persone cambiano, solo quando si sentono scaldate dall'amore, che, direbbe san Paolo, è paziente. Qualunque cosa debba succedere, c'è la garanzia per eccellenza, legata alla perseveranza: nemmeno un cappello del nostro capo andrà perduto. E questa è una promessa d'amore, è un amore che dà sicurezza sufficiente per poter perseverare. Proviamo a sentirci amati e ad amare... evidentemente questo è ciò che poi salva.

martedì 14 novembre 2017

quando non serve servire

Quanta paura al pensarci inutili... Tutti sperimentiamo qualche volta, abituati alle corse quotidiane, quello smarrimento strano di quando all'improvviso si presenta un momento in cui non abbiamo nulla da fare! Come se la nostra identità si dovesse costruire e mantenere in piedi a partire dal nostro fare... Eppure Gesù ci suggerisce che beati sono quei servi che sanno essere inutili, cioé sanno dire: ecco, ora ho finito, non devo cercare altri motivi per correre ancora. Si, ci vuole il coraggio per essere inutili. Inutili, inutilizzabili, senza utilità. Perché la nostra vita non è da utilizzare. Siamo fatti per stare, "inutilmente" davanti al Signore, per lasciarci riempire da Lui. Riposare in Lui, in questo senso, è indispensabile per saper invece servire davvero, quando è tempo di servire. Perché se è vero che si impara a servire, servendo, è altrettanto vero che si serve con tutto se stessi, quando la condizione ordinaria di vita non è il vortice del fare, come modo di fuggire dal senso di essere inutili. Se il lavoro è il prolungamento e la partecipazione all'opera della creazione, allora è legittimo ciò che Dio fece, quando si fermò nel creare e vide che tutto ciò che fece era una cosa buona. E questa bontà e bellezza si possono scorgere solo se l'animo si ferma sull'importanza dell'essere che viene prima del fare.

sabato 11 novembre 2017

ricordati di camminare

Se tu decidi di fermarti per vedere chissà quali meraviglie, ricordati: il miracolo è quando cammini. Quando tu cammini con la consapevolezza di camminare verso di Lui. E' nel movimento che il sangue scorre più velocemente, e avviene la purificazione. E se tu pensi che, una volta avvenuto il miracolo, puoi stare comodo, ricordati: è solo l'inizio. Perché il tuo camminare deve produrre ancora molti miracoli, i passi dei piedi o i passi del cuore, non importa. Va' e torna. Muoviti. Mostrati grato, cioè disponibile al nuovo miracolo, perché riconoscente del fatto che non hai nulla di tuo che sia in grado di compierlo, ma tutto ti è stato donato. Gratuitamente. E alla gratuità corrisponde solo la gratitudine. E la percezione della gratuità muove i tuoi passi grati verso Colui che dona gratuitamente. E questo è il vero miracolo, le mani aperte per ricevere e i piedi che camminano. Così poco e invece è così tanto, nella percezione del continuo miracolo che è la vita.

venerdì 6 ottobre 2017

occhio nell'occhio

Dice il Piccolo Principe che amarsi non è guardarsi negli occhi ma guardare insieme nella stessa direzione. Credo sia profondamente vero. Ma avviene solo quando le due persone per un tempo hanno saputo guardare l'uno negli occhi dell'altro. La capacità di fissare insieme lo stesso obiettivo e così essere uniti da una stessa passione, avviene quando ci si è conosciuti e, usando il concetto dello sguardo, se si è capaci di guardarsi negli occhi. 
Ci sono poi contesti, situazioni, periodi della vita, in cui ci si può accorgere, che c'è qualche persona vicino a noi, alla quale non riusciamo a guardare negli occhi. Magari è più facile verificarlo, quando ci troviamo in un gruppo. Parliamo guardando tutti meno che questa persona/queste persone (se ce ne fosse più di una). Sì, ci sono degli sguardi che, non si sa perché, non riusciamo a sostenere. Può essere che dietro questa difficoltà ci sia una semplice timidezza oppure, appunto, una mancanza di reciproca conoscenza, oppure qualcosa di irrisolto... o, ci sono anche quegli sguardi che ci sembrano così penetranti, così "impegnativi", che non ce la facciamo semplicemente. Pare poi che qualche ultima ricerca scientifica faccia presagire che alle volte non riusciamo a mettere d'accordo la "lettura" del volto dell'altro e la "stesura" del discorso che stiamo facendo. Pare che anche il nostro sistema nervoso in alcuni momenti ci faccia evitare di guardare un volto, perché si vuole concentrare sulle parole da dire, se si tratta di un contesto di dialoghi ecc.
Ma resta sempre vero che ci sono nella nostra vita dei volti e degli occhi "impegnativi". Non ci piace essere "conosciuti" senza che noi diamo il permesso all'altro di conoscerci. E quindi questi occhi che ci penetrano, ci creano disagio, non importa che sia in positivo (arrossendo quando la persona con cui scambiamo lo sguardo è quella per cui nutriamo un interesse), o in negativo (volendo scappare quando la persona che abbiamo davanti ci provoca antipatia). 
Alle volte penso che è vero quello che ci dice la Parola di Dio: è questa la ragione per cui noi non possiamo vedere ancora faccia a faccia Dio. Lo sguardo puro e penetrante di Dio, sebbene lo sperimentiamo nella vita spirituale, non possiamo sperimentarlo "fisicamente", perché significherebbe sentire come siamo conosciuti, fino in fondo, in ogni dimensione e in ogni momento. Perché i suoi occhi non ci lasciano mai, ma, guarda caso, noi non ne abbiamo consapevolezza costante. 
Forse questa è la sfida, soprattutto quando ci è difficile guardare qualche persona, per un insieme di sentimenti di confusione e di insicurezza che ci provoca. Occorre decidere di guardarla negli occhi, anche quando è difficile, e farlo pensando che in questo scambio difficile di sguardi, c'è Dio. Se gli occhi di un fratello mi risultano troppo penetranti per "lasciarmi conoscere" così facilmente, oppure perché c'è qualcosa che in me non è chiaro, ecco, lasciamoci guardare da questo fratello. Possiamo pensare che proprio in quel momento il Signore ci guarda, perché Egli abita in ogni persona che incontriamo sulla nostra strada. Sì, Dio ci guarda soprattutto in questi sguardi insostenibili, ci sfida ad accoglierlo dovunque, ci invita ad essere conosciuti, a scoprire che l'umanità potrà guardare nella stessa direzione di pace e di unità, se sapremo iniziare dal nostro piccolo ambiente, nello scambio sincero di sguardi come espressione di reciproca considerazione. 

martedì 3 ottobre 2017

se n'è andato e... c'è!

A Lui, eternamente vagabondo e per sempre presente... (Transito 2017)

Solo una piccola porzione
per amore di colui
che è Tutto
che con la sua Croce
tutto ha compiuto
Compiuta la sua parte
le mani inchiodate le braccia incrociate
il cuore consegnato la speranza non delusa
Sì, la speranza è tutta proprio qui
E di nuovo Assisi sul tuo cielo
una stella fulgente conclude e vola
verso Colui che è Santo forte, grande
altissimo e onnipotente
che è rifugio, fortezza
mitezza e dolcezza
Si chiude l’occhio si schiude il cielo
festa della speranza che nei figli
durerà in terra per sempre
che regna invincibile
nella sera e nella mattina che furono
nel primo giorno
Giorno dell’Eternità


martedì 26 settembre 2017

il test dell'amore

Oggi mi è ri-capitato tra le mani questo bellissimo testo, verifica dell'amore, di Anthony de Mello. Lo condivido con voi!


Questo è il test più sicuro per verificare se quello che tu hai è amore. Lungi dal diventare indifferente, tu ora godi di ogni cosa e di ogni persona, come prima godevi nell'oggetto del tuo legame. Solo che ora non ci sono più né febbre né sofferenze, né apprensione. In effetti ora si potrebbe dire di te che godi di tutto e di niente. Perché tu hai fatto la grande scoperta che ciò che ti fa godere di fronte a ogni cosa e persona è qualcosa che sta dentro di te. L'orchestra è in te, e tu te la porti dentro ovunque vai. Le cose e le persone che stanno fuori di te precisano soltanto quale particolare melodia l'orchestra suonerà. E quando nessuna cosa o persona attirerà in maniera particolare la tua attenzione, l'orchestra eseguirà una sua musica, senza bisogno di suggerimenti esterni. Tu ora arrechi al tuo cuore una felicità che nessuna cosa che sta fuori di te ti può arrecare né togliere.

domenica 17 settembre 2017

dio mi ha parlato

Nelle stimmate sta la risposta più efficace ai tormenti di Francesco. Nelle nuove ferite, la salute dell'anima. 
Buona Festa delle Stimmate, allora!

Il mistero sublime finora nascosto
adesso si fa scorgere da lontano

Dalla Parola aperta
scorre come un fiume,
travolge

Nel nascondimento, dove il mistero
aspetta l'ora di rivelazione

Molto in alto, dove manca il respiro
dove acceca una luce più forte che mai,
la luce di cui splendono le ali,
le sei ali infuocate.

La speranza del Mistero sempre più vicina.
La prontezza, la consegna del Mistero.
Lo stupore che trafigge 
mani, piedi e fianco

L'Amore che trapassa il cuore
fino al sangue.
Speranza della morte d'Amore.

martedì 12 settembre 2017

un nome, una garanzia

Sarà una coincidenza che oggi, festa del Nome di Maria, nel Vangelo c'è tutto un elenco di nomi di coloro che sono stati scelti da Gesù per essere suoi apostoli? Beh, forse Qualcuno semplicemente ci vuole far riflettere sull'importanza del nome. Ripeti nel tuo cuore il tuo nome. Lo senti tuo? Senti che sei questa persona: Agata, Domenico, Paolo, Salvatore, Antonella, Francesco, Chiara... Senti anche che la tua persona è nel tuo nome ma anche oltre? Si, oltre, perché c'è un nome nuovo, preparato da te da sempre. Ce ne parla chiaramente la Parola di Dio. Ma... si, quando Dio chiama, vuole una risposta e ti chiama proprio con il tuo nome "vecchio", affinché tu piano piano diventi quella persona che ha un nome nuovo. Si potrebbe dire, che inizia così il viaggio verso il nome nuovo.
Oggi è una giornata in cui potremmo desiderare che questo nome nuovo suoni come "Maria"... si, il suo nome, anche se non ci è stato dato al battesimo e non risulta così all'anagrafe. Come si fa? Beh, ci viene in aiuto san Massimiliano, mentre spiega con termini di un innamorato, la sua proposta spirituale: 
appartenere a Lei, approfondire la donazione illimitata a Lei, stringere il vincolo d'amore con Lei, divenire Lei stessa, affinché Ella possa agire attraverso essi e nelle loro anime. Forti parole, eh? Il punto è che lui ha ragione... appartenere a Maria, come modalità di appartenenza a Cristo, significa essere una presenza materna, tenera (secondo la rivoluzione della tenerezza alla quale ci invita Papa Francesco), e premurosa, nel mondo, nel nostro quotidiano. Farsi carico del fratello, un po' come fa la donna in foto, chiunque egli sia, in qualunque modo, alla faccia di tutto quel mondo che ci insegna di curarci e curare solo noi stessi: ecco come diventiamo Maria. Ecco come dopo il nostro nome: Riccardo, Tommaso, Cristina, Valentina, Roberto...all'improvviso, a nostra insaputa, appare il nome di Maria. Perché, senza accorgercene, diveniamo portatori di Cristo e indirizziamo le persone verso di Lui. Questa è la proposta di san Max, questo è il senso con cui possiamo tutti celebrare la festa di oggi. Non temiamo! Tra i nomi degli apostoli scelti dal Signore c'è anche Giuda. Se era degno lui di stare vicino a Gesù e di essere suo testimone per chiamata, lo saremo anche noi. A Maria chiediamo di insegnarci a non trasgredire questa dignità. Sì, perché Maria è un nome, una garanzia! 

sabato 9 settembre 2017

viaggiare incontro a...

Oggi mi piace riproporre questo piccolo brano di Madeleine Delbrel, che rovescia qualche nostra comune logica J
Come colui che lascia Parigi per il deserto sorride da lontano alla solitudine; come il viaggiatore che attende con cuore ansioso le lunghe giornate al mare; come il monaco che accarezza con gli occhi i muri della sua clausura, così, fin dal mattino, apriamo la nostra anima alle piccole solitudini della giornata.
Perché le nostre piccole solitudini sono grandi, esaltanti, sante al pari di tutti i deserti del mondo; esse, che sono abitate da Dio stesso, il Dio che fa santa la solitudine. Solitudine del nero asfalto che separa la nostra casa dalla fermata del tram, solitudine di un banchetto al quale altri esseri portano la loro parte di mondo, solitudine dei lunghi corridoi in cui scorre il flusso continuo di tutte le vite in cammino verso una nuovo giornata. Solitudine dei momenti in cui, accovacciati davanti alla stufa, si attende la fiamma del pezzetto di legna prima di mettere il carbone; solitudine della cucina davanti alla pentola dei legumi. Solitudine quando si lucida ginocchioni il pavimento, lungo il sentiero dell’orto in cui si va a cogliere un mazzo d’insalata. Piccole solitudini della scala che si scende e si sale cento volte al giorno. Solitudine delle lunghe ore di bucato, di rammendo, di stiratura.
Solitudini che potremmo temere e che sono lo svuotamento del nostro cuore: persone care che se ne vanno e che vorremmo con noi; amici che si aspettano e che non arrivano; cose che si vorrebbero dire e che nessuno ascolta; estraneità del nostro cuore in mezzo agli uomini.
Il primo passo verso la solitudine è una partenza. Il vero deserto lo si raggiunge, nel duplice senso del termine, prendendo il treno, la nave o l’aereo. Noi non sappiamo distinguere le numerose piccole partenze che si susseguono in una giornata perché non arriviamo mai alle solitudini che sono nostre, alle solitudini che ci sono state preparate. Per il solo fatto che uno stato di solitudine non è separato da noi che dallo spessore di una porta o dal periodo di un quarto d’ora, non gli riconosciamo il suo valore di eternità, non lo prendiamo sul serio, non lo affrontiamo come un complesso unitario, adatto alle rivelazioni essenziali.
Poiché il nostro cuore non sa attendere, i pozzi di solitudine di cui sono disseminate le nostre giornate ci rifiutano l’acqua vitale di cui traboccano. Noi abbiamo la superstizione del tempo.
Se “il nostro amore richiede tempo”, l’amore di Dio si fa gioco delle ore, e un’anima disponibile può essere sconvolta da Lui in un istante.
“Ti condurrò nella solitudine e parlerò al tuo cuore”.
Se le nostre solitudini sono per noi dei cattivi conduttori della Parola, è perché il nostro cuore è assente. 


lunedì 21 agosto 2017

quando ti manca la mancanza...

Che dire? Di fronte ad un Vangelo come quello di oggi, mancano pure le parole... :-) Un ragazzo a quanto pare perfetto, quel "bravo ragazzo" che probabilmente ogni ragazza vorrebbe sposare... si comporta correttamente, osserva tutte le regole, è abbiente, insomma, da cercare con la candela! Ma lui... vuole la vita eterna. Insomma, non gli basta quel che già ha? Pure la vita eterna vuole? Mah... In effetti Gesù non è proprio molto diretto con lui, non gli dà nessuna ricetta. Chissà cosa realmente voleva... forse la conferma che era già a posto così? Forse voleva "una cosa in più" che potesse coronare l'opera? Abituato a riempirsi, di cose e di regole, sentiva qualche vuoto. Senza rendersi conto, che quel che gli mancava era esattamente la mancanza. Non a caso se n'è andato triste. Sembra uno a cui Gesù ha precluso la possibilità di felicità. Ma no! Non è per nulla così! Anzi, occorre notare e sottolineare che il ragazzo se ne andò triste! Bella cosa no? Vedere che si gira e se ne va rattristato... Direi proprio di sì... può sembrare assurdo e crudele, ma basta che capiamo meglio i sentimenti. Perché la tristezza, oltre ad essere sintomo ovvio di una mancanza, cos'è? E' condizione indispensabile per la felicità. Se tu non sei mai triste e se non senti nessuna mancanza, non sarai mai felice. Perché tra la gioia e la felicità c'è questo passettino, che segna la trasformazione, ed esso si chiama proprio TRISTEZZA. Quindi, ora è chiaro: una mancanza che provoca la tristezza, nella vita ci deve stare. E' quando ti manca qualche mancanza, che entri in una vita astratta ed invivibile. Vorremmo infatti tutti essere felici nella concretezza della nostra vita, vero? Vorremmo vivere il nostro quotidiano, potendo dire: sono una persona felice. Ecco, dipende da noi. Dipende dalla nostra accettazione delle mancanze nella vita. Dipende, alle volte, da quante cose siamo disposti a "toglierci di mezzo", quando la mancanza non è sufficiente. Si, così come Gesù ha detto al ragazzo: ti manca solo una cosa, una maggiore mancanza: vendi tutto e dallo ai poveri, vieni e seguimi.  Se il giovane se ne fosse andato arrabbiato, sarebbe più pericoloso, non sarebbe infatti predisposto al cambiamento. Invece lui, triste, ha ancora una grande possibilità di ritorno. Ed è proprio la tristezza che gioca a suo vantaggio. Permettere a se stessi di provare la tristezza significa entrare con tutto se stesso nella realtà della vita e poterla accettare così come è. Sfuggire la tristezza significa voler vivere ubriachi di gioia, quella falsa, voler restare "instupiditi" e quindi non vivere coi piedi per terra. Non illudiamoci: la persona matura emotivamente sperimenta la tristezza e la sente con tutta se stessa (così come, del resto, tutte le altre emozioni). Chi se ne vuole andare da ogni situazione accontentato, resterà con il suo contentino, che presto finirà... e che non durerà quanto la vita eterna, preceduta dall'esperienza della mancanza.

lunedì 14 agosto 2017

figlio, non schiavo

Oggi, come molti sanno, si celebra san Massimiliano. Lui, che ci insegna a partire dalla propria esperienza, che la felicità e la libertà vengono dal di dentro di noi stessi, oggi mi parla particolarmente di questo. Specialmente quando leggo il Vangelo di questo lunedì.
Ripenso alla vita di padre Kolbe e a quante opere ha realizzato attraverso il suo entusiasmo apostolico, passione per Dio, spinto dall'amore per l'Immacolata, la sua Mamusia (mammina), come spesso la chiamava. Ripenso a come 76 anni fa, in quel terribile luogo che era campo di concentramento, ha compiuto il sommo atto di libertà, ha donato la vita fino in fondo, regalandola ad un fratello che, seppur sconosciuto, ha considerato più importante di sé.
Gesù nel Vangelo di oggi chiede a Simone se i figli dei potenti debbano pagare le tasse o no. E la risposta è ovvia. Così come ovvio era che Massimiliano ad Auschwitz non era costretto a pagare con la propria vita. Ma Gesù la tassa, ha deciso di pagarla, per sé e per Pietro. E Kolbe la vita, ha deciso di donarla, a Francesco di cui posto ha preso al momento della condanna a morte e per tutti coloro che a seguito del suo atto sommo di testimonianza, avrebbero creduto al fatto che l'amore vince sempre e che anche ogni luogo più orribile, può trasformarsi in luogo in cui vince la vita.
Mi sembra tutto molto significativo. Certamente Gesù non ha pagato perché aveva paura dei potenti, da schiavo... come sicuramente Massimiliano non ha donato la vita rassegnato alla morte certa (come molti che al campo di concentramento credevano che prima o poi sarebbero stati uccisi). No, abbiamo davanti agli occhi due atti di massima libertà. Gesù che liberamente, da Dio che è, si sottomette alle leggi umane, per il bene di molti (come dice: affinché nessuno si scandalizzi), Massimiliano offre la vita per una testimonianza che oltrepasserà i suoi tempi e i luoghi fisici. Così funziona: avere davanti una questione importante, prendere in mano la propria vita, fare una scelta di amore, consapevolmente scegliere ciò che è contrario ad una scelta che in quel caso sarebbe stata "automatica". Si, perché la felicità non sta nell'allontanarsi dalla propria interiorità, fuggendo il vero appello del cuore per cercarla al di fuori di sé. La felicità e la libertà, sono scelte precise, compiute e rinnovate ogni giorno, per una persona, cui bene più grande è Dio e a partire dalla sua dimora in noi. Anche quando questa comporta, totalmente o parzialmente, l'offerta di sé stessi. Scelta da figli, non da schiavi.

martedì 25 luglio 2017

tuona, Giacomo, tuona...

Quando penso alla figura di Giacomo il fratello di Giovanni, che oggi festeggiamo, mi vengono in mente alcune immagini. Anzitutto l'ambiziosità. Noi spesso pensiamo male delle persone che mostrano di voler arrivare ad una meta che ci sembra alta. Le consideriamo superbe oppure troppo sicure di sé. E alle volte sarà anche vero. Resta però che chi non ambisce, non ottiene nulla, e se nella vita non si prova, certamente non si arriva. Ma sorrido pensando a come "osano" Giacomo e Giovanni. Facile attaccarsi alla gonna della mamma e anzi, mandarla in avanscoperta per sondare le reazioni di Gesù... come dire: quando sentiamo il grembo materno in cui eventualmente nasconderci, vicino, osiamo tanto perché ci sentiamo al sicuro. Alle volte forse sarebbe meglio non dire certe cose, perché dopo, quando ci manca improvvisamente "la mamma", cioé la presenza rassicurante, ci ritroviamo sulle sabbie mobili. Altre volte va bene invece che si dicano cose importanti e azzardate, perché il Signore non le dimentica. Sebbene pronunciate nella situazione di sicurezze umane, se sono desideri veri, Dio le potrà portare a compimento, purificandole prima. Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro, le famose parole dicono proprio questo. Tu, che sei Giacomo, che sei Giovanni, che hai desideri belli e grandi, ora datti da fare, per compierli, nella fiducia in Dio. Giacomo così diventa il primo apostolo martire... perché chi ha molto ricevuto e ha molto coraggio, avrà molto da dare.
Un'ultima cosa che mi viene in mente è inevitabilmente il cammino di Santiago. C'è che sogna di farlo, c'è chi riesce a farne un pezzo alla volta per completarlo in un secondo momento, c'è chi lo fa tutto subito per intero. Ma non è la lunghezza o il tempo che contano, ma il camminare, il muoversi verso... Il coraggio dell'amore sta proprio qui: guardare in alto e coltivare i desideri belli, grandi. E obbedire alla vita, facendo un passo alla volta, sapendo che nessun sogno al cospetto di Dio resta deluso.
Sarà che essere il figlio del Tuono, significava per Giacomo avere come missione illuminare e far risuonare la terra della voce della Parola di Dio, attraverso questi desideri forti e belli? Beh, in ogni caso: Giacomo, insegnaci il tuo coraggio nell'essere testimoni. Possa il tuono del tuo coraggio risuonare all'interno delle nostre vite affinché insieme sappiamo dare testimonianza, perché no, da grandi sognatori, ma capaci di un passo illuminante e tuonante alla volta.


lunedì 17 luglio 2017

giovani e senza respiro

Prima di scrivere questo piccolo brano, vado su google e digito 'respiro'... resto sbalordita al vedere che spunta immediatamente: 'respiro corto', 'respiro affannoso'... Nulla per caso, e, dato che digitando sapevo di cosa avrei voluto scrivere in questa serata, in cui ho riflettuto dopo aver fatto giusto due chiacchiere con una giovane, lo ritengo altamente sintomatico.
Ormai anche i nostri social sono pieni di chi con più o meno disinvoltura, afferma di essere ansioso... certamente lo siamo tutti un po', costretti dalla costante corsa del mondo. Ma oggi così, sentendomi dire proprio questa cosa, ci ho pensato molto. Il punto, io penso, non è solo essere in grado di affermarlo (sebbene sia già un passo in avanti). Personalmente, quando sento un'affermazione del genere, invece, la sento seguita da un punto. Certo, sia chiaro, è bene conoscersi ed accettarsi così come si è. Solo che di fronte all'ansia che regna ormai dovunque, anche tra persone più giovani che uno potesse pensare, io domando: sei ansioso...e quindi? Non mi sembra che basti affermarlo, occorre seriamente chiedersi cosa ne vogliamo fare e anche, perché no, cosa ne sarà fra qualche anno, se oggi sono ancora giovane e mi ritrovo così.
Non posso togliermi dalla testa e dal cuore una frase di un pensatore, che ritengo maestro di gratitudine, Enrico Peyretti: L'affanno è la malattia del respiro. Non permette di inspirare lo Spirito al ritmo giusto, il suo, non quello della nostra fretta, avida di risultati. 
Per chi è cristiano dunque, la domanda muta inevitabilmente. Perché ti permetti di non vivere al ritmo dello Spirito, l'unico donatore di vita e di felicità? Quanto tempo ancora vuoi vivere, sfuggendo a Lui? Sono domande serie, che ognuno di noi dovrebbe farsi, ma soprattutto che dovrebbero farci rendere conto, che non c'è da sorridere se ci troviamo incapaci di controllare il nostro respiro. Noi possiamo inspirare lo Spirito e dobbiamo espirarlo nel mondo, perché solo di questo realmente il mondo ha bisogno. Il rimedio, ognuno se lo saprà trovare, nella misura in cui trova nella propria vita ciò che non gli permette di ossigenare sufficientemente la propria esistenza, per essere veri testimoni. 

venerdì 14 luglio 2017

l'occhio del serpente

Mi sa che Gesù ci fa venire un po' di confusione oggi con questo Vangelo: pecore, lupi, colombe, serpenti, oh mamma mia... che significa???? Tra questi quattro animali, qual è quello che ci reca più difficoltà? Beh, pecore sono pecore: tranne quella smarrita che è comunque indifesa e bisognosa, di solito sono mansuete. Lupi... un po' pericolosi ma tutto sommato se si trova in giro un san Francesco, ce la può fare ad addomesticarli. Colomba: si sa, è purissima, anzi per noi cristiani significa anche la presenza dello Spirito. E infine serpenti... qui c'è qualche problemino in più. Da una parte ci sembra che sia impressa nel nostro immaginario collettivo la figura del serpente come il male, a partire dal racconto biblico. Ma sappiamo bene che ci sono delle ragioni antropologiche radicate ben più in profondità. E infatti, probabilmente ci ricorderemo da ciò che abbiamo studiato a scuola, che effettivamente il serpente (qualsiasi tipo) era un rettile altamente pericoloso per l'uomo nel corso dell'evoluzione. Infatti, forse per assurdo, la nostra vista, è altamente specializzata anche "per colpa" dei serpenti, perché l'unico modo in cui si sono saputi difendere i primati dal pericoloso veleno dei serpenti, fu sviluppare una vista sempre più nitida, per distinguere la sagoma allungata del serpente. Scrivo tutto ciò perché mi sembra estremamente significativo, che altri animali non ebbero questa capacità e semplicemente si sono resi nel corso dei millenni, resistenti al veleno, perché incapaci di sviluppare una vista migliore.
Ma cosa c'entra con il nostro dover essere prudenti come serpenti? Ecco che sono proprio i serpenti che hanno una spiccata capacità di osservare e di vedere. Dunque, se vogliamo soffermarci oggi proprio su quell'animale che ci fa più problemi, possiamo pensare che Gesù ci chiama ad uno sguardo che non è un semplice "guardarsi in giro", ma che è caratterizzato da una profondità e pazienza, che solo appunto un serpente può insegnarci. La parola prudenza infatti deriva dal participio presente di provvedere indicando una persona che ha la scienza del bene e del male e sa quali cose seguire e quali fuggire. Il serpente ha questa vista per la quale sa vagliare ciò che ha davanti. E con la sua "scienza" ha saputo nella storia del genere umano, provocare un essere che ne aveva il potenziale, a specializzare la sua vista. Credo che la virtù di prudenza così intesa, sia una vera provocazione nel mondo di oggi. A stento si capisce oggi la capacità di osservazione, nel tempo in cui i tanti stimoli visivi ci portano a non avere più un occhio profondo, vigile, paziente e soprattutto: capace di vedere il bene nascosto nelle pieghe della storia da distinguere da quel che del bene ha solo l'apparenza. Suonerà assurdo: ma possa ancora e sempre provocarci la figura del serpente, ad avere un occhio attento, intento a guardare a lungo prima che la bocca pronunci la parola. E questo significherà, così come ci è successo nell'evoluzione: non essere resistenti al veleno, ma restare vulnerabili, per curare la nostra "vista". Così, per essere in linea con il fatto che l'occhio è lo specchio dell'anima. 

lunedì 19 giugno 2017

la doppia distanza del cammino

Solitamente quando una cosa ci pesa in modo particolare, cerchiamo con tutto noi stessi di evitarla...o almeno di dimezzare in qualche modo la fatica o la scomodità che sentiamo nell'affrontarla. Così anche quando si tratta di qualche relazione particolarmente difficile e spiacevole. Entra qui in atto l'arte del discernimento, la capacità di domandarsi dove stia la fatica, il perché di essa e se sia lecita oppure tocchi qualcosa di bruciante dentro di noi. Discernere dunque i nostri sentimenti e regolare di conseguenza il nostro agire. Per quanto sia "naturale" che cerchiamo di scegliere nella vita le cose e le persone più facili e più piacevoli, alle volte occorre soffermarsi sul significato dello scomodo nella nostra esistenza. E' precisamente ciò che il Signore ci dice oggi nella sua Parola. Beh, ci sembra esagerato perché dice addirittura di non opporsi al malvagio. E' come se volesse dire: non fuggire dalla parte faticosa della tua vita, non scappare sempre. Accetta l'incompletezza della tua esistenza e amala lo stesso. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 
Si, cammina:
- con chi ti costringe con forza cammina affinché impariate che la forza eccessiva si può vincere e disarmare con la mansuetudine;
- con chi ti chiede nelle lacrime di accompagnarlo, cammina per comprendere la ragione del suo pianto e per consolarlo;
- con chi te lo chiede buttandosi ai tuoi piedi, cammina per capire come mai si sente così poca cosa, e per poterlo alzare quando cade;
- con chi ti trascina sulla strada, senza che tu te ne possa difendere, cammina per vincere te stesso e per fargli capire quanta solitudine c'è nella sua insistenza;
- con chi si alza e triste inizia il suo miglio, senza invitarti, cammina per capire la ragione della sua tristezza e fargli vedere che  camminare insieme è bello e meno pesante;
- con chi vorrebbe salire in macchina, cammina per fargli comprendere che le cose nella vita vanno affrontate senza fretta e alle volte lentamente;
- con chi parte pensando già a fare quattro miglia, cammina, affinché non si ritrovi solo quando dopo un miglio si accorgerà di non avere più forze;
- con chi dice che non ce la fa a fare un miglio cammina affinché si accorga che camminando insieme il tempo scorre più veloce e la fatica si dimezza, e per fargli vedere quanta strada sa fare;
- con chi parte nella direzione sbagliata, cammina accompagnandolo, di modo che al momento opportuno tu possa aiutarlo a capire di dover tornare indietro;
E se sei tu quello che costringe l'altro ad accompagnarlo... approfitta del fatto che qualcuno si fa trascinare, perché in questo potrebbe esserci qualche bel tesoro per il tempo del vostro camminare.

Cammina semplicemente, con l'animo pronto per tutto, cammina insieme, assaporando la gioia e la fatica del vivere umano. Cammina quando c'è il sole e quando piove. Fai due miglia perché dove le cose sono condivise, la gioia si raddoppia.




sabato 17 giugno 2017

sincerità o verità?

La diffidenza. E' quella che ci uccide. E' quella che ci fa venire l'ansia di spiegare, argomentare, attirare l'attenzione... 
La fiducia non ha bisogno di eccessive argomentazioni, perché è semplice. Le basta una parola e dopo si sprofonda nella libertà e nella gioia.
E' quello che ci vuole dire oggi il Signore, quando ci raccomanda di non giurare. Non ce n'è in assoluto bisogno, infatti. Un'affermazione fatta con schiettezza e secondo quanto tu pensi e senti, è preziosa in sé, non ha bisogno di ulteriori e ansimanti prove della sua autenticità. Anche perché alle volte è fondamentale distinguere tra la sincerità e la verità. Io posso e devo dire quel che penso/sento sinceramente. Ma devo essere consapevole che non necessariamente questo sarà oggettivamente vero. Tuttavia non cambia il fatto che io sono vero, nella misura in cui tiro fuori ciò che autenticamente alberga il mio cuore. Si, si; no, no è proprio questo. Fidati di me: non ti dirò mai SI se penso NO e vice versa. Quando lo sperimentiamo, allora sperimentiamo anche la gioia della fiducia. Se invece io dico qualcosa che penso o sento e incontro la diffidenza... certamente in me si sveglia il senso di essere stato rifiutato, perché la persona che ho davanti non crede a ciò che io, come parte di me stesso, le consegno. Ebbene, anche qui: giurare è inutile. Sarà il cuore della persona a dover fare poi la propria parte. Se impegno poi tante energie per convincere della sincerità di ciò che affermo... occorre guardare in fondo al cuore e chiedersi il perché. In fin dei conti non viviamo per convincere le persone di nulla. Giurare in questo caso significherebbe mendicare l'amore, il quale non va mendicato, perché l'amore è sempre gratuito e anche quando abbandonati o non compresi dalle persone umane, restiamo sempre amati infinitamente e incondizionatamente da Dio. E a Lui occorre sempre tornare proprio nei momenti in cui ci sentiamo in qualche maniera rigettati con la verità che portiamo nel cuore. Perché lì, nella relazione con Colui che è sempre dalla nostra parte, si rinnova non solo la nostra consapevolezza di essere figli di Dio, ma anche l'autostima e il senso del nostro valore come persone. E tutti i SI diventano ancora più SI, mentre i NO acquistano quella trasparenza di chi cerca sinceramente di camminare per le vie del Signore. Il parlare è breve, chiaro e misurato, non ha più l'obiettivo di metterci al centro, di comprarci l'attenzione, perché è espressione di chi sa di essere sempre guardato con amore.

martedì 6 giugno 2017

tre sguardi per una vocazione!

Ci vogliono tre sguardi per capire la propria vocazione.

1. Bisogna guardare se stessi.
La nostra vocazione è intessuta dentro di noi fin dall’inizio, fin nelle fibre del nostro corpo. E’ importante conoscersi, fisicamente, psicologicamente, affettivamente. Conoscere i nostri desideri, conoscere le risorse della nostra intelligenza, della nostra fantasia, i beni, i progetti. Per trovare l’oro bisogna scavare in profondità, non si trova subito, e per trovare i diamanti bisogna andare ancora più in profondità.
La domanda per il primo sguardo potrebbe essere: “Cosa sto cercando?”.  La domanda di Gesù… Fare verità sui desideri, le attese, sul senso della vita, come vogliamo spenderla, perché la vita è una ed è pure breve.  
2. Non basta guardare solo a noi stessi, bisogna anche guardare “oltre”, guardare a Gesù.
Guardare a lui significa conoscerlo, conoscere la sua vita: la nascita, gli anni a Nazareth, il battesimo, le tentazioni, i viaggi… Cos’ha fatto, cos’ha detto, come l’ha fatto, come l’ha detto, quando si è sottratto, quando si è manifestato. Imparare a conoscerlo stando con lui, spendere del tempo, tutte le relazioni hanno bisogno di tempo e cura. E’ importante dimorare, stare nella Parola, interrogarlo e lasciarsi interrogare, lasciare che il Signore ci provochi, a volte anche ci scomodi.
Lo Spirito Santo ci aiuti ad entrare nei misteri della vita di Gesù. Sentiremo che il cuore si scalda sempre più e ci sentiremo attratti verso una strada piuttosto che un’altra, perché la vocazione è questione di innamoramento. Se si ama Gesù lasciare costa, ma non ci ferma perché c’è una amore più grande che attira, irresistibile. Come quando ci si innamora di un ragazzo/a, la scelta di uno/a fra tanti.
La domanda allora potrebbe essere: “Chi sto cercando? Dove e come lo cerco?”.


3. Il terzo sguardo è quello di guardarsi attorno. 
Noi siamo persone dentro una storia con delle precise responsabilità. Guardare allora la Chiesa e il mondo, le necessità, questo ci può aiutare ancora di più a capire la nostra vocazione e fare una scelta in una direzione piuttosto che in un’altra. Sentire il grido dei popoli, la povertà, l’ignoranza… aiuta a discernere, a capire, a rispondere. Lasciarsi toccare, non posso essere indifferente. Come ha detto il Papa ai giovani alla GMG: non state sul divano!
La domanda: “Quel’è il grido, l’anelito più forte che emerge dalla storia, nell’ambiente in cui vivo?”.

E’ importante dare una risposta all’invito del Signore tenendo conto sempre che è la proposta di un dono, non è la richiesta di un impegno gravoso. Le esigenze sono le conseguenze dell’amore… Gesù ci apre orizzonti, ci prone di vivere alla grande, di realizzare in pieno la nostra vita, la rende interessante, bella, la nostra e quella degli altri. Vale la pena! A noi la risposta!

(www.kolbemission.org)

giovedì 25 maggio 2017

best friends #1

Con moooooolta curiosità ascolto (e abbastanza spesso) le "definizioni" di quella che dovrebbe essere o è l'amicizia. Allora questa volta ho pensato di riportare un dialogo, per chiarire qualche cosa. 

- No ma guarda la nostra amicizia io la pensavo ormai matura. Bastava che ci guardassimo e ci capivamo subito. E però quella volta era una cosa tanto semplice quanto importante. Ma possibile che non ci arrivava? 
- Appunto, dunque, se lei non ti capisce da uno sguardo oppure lo interpreta male, che fai? 
- Beh, no, non deve succedere mica. Infatti col passar degli anni accade così. Ci si conosce talmente tanto che poi non c'è bisogno delle parole, ma solo un'occhiata e tutto è chiaro. Quella volta mi sono venuti veramente i nervi e dopo gliene ho dette di tutti i colori. Ma lo so che comunque non si offende perché ci vogliamo bene. 

Ascolto fino in fondo. Faccio qualche altra domanda. 
Si, c'è qualcosa che non quadra nel come misuriamo una relazione, un'amicizia matura. Perché sebbene spesso capiti alle persone che sono molto legate, che si capiscano anche dal linguaggio non verbale, non sta qui la maturità del rapporto. 
La maturità invece è così: tu cerchi di dirmi qualcosa in una maniera non verbale, ma io in quel momento non la comprendo. Tu non ti spazientisci e io non ci rimango male e non sento di dover fingere di capire. Ci fermiamo, tu semplicemente mi spieghi la cosa, senza toni di superiorità o di rabbia. Io ascolto e cerco di comprendere, senza sentirmi in colpa. Tu ti doni fino in fondo, cercando di spiegare bene. Io resto me stessa, con la mia capacità di comprensione e con il mio limite. Da questo scambio, in un tentativo di comunicazione più accurata nasce la comprensione della questione che mi poni, ma anche di te. Tu non pretendi mai che io ti capisca "al volo" (anche se quando lo sperimentiamo, è bello ed è festa), io non vado in ansia ogni volta che non capisco. E vice versa. Siamo due persone libere: e come tali, ci mettiamo in gioco. Pretendere che uno mi capisca sempre e soprattutto in uno scambio non verbale, significa tutt'altro che maturità. Sentirsi in dovere di comprendere sempre ciò che l'altro mi trasmette, anche quando è vago, è tutt'altro che maturità. E queste dinamiche danno adito alle più o meno grandi dipendenze. Io ti comprendo subito, so che tu te lo aspetti da me. Tu riconosci la mia bravura e intanto hai una persona che ti comprende ed è sempre pronta lì a pendere dalle tue labbra. E pensi sia maturità nell'amicizia...ma la relazione di questo tipo è tutt'altro che amicizia. La conclusione? Amiamoci per quel che siamo, esprimiamoci fino in fondo: questi sono alcuni segni di maturità umana e relazionale.

martedì 23 maggio 2017

capaci o incapaci?

Non riesco a togliermi oggi dalla testa la parola "capaci". Ovviamente è per il 25esimo della strage di Capaci, di cui oggi qui a Palermo abbiamo pieni i cuori, le teste, la memoria (anche se me inclusa non ricordiamo l'evento in sé), ma non solo... ascoltando i Vangeli di questi giorni e ciò che Gesù dice a proposito delle sue assenze o/e presenze e della conseguente venuta dello Spirito, penso alle nostre capacità e incapacità in relazione alla vita.
Vedendo le folle di gente, non di rado gente giovane, che oggi commemorano i grandi personaggi della storia di questa terra, viene da domandarsi, da dove viene la forza dei loro animi. L'ultima intervista di Falcone: si, io ho paura, ma il punto non è avere o non avere paura, ma piuttosto sapere di avere paura e non lasciarsi condizionare da essa. Da dove questa saggezza e capacità umana di leggere, se vogliamo anche psicologicamente, la propria dimensione interiore? Si, cose accadute a Capaci 25 anni fa e in Via d'Amelio, accadono dove e quando il Signore è assente. Ma mentre accadono quando la libertà umana decide di allontanarlo, succede anche che si trasformano in momenti di testimonianza, perché c'è quell'altra assenza del Signore, quella che crea spazio allo Spirito. Questi due e altri uomini testimoniano: anche nella consapevolezza della morte incombente, c'è lo Spirito che spinge a continuare ad agire come avrebbe fatto Gesù, anche se non c'è. Perché questo è il senso dell'essere capaci, a cui si rivolge oggi il mio pensiero: essere capaci di spalancare la porta definitivamente a Cristo, come diceva Giovanni Paolo II, lo stesso che nella Valle dei Templi gridava contro la mafia. E loro lo sono stati. Sono stati capaci. Ecco, allora, si, è vero: meglio che tu te ne vada, Signore, lasciando spazio al Testimone nei testimoni e generando il bene laddove la vittoria del male, per quanto sia eclatante, resta apparente, in coloro che danno la vita, perché credono che "un giorno questa terra sarà bellissima" (Paolo Borsellino), coloro che amano il mondo e lo rendono capace di Dio. 









venerdì 12 maggio 2017

nel cuore della chiesa

Sono a Roma, nel cuore della Chiesa...la sento palpitante e mentre sono qui, mi ricordo questi tipi di dialoghi: 
- Scusa, ma tu te la senti di dire che ami veramente la chiesa?
- Si, me la sento di dirlo. 
- Ma come puoi dirlo se sai quanti peccati ha...? 
- Sai, diceva Etty Hillesum, che "non esiste nessun nesso casuale tra il comportamento delle persone e l'amore che si prova per loro". Così anche con la chiesa. Non la amo perché è buona e pulita. Come non la odio perché è peccatrice. 
- Mah... 
- Io e te siamo chiesa. Tu pecchi?
- Beh certo...
- Bene, allora siamo in due ma certamente anche molti di più. Anch'io pecco, ma anch'io come te, faccio tanto bene. E siamo chiesa. Lei è santa e peccatrice perché noi lo siamo.
Si, amo la chiesa perché mi amo, perché amo gli esseri umani, perché il mondo ha bisogno della chiesa vicina e accogliente, sebbene essa sbaglia e sbaglierà sempre. Si, anche tu puoi amarla: nella misura in cui ami e accogli te stesso, così come sei. 

Sono a Roma e mi ricordo il momento in cui ho scritto questa:

Prego, Signore, sono sola; davanti a me la tua Chiesa,
Il tesoro dei poveri, il volto sporco, luminoso
Tuo volto quando hai fame, tuo volto quando sei malato
quando ti hanno deriso

Prego Signore sono sola, con Te, Sposo della Chiesa
tua santa e tua peccatrice
Io – goccia, nel mare della santità
Nel mare del peccato

Prego, Signore sono tua
Innamorata perdutamente
E persa nel mare, nell’a-mare
La tua Chiesa intorno a me

Prego, Signore, sono universo
Preghiamo dunque, tutti
Ed io - tua piccola chiesa.

C'è qualcosa da riparare in questa chiesa. Ci sono io e ci sei tu. Accogliamo noi stessi e gli altri, così come sono. Questa sarà una grande riparazione. E piano piano la chiesa sarà quel che il Signore vuole che sia.

mercoledì 3 maggio 2017

vedere o non vedere?

Certo è che la curiosità può essere una qualità buona, quella che permette di crescere, perché i curiosi acquisiscono tante informazioni nuove e si arricchiscono del sapere. Il fenomeno che, sorridendo, si può chiamare "videosorveglianza umana" è molto diffuso, quello quando passando per le strade, soprattutto nei paesi piccoli, ti ritrovi con gli sguardi su di te, magari anche quelli che vengno da dietro una persiana o una tenda. Ci ridiamo su ovviamente, ma come in tutto, così anche in questo caso, in medio stat virtus. Sapere, vedere, raccogliere informazioni, tutto ciò giova, ma tutto ciò ti responsabilizza. Ora noi dobbiamo sapere realmente, quanta "responsabilità" noi ci possiamo prendere nella vita. Cioè come vivere la nostra vita e con quante informazioni, per poterla vivere bene, secondo quanto il Signore ci chiede. Non posso infatti viverla in pienezza, se non mi importa nulla dell'altro, se non mi interessa la relazione, perché nego così la mia natura sociale. Tuttavia succede lo stesso quando io sono pieno di immagini, informazioni, fatti che riguardano gli altri: non so stare con me stesso, non so fare silenzio, non so vivere il vuoto; tutte dimensioni necessarie per un'esistenza interiormente sana. Noi siamo responsabili per ciò che sentiamo, vediamo e facciamo entrare dentro di noi. Per questo mi fa sorridere oggi Filippo... :-) Mostraci il Padre e ci basta! Fa tenerezza, perché non si rende conto di cosa significhi vedere il Padre. Non possiamo vedere Dio, faccia a faccia, perché la responsabilità sarebbe troppa. Sperimentare ciò che Dio è così come Egli è, significa non poter più vivere a questo mondo, perché la comprensione della sua somma bellezza, bontà e verità oltre che la consapevolezza del compimento che è solo in Lui, ci ucciderebbe dall'eccesso della responsabilità nei confronti del mondo. Credo che non potremmo reggerla. Non a caso anche laddove ci siano state delle apparizioni approvate dalla chiesa, si tratta intanto di Dio che si rivela in una maniera corrispondente alla capacità della nostra percezione umana e che consegna una missione specifica, perché la totalità di ciò che Egli è, non si può consegnare all'uomo nella sua vita terrena. Ancora mi fa sorridere Filippo perché Gesù cerca di fargli capire che quel che è permesso e "sopportabile" alla percezione umana, lui ce l'ha già davanti.
Morale della favola che poi favola non è? Caro Filippo: guardati attorno, cerca Dio, vedilo... non sarai mai "a posto". Ma puoi desiderarlo e permetterti di desiderarlo sempre di più. Questa è la progressiva conoscenza che Egli ci permette affinché non smettiamo mai di ricercarlo. 




lunedì 24 aprile 2017

guardare l'insieme

Se uno non nasce dall'alto non può vedere il Regno. Si, è dall'alto che si vede la trama, uscendo dal particolare per innalzarsi e scrutare l'insieme. Il diavolo sta nei dettagli si dice, ma non solo. Se fosse sempre e solo così, rinascendo dall'alto noi vedremmo una trama "diabolica" e il nostro guardare dall'alto sarebbe un semplice e meschino prendere le distanze dal mondo, timorosi di esserne contagiati. Invece anche la risurrezione sta nel dettaglio, l'immanenza di Dio si nasconde nelle piccole cose della nostra vita. E allora, rinascendo dall'alto noi diventiamo capaci di contemplare il Regno, si, quello che è in mezzo a noi. Quel Regno che Cristo ha portato tra noi e che è qui, aspettando il proprio compimento. Si, questo significa pure saper guardare oggettivamente ogni sorta di sofferenza che c'è nella nostra vita o meglio, saperlo inserire tra la trama amorosa del Regno e darle un senso a partire da essa. Forse potremmo richiamare il termine resilienza in questo contesto, quella capacità di vedere ciò che ostacola la nostra esistenza, come una molla di rilancio per camminare con ancora più coraggio, memori di ciò che impariamo dagli sbagli. Il punto è che chi rinasce dall'alto è come lo Spirito. Non dà falsa sicurezza, non promette appoggi umani, perché comprende fino in fondo quanto la vita nello Spirito non sia misurabile, né circoscrivibile. Si segue la voce, e questo richiede un'attenzione continua per saper leggere i segni, le orme di Dio nella quotidianità. Guardando appunto dall'alto con l'occhio di Dio capace di contemplare l'opera sua così come Egli la vede e insieme stando coi piedi per terra per saper vivere bene quei particolari che capitano tutti i giorni e saper quanto peso e quanta serietà dare alle cose, per vivere nella leggerezza e semplicità che non sono superficialità. Forse lo conclude in modo migliore Alda Merini: la semplicità è la raffinatezza della profondità.

domenica 23 aprile 2017

una cosa molto buona

Ieri ho fatto un viaggio. Uno dei tanti. Si, è stato lungo ed anche faticoso. E ieri è stata anche la giornata mondiale per la Terra 2017. Non avrei immaginato il regalo che mi sarebbe stato fatto proprio quel giorno, per intendere a fondo il significato di questa giornata. Un semplice e relativamente breve volo: Bari-Roma. Si, ma un dettaglio , o forse due, hanno cambiato tutto. Ieri il cielo era limpido, quasi nessuna nuvola, e io ero seduta vicino al finestrino. Sono solita utilizzare il tempo dei voli per leggere, riflettere, ascoltare la musica ecc. Eppure, proprio il fatto che splendesse il sole e la vista fosse limpida, ha attratto tanto la mia attenzione, da farmi venire il torcicollo, dopo 45 minuti di sguardo fisso su ciò che vedevo fuori dal finestrino. Si parte da Bari: l'aereo si alza e vedo la costa stupenda col mare trasparente... fino alle Saline Margherita di Savoia (Trinitapoli), perfettamente distinguibili, e subito dopo la curva stupenda del golfo di Manfredonia... A quell'altezza l'aereo ha cominciato a girare verso entroterra, così ho visto le città a pianta centrale, tipo Lucera...e qualche altra che non so identificare. Ed improvvisamente: il Lago di Occhito, così mi sono ritrovata sopra il mio amato Molise, tanta commozione! Le cime innevatissime del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise luccicavano sotto il sole!!! Spostandoci verso il Lazio ecco visibilissima vicino a Sabaudia, la piscina delle Bagnature...e infine: il Mar Tirreno!!!! Le barche a vela e... la riserva naturale del litorale Romano (quella la potete vedere nell'allegata foto). Infine Ostia e... il Tevere che raggiunge il mare!!! Stupendo! Questo quanto alla geografia. Ho visto laghi, laghetti, fiumiciattoli, distese di campagne, colte o incolte, città, strade, boschi, foreste, montagne, la neve. Ho visto persino un incendio. 
E ho pensato: quanto è bella la terra, quanto è bello il mondo, quante bellezze ci offre ogni giorno. Spero che questa terra sia orgogliosa di sé, e, vedendo le sue bellezze, ho pensato che deve amare tanto se stessa, anche se noi non le dimostriamo quanto è bella e quanto ci è madre. Mai come prima ho sperimentato ieri la sua maestosità e ho percepito l'umiltà con cui essa ci predispone la sua bellezza, senza chiedere nulla in cambio, se non solo il rispetto. Se non la amiamo, è perché non amiamo e non rispettiamo noi stessi. E se lei è così bella, anche se dipendente da noi, quanto dobbiamo essere belli noi, creature dotate di libertà? Davvero Dio ha fatto ogni cosa con amore. Davvero ho visto e contemplato una cosa molto buona, come l'ha vista lui quando l'ha creata. Una cosa buona e bella... fatta per noi, per amore. Laudato sii mi Signore...

...noi, sfidanti

#jesuisTommaso, si potrebbe esordire oggi. Ci siamo abituati all'incredulità di Tommaso, come a qualcosa nettamente negativo, da evitare per non essere giudicati coloro che non sanno accogliere la risurrezione. Ma, scusate, vi sembra una cosa tanto normale, risorgere? Vi sembra una cosa tanto scontata che uno muoia e dopo tre giorni non solo risorga, ma vada in giro a farsi vedere? A me no! E per questo oggi dico, sì, oggi è la mia festa, perché io sono Tommaso. Io sono quella razza di sfidanti che non si lasciano convincere facilmente. Ah, cocciuti, dite? Si, probabilmente questa è la parola giusta. Ma credo anche che ciò che il Signore fondamentalmente ci chieda è la cocciutaggine nella fede. E questo significa che se uno mi si presenta e dice di essere Gesù (e in più ho visto che era morto tre giorni prima), io senz'altro gli chiedo qualche prova. Come succede spesso, soprattutto di questi tempi, quando la nostra umanità debole corre dietro le sensazioni, incluse apparizioni e fenomeni straordinari legati alla religione, non è mai difficile andare dietro alla folla. Evidentemente per Tommaso non era nulla di strano supporre che forse, presi emotivamente dalla perdita di Gesù e dal desiderio di continuare ad averlo presso di sé, i discepoli e le donne (figuriamoci poi con l'emotività femminile!), stessero vivendo qualche tipo di delirio collettivo. Sento come il richiamo di Tommaso sia il richiamo alla ragione, cioè ad unire la fede e la razionalità, perché Dio, pur oltrepassando il limite umano della morte, non fa cose irragionevoli. Basta pensare che è restato con noi in un segno tangibile, quello del pane, sebbene chieda a noi di credere che Egli è in esso presente. Si, così: Tommaso, tocca e non essere incredulo ma credente. Il punto è che Tommaso non è un credulone, che va dietro a qualsiasi cosa o pettegolezzo. E' disponibile a credere e lo vediamo dalla pronta risposta di fronte a Gesù che si lascia toccare. Non poteva il Signore dire: "ok, se non credi sono cavoli tuoi"? Si, certo che poteva! Eppure appare e va dritto da Tommaso e si fa toccare! Toccando, egli diviene credente. Infatti, pur avendo toccato, ci vuole la fede lo stesso: non è naturale avere davanti a sé un risorto. Caro Tommaso, tu sei l'esempio di quegli sfidanti di cui anch'io faccio parte. Preferisci sbagliare che essere ingenuo, preferisci esporti per non nasconderti nella folla di quelli che si adeguano a ciò che "dicono gli amici", preferisci essere considerato un incredulo, che coltivare nel cuor tuo la vera incredulità senza farlo presagire agli altri. Complimenti a te, Tommaso, che ti esponi e che dopo non hai più nulla da dire e da discutere, se non confessare in una maniera appropriata e concisa la tua fede. Stima a te, che non stai più a discutere quando l'hai visto, non stai a giustificarti, ma accogli e credi. Donaci di riconoscere che anche noi siamo te tante volte, solo che ci vergogniamo e preferiamo nasconderci dietro la "correttezza della fede". Eppure tu sai, che il vero Amore, se sfidato, diventa solo ancora più vero, nella chiarezza degli intenti e nel desiderio di comprendere, unisce tutto l'uomo, con il suo intelletto e cuore, per incontrare l'Amore che sorprende, che corregge e d accoglierlo con tutto se stessi.