sabato 21 luglio 2018

puoi andartene

Mt 12,14-21

Mi piace oggi guardare come si atteggia il Signore con le persone che sono i suoi cosiddetti "nemici". Certamente tutti abbiamo nella nostra vita delle presenze che o non ci stanno simpatiche oppure le percepiamo come persone che fanno di tutto per contrastarci. Spesso lo fanno nel nome di una legge, del rispetto di un insieme di regole, spesso le loro intenzioni sono buone, eppure noi ci sentiamo annientati dalle loro azioni, parole, atteggiamenti. Così Gesù ci fa vedere che questo è capitato pure a Lui. Addirittura, un gruppo sociale si riunisce per cercare il modo per metterlo alla morte... questo forse a noi non capita, per fortuna. Comunque, sono cose pesanti, indubbiamente. Possiamo ricordarci questi tipi di situazioni e di persone e vedere, come reagiamo. Resta sempre valida una regola d'oro: le persone non cambiano, ma siamo noi che abbiamo il potere sulla nostra vita e, a partire dai dati di fatto, possiamo decidere cosa fare. C'è chi si ritiene eroe e resta in delle situazioni veramente pesanti, dicendo di farlo per amore, o perché non si sa cosa direbbe la gente, o perché pensiamo che la virtù in queste situazioni sta nel continuare a soffrire, anche con le più alte motivazioni spirituali. Ebbene, certamente la capacità di sopportare pazientemente le persone moleste, o le situazioni contrarie, appartiene alla nostra vita da cristiani, ma solo fino a un certo punto. E oggi il Signore ci dice con molta chiarezza qual è questo punto. I farisei si riuniscono per metterlo alla morte. Ma qui non si tratta solo di una morte fisica. La morte è il limite della nostra vita, della nostra vitalità. Quando tu senti che una situazione di sofferenza, magari subita e non per colpa tua, ti toglie la serenità minima, la tua abituale vitalità, allora è il momento di reagire. Attenzione però, ci sono almeno due cose da ricordare. La prima è la capacità e il coraggio di manifestare alle persone che ci fanno soffrire, il nostro disagio, cioè un sereno confronto. La seconda è la necessità di guardarsi dentro, perché quando una cosa o persona ci fa soffrire molto, può essere che tocca qualche punto debole o qualche ferita nostra e... potrebbe essere un'occasione per guarire. Considerate queste due cose, quando la certezza interiore è che abbiamo fatto quel che dovevamo, occorre prendere delle decisioni per il nostro bene. L'atteggiamento cristiano verso chi ci crea difficoltà, tuttavia, è questo: avere coraggio di pensare che nessuno mi fa del male apposta. Questo aiuta a non coltivare la rabbia e lo sdegno, a non portare rancore in futuro. In poche parole: aiuta a far entrare la risurrezione in questa piccola morte relazionale. Ed ecco Gesù: avendo saputo che volevano farlo morire, si allontanò. Si mostrò essere colui che Isaia aveva annunciato: non grida, non spezza la canna incrinata. Sì, perché ci sarebbe un ultimo elemento da considerare nelle nostre relazioni. Alle volte ci facciamo del male a causa delle cose che sono dentro di noi e di cui non ci accorgiamo. Non spezzare la canna incrinata in questo caso significa non gridare in faccia a chi mi fa del male, ciò che posso intuire come causa del male che mi fa. Proprio perché le persone si spezzano alle volte scoprendo la loro stessa debolezza. E ad essa devono arrivare gradualmente, non con la violenza di chi gliela grida in faccia. Resta sempre attuale che le persone non cambiano perché le rimproveri, ma perché le ami. E capita che questo debba significare allontanarsi, cambiare rotta, andare via. Fa male, ma può essere una scelta per la vita, come oggi il Signore ci mostra con il suo comportamento. Non temiamo, dunque. Possiamo andarcene, ma solo se questo significa ricominciare a vivere, non per vendetta, non per rabbia.