venerdì 27 dicembre 2019

volare alto

Ecco che Giovanni ci spiega con chiarezza e semplicità la ragione per cui troviamo in giro tanti credenti tristi e almeno apparentemente infelici... lui stesso condivide la sua esperienza di Cristo, quell'esperienza vitale che rende la testimonianza vivace e credibile e dice: lo faccio perché la mia gioia sia piena. Non c'è dunque una gioia autentica che non comporti la condivisione dell'esperienza che ognuno di noi fa di Cristo, vivo e operante nella nostra vita. Dunque, un credente triste è uno che o non ha incontrato davvero Cristo o non condivide con gli altri l'esperienza di questo incontro. Non dimenticando che c'è un duplice effetto: testimoniamo perché siate in comunione con noi (e quindi con il Padre, il Figlio e lo Spirito) e perché la nostra gioia sia piena. Il mondo infatti non ha bisogno di maestri che trasmettano i saperi più o meno sofisticati, ma di testimoni appassionati, che trasmettano la loro esperienza di Dio, ciò che noi abbiamo udito, veduto, che conteplammo, che le nostre mani toccarono. Condivisione quindi significa vantaggi per tutti. Condivisione significa volare alto, come Giovanni, non a caso chiamato "aquila". Condivisione significa più gioia e meno tristezza per i credenti in Cristo e per coloro che incontrano la loro testimonianza! 

venerdì 20 dicembre 2019

i segni di una nascita

Lc 2,12

Oggi mi piace condividere con voi la rielaborazione di una riflessione che ho ascoltato, sui simboli
del Natale.

Nella Scirttura c'è una grande attenzione ai segni. Per quanto riguarda il racconto della nascita di Gesù, gli evangelisti si muovono diversamente l'uno dall'altro. Ma oggi ci soffermiamo principalmente sul Vangelo di Luca e in parte di Matteo. Ci sono segni "classici" che noi conosciamo, di Natale. Poi ci sono quei segni che Dio usa al di là dei canali che noi ci aspettiamo. Così accade nella nostra vita e nei racconti dei Vangeli. Luca ci parla di un decreto. Il decreto è stimolo per Giuseppe per muoversi, mettersi in cammino. Verso dove? Verso Betlemme... che è il posto più dimenticato e deriso, un paesino qualsiasi, che fa ridere a tutti, il più piccolo capoluogo di Giuda. Ecco un canale allora inaspettato: l'umiltà. Una nullità che diventa luogo di un importante decreto e dopo, della nascita di Gesù. Ecco la nostra chiamata: non solo tenere gli occhi ben aperti, ma saperci girare come il gufo, a 360°, i segni di Dio sono da tutte le parti. In questa piccola realtà povera, non c'è spazio per il Signore. Dunque Maria e Giuseppe si ritrovano sul retro di una casa: grotta o capanna che sia. E' come i nostri garage in cui teniamo di tutto, in cui deponiamo qualsiasi cosa, che non ci sta più altrove... (e intanto la macchina non ci sta per cui la teniamo in strada ;-)). Ecco, è uno spazio del disordine, della confusione, in cui è difficile trovare un senso... E' lì che viene Gesù: nel tuo, nel mo disordine. Lui viene in questo garage della mia vita.
Qual è il garage della tua vita, quel disordine in cui farlo entrare? 
Maria, dopo il parto, per forza di cose doveva fermarsi, per fare i suoi 40 giorni di purificazione, la quarantena. Così avveniva fino a non molti anni fa anche da noi. I battesimi si facevano senza la madre, che non doveva uscire. Giuseppe l'avrà risistemato, quel retrocasa, in 40 giorni, per la ua famiglia, no? Allora a noi conviene che Gesù nasca nel nostro disordine... perché lo rimette un po' a posto.

C'è poi un segno per i pastori: la mangiatoia. Betlemme significa casa del pane. Tutto ciò ci rimanda al cibo che Gesù si fa. I pastori vengono ad adorare, ad-orare, significa "portare alla bocca". Vengono nella casa del Pane, alla mangiatoia, per nutrirsi. I pastori mangiano già questo Pane, che noi riceveremo poi in Eucarestia. E' Lui che prepara se stesso come cibo per noi. Noi di solito ci esauriamo nei preparativi più svariati, anche del cibo natalizio, ma ci ricordiamo che Lui è il vero cibo? Ma dobbiamo muoverci come loro: senza indugio. Alle volte noi non riusciamo a riconoscere il dono ricevuto, come quelle persone che vincono a superenalotto e la schedina se la sono dimenticati in qualche taschino e... non sanno nemmeno di aver vinto. Vale anche per il dono della fede. Dobbiamo essere svegli e reagire senza indugio, altrimenti perdiamo il dono, la strada. Maria, Giuseppe, pastori, magi, sono tutti persone che si muovono alla svelta.

L'Evangelista Matteo ci parla anche del segno della stella. E' quella che sta sopra le teste di tutti. Gli angeli che annunciano il Natale, vanno solo dai pastori? Sono schiere di angeli... forse provano ad andare anche da altre categorie... ma forse trovano gente che crede di essere "già imparata", di conoscere le Scritture, di non aver tempo ecc. I pastori invece sono umili, occupati in una cosa sola e liberi nel cuore. Possono accogliere. E noi? Se siamo già pieni di cose, di pensieri, di saperi, rischiamo che il Natale ci scivoli addosso...
I magi non erano re e non erano tre. Erano astrologi, non erano poveri, portano doni da ricchi. Erano persone abbienti e intelligenti. Tuttavia anche loro erano umili! Hanno visto una stella che era per loro sconosciuta, si sono messi in movimento per scoprire il suo mistero. Uno scienziato, se crede di essere già arrivato, allo stesso momento smette di essere uno scienziato, perché non è più in ricerca. Vale anche per noi cristiani. Se siamo già arrivati, non abbiamo bisogno di Dio, non abbiamo bisogno del Natale. Non così per i Magi. La stella è indicazione: essa si ferma sulla capanna. La stella è un ammasso di gas, emana la luce come risultato delle quantità di energie liberate nei movimenti che si susseguono all'interno del suo nucleo. La stella che si muove, si ferma sopra la capanna, perché ha trovato la fonte vera della luce. Gesù è venuto a portare il fuoco. Se noi non abbiamo il fuoco dentro, saremo sempre in cerca della luce altrui, da riflettere. E finché ci dicono "bravo", staremo a brillare, ma quel giorno in cui non avremo conferme umane, saremo oscurità. La luce di Cristo dona la luce al tuo nucleo. La stella cometa si ferma al "distributore di energia", da dove attingere. Natale è tempo per fermarci davanti al Mistero per ricaricarci. Si, perché noi dobbiamo ardere. Nessuno guarda fisso il sole, ma tutti godiamo della sua luce. Sia il sole che una semplice candela, per illuminare e produrre il calore, si deve consumare. Anche tu. E non dire: Dio mi sta chiedendo troppo, perché se Lui ti chiede, ti darà Lui stesso l'energia e la luce per rispondere alle sue richieste. 

Ecco che la Chiesa oggi forse non è chiamata a valutarsi a partire dai numeri, ma dall'intensità del calore che rilascia. Cosa brucia dentro di me? Cosa mi muove? Il voler apparire ad altri oppure l'amore di Dio che ha amato il mondo così tanto che ha fatto diventare il suo Figlio, bambino? E mentre ci muoviamo, perché l'amore suo ci brucia dentro, non dimentichiamo una cosa. La macchina dal motore più potente è quella che sa anche rallentare, darsi una regolata e, quando occorre aspettare e accompagnare qualcuno che va più lento. I piccoli motori non lo sanno fare: quando il loro bruciare non produce il movimento, si annientano con il proprio calore e la propria energia, implodendo. Noi siamo chiamati a Natale e sempre, ad essere motori grandi, capaci di grandi movimenti, ma anche di rallentare il passo, per andare insieme














mercoledì 18 dicembre 2019

il trasgressivo

Gesù sarà un trasgressivo e di questo lo accuseranno. Ma intanto c'è Giuseppe, padre e non padre...provocato a trasgredire dall'inizio della vita del figlio di Dio. Non si può negare che Giuseppe, uomo giusto, va contro le prescrizioni della Torah. Ma non è immediato capire che invece Egli entra proprio nel cuore di Dio e per questo rimane giusto, anche se contro la legge. E proprio in questo apre pure la strada a Gesù, quello che, secondo alcuni, sarà il grande trasgressore (da buon figlio di suo padre!!!). L'arte del vivere... andare fino in fondo, scegliere la fatica di scendere nelle profondità del cuore di Dio, piuttosto che accettare le sicurezze delle leggi umane che, per quanto sia doveroso rispettarle, non vanno mai messe al centro a prescindere dalla persona umana, essa stessa messa al centro da Dio, proprio in questi giorni in cui Lui si incarna.

martedì 19 novembre 2019

la nostra folla quotidiana



Ieri ero in un aeroporto e vi ho trascorso una buona parte della giornata... in questi contesti, osservando i volti, vedendo i transiti, ascoltando le varie lingue, mi domando sempre, se sono favorevoli per incontrare il Signore, che c'è anche lì, oltre ogni vero o presunto ostacolo. O meglio, la domanda è se siamo disponibili ad incontrarlo. Poi facevo questa riflessione, ricordandomi di Zaccheo...
Ci sembra tante volte di non riuscire a vedere il Signore a causa della "folla" costante nella nostra vita...persone, cose, impegni, avvenimenti, frastuoni, doveri: tutto ciò affolla la nostra esistenza in modo tale che l'unica soluzione che ci sembra utile è quella di fuggire salendo su un albero e sperando di vedere da lì Dio. E Dio lo sa. Non appena si presenta vivo e vero, immediatamente ci riporta giù, in mezzo alla nostra folla, affinché noi impariamo che vivere e creare le condizioni di accoglienza di Lui, significa guardare in faccia la nostra folla, darle delle dimensioni, saperla gestire...sapere dove bisogna dare la propria metà e dove restituire. Affinché la vita sia più leggera, non occorre innalzarsi al di sopra di ciò che ce la riempie, ma saperci mettere proprio lì in mezzo, per scorgere in ogni cosa l'armonia, che è dimora del Signore che si ferma nella nostra casa. 

giovedì 14 novembre 2019

i caldomorbidi

Le relazioni mutano. Questo ci entusiasma, ci spaventa oppure lo consideriamo naturale? Senz'altro ci può essere in ogni caso d'aiuto, questa favola che mi piace riportare qui sotto. 

C'era  una  volta  un  luogo,  molto,  molto,  molto  tempo  fa,  dove  vivevano  delle  persone  felici.  Fra queste  persone  felici  ce  n'erano  due  che  si  chiamavano  Luca  e  Vera.  Luca  e  Vera  vivevano  con i  loro  due  figli  Elisa  e  Marco.   Per  poter  comprendere  quanto  erano  felici,  dobbiamo  spiegare  come  erano  solite  andare  le cose  in  quel  tempo  e  in  quel  luogo. Vedete,  in  quei  giorni  felici,  quando  un  bimbo  nasceva  trovava  nella  sua  culla,  posto  vicino  a dove  appoggiava  il  suo  pancino,  un  piccolo,  soffice  e  caldo  sacchetto  morbido.  E,  quando  il bambino  infilava  la  sua  manina  nel  sacchetto,  poteva  sempre  estrarne  un…  "caldomorbido". I  caldomorbidi  in  quel  tempo  erano  abbondantissimi  e  molto  richiesti  perché,  in  qualunque momento  una  persona  ne  sentisse  il  bisogno,  poteva  prenderne  uno  e  subito  si  sentiva  calda  e morbida  a  lungo.   Se,  per  qualche  motivo,  la  gente  non  avesse  ricevuto  con  una  certa  regolarità  dei caldomorbidi,  avrebbe  corso  il  rischio  di  contrarre  una  strana  e  rara  malattia.  Era  una  malattia che  partiva  dalla  spina  dorsale  e  che  lentamente  portava  la  persona  ad  incurvarsi,  ad  appassire e  poi  a  morirne. In  quei  giorni  era  molto  facile  procurarsi  i  caldomorbidi:  se  qualcuno  li  chiedeva,  trovava sempre  qualcun  altro  che  li  dava  volentieri.  Quando  uno,  cercando  nel  suo  sacchetto,  tirava fuori  un  caldomorbido,  questo  aveva  la  dimensione  di  un  piccolo  pugno  di  bambina  ed  un colore  caldo  e  tenero.  E  subito,  vedendo  la  luce  del  giorno,  questo  sorrideva  e  sbocciava  in  un grande  e  vellutato  caldomorbido. E  quando  era  posto  sulla  spalla  di  una  persona,  o  sulla  testa,  o  sul  petto,  e  veniva  accarezzato, piano  piano  si  scioglieva,  entrava  nella  pelle  e  subito  la  persona  si  sentiva  bene  e  per  lungo tempo. La  gente  a  quel  tempo  si  frequentava  molto  e  si  scambiava  reciprocamente  caldomorbidi. Naturalmente  questi  erano  sempre  gratis  ed  averne  a  sufficienza  non  era  mai  un  problema. Come  dicevamo  poc'anzi,  con  tutta  questa  abbondanza  di  caldomorbidi,  in  questo  paese  tutti erano  felici  e  contenti,  caldi  e  morbidi  per  la  gran  parte  del  tempo. Ma,  un  brutto  giorno,  una  strega  cattiva  che  viveva  da  quelle  parti  si  arrabbiò,  perché,  essendo tutti  così  felici  e  contenti,  nessuno  comprava  le  sue  pozioni  e  i  suoi  unguenti. La  strega,  che  era  molto  intelligente,  studiò  un  piano  diabolico. Una  bella  mattina  di  primavera,  mentre  Vera  giocava  serena  in  un  prato  con  i  bambini, avvicinò  Luca  e  gli  sussurrò  all'orecchio: "Guarda  Luca,  guarda  Vera  come  sta  sprecando  tutti  i  caldomorbidi  che  ha,  dandoli  a  Elisa. Sai,  se  Elisa  se  li  prende  tutti,  può  darsi  che,  a  lungo  andare,  non  ne  rimangano  più  per  te". Luca  rimase  a  lungo  soprappensiero.  Poi  si  voltò  verso  la  strega  e  disse:  "Intendi  dire  che  può succedere  di  non  trovare  più  caldomorbidi  nel  nostro  sacchetto  tutte  le  volte  che  li cercheremo?". E  la  strega  rispose:  "Proprio  così.  Quando  saranno  finiti,  saranno  finiti.  E  non  ne  avrete assolutamente  più". Detto  questo  volò  via,  sghignazzando  fra  sé. 
Luca  fu  molto  colpito  da  quanto  aveva  detto  la  strega  e  da  quel  momento  cominciò  ad osservare  e  a  ricordare  tutti  i  momenti  in  cui  Vera  dava  caldomorbidi  a  qualcun  altro. Di  lì  in  poi  divenne  timoroso  e  turbato,  perché  gli  piacevano  i  caldomorbidi  di  Vera  e  non voleva  proprio  rimanere  senza.  E  pensava  pure  che  Vera  non  facesse  una  cosa  buona  a  dare tutti  quei  caldomorbidi  ai  bambini  e  alle  altre  persone. Cosi  cominciò  ad  intristirsi  tutte  le  volte  che  vedeva  Vera  elargire  un  caldomorbido  a  qualcun altro.  E  poiché  Vera  gli  voleva  molto  bene,  essa  smise  dì  offrire  così  spesso  caldomorbidi  agli altri,  riservandoli  invece  per  lui. I  bambini,  vedendo  questo,  cominciarono  naturalmente  a  pensare  che  fosse  una  cattiva  cosa dar  via  caldomorbidi  a  chiunque  e  in  qualsiasi  momento  venissero  richiesti  o  si  desiderasse farlo  e,  piano  piano,  senza  quasi  nemmeno  accorgersene,  diventarono  sempre  più  timorosi  di perdere  qualcosa. Così  anch'essi  divennero  più  esigenti.  Tennero  d'occhio  i  loro  genitori  e,  quando  vedevano  che uno  di  loro  donava  un  caldomorbido  all'altro,  anche  loro  impararono  a  intristirsi.  Anche  i  loro genitori  se  ne  scambiavano  sempre  di  meno  e  di  nascosto,  perché  così  pensavano  che  non  li avrebbero  fatti  soffrire. Sappiamo  bene  come  sono  contagiosi  i  timori.  Infatti,  ben  presto  queste  paure  si  sparsero  in tutto  il  paese  e  sempre  meno  si  scambiarono  caldomorbidi. Nonostante  ciò  le  persone  potevano  comunque  sempre  trovare  un  caldomorbido  nel  loro sacchetto  tutte  le  volte  che  lo  cercavano,  ma  essi  cominciarono  a  estrarne  sempre  meno, diventando  nel  contempo  sempre  più  avari. Presto  la  gente  cominciò  a  sentire  mancanza  di  caldomorbidi  e,  di  conseguenza,  a  sentire meno  caldo  e  meno  morbido.  Poi  qualcuno  di  loro  cominciò  ad  incurvarsi  e  ad  appassire  e talvolta  persino  a  morire.  Quella  malattia,  dovuta  alla  mancanza  dì  caldomorbidi,  che  prima della  venuta  della  strega  era  molto  rara,  ora  colpiva  sempre  più  spesso. E  sempre  di  più  la  gente  andava  ora  dalla  strega  per  comprare  pozioni  e  unguenti,  ma, nonostante  ciò,  non  aveva  l'aria  di  star  meglio. Orbene,  la  situazione  stava  diventando  di  giorno  in  giorno  più  seria.  A  pensarci  bene  la  strega cattiva  in  realtà  non  desiderava  che  la  gente  morisse  (infatti  pare  che  i  morti  non  comprino balsami  e  pozioni),  così  cominciò  a  studiare  un  nuovo  piano.  Fece  distribuire  gratuitamente  a ciascuno  un  sacchetto  in  tutto  simile  a  quello  dei  caldomorbidi,  ma  questo  era  freddo  mentre l'altro  era  caldo.  Dentro  il  sacchetto  della  strega  infatti  c'erano  i  "freddoruvidi".  Questi freddoruvidi  non  facevano  sentire  la  gente  calda  e  morbida  ma  fredda  e  scontrosa.  Comunque fosse,  i  freddoruvidi  un  effetto  ce  l'avevano:  impedivano  infatti  che  la  schiena  della  gente  si incurvasse  più  di  tanto  e,  anche  se  sgradevoli,  servivano  a  tenere  in  vita  gli  abitanti  di  quel paese  che  una  volta  era  stato  felice. Così  tutte  le  volte  che  qualcuno  diceva:  "Desidero  un  caldomorbido",  la  gente,  arrabbiata  e spaventata  per  il  loro  rarefarsi,  rispondeva:  "Non  ti  posso  dare  un  caldomorbido,  vuoi  un freddoruvido?". E,  a  volte,  capitava  persino  che  due  persone  a  passeggio  insieme  pensavano  che  avrebbero potuto  scambiarsi  dei  caldomorbidi,  ma  una  o  l'altra  delle  due,  aspettando  che  fosse  l'altra  ad offrirglielo,  finiva  poi  per  cambiare  idea,  e  si  scambiavano  dei  freddoruvidi. Stando  così  le  cose,  ormai  sempre  meno  gente  moriva  di  quella  malattia,  ma  un  sacco  di persone  erano  sempre  infelici  e  sentivano  molto  freddo  e  molto  ruvido. E'  inutile  dire  che  questo  fu  un  periodo  d'oro  per  gli  affari  della  strega. La  situazione  peggiorava  ogni  giorno.  I  caldomorbidi,  che  una  volta  erano  disponibili  come l'aria,  divennero  merce  di  grande  valore  e  questo  fece  sì  che  la  gente  fosse  disposta  ad  ogni sorta  di  cose  pur  di  averne.  In  certi  casi  i  caldomorbidi  venivano  estorti  con  l'inganno,  in  altri con  violenza  e,  quando  ciò  avveniva,  succedeva  una  cosa  strana:  questi  non  sorridevano  più, sbocciavano  poco  e  diventavano  scuri.   Prima  che  la  strega  facesse  la  sua  apparizione  la  gente  era  solita  trovarsi  in  gruppi  di  tre  o  di quattro  o  anche  di  cinque  persone  senza  minimamente  preoccuparsi  di  chi  fosse  a  dare  i caldomorbidi.  Dopo  la  venuta  della  strega  la  gente  cominciò  a  tenere  per  sé  tutti  i  propri caldomorbidi,  e  a  darli  al  massimo  ad  un'altra  persona.  Qualche  volta  succedeva  che  quelli  che davano  a  persone  esterne  dei  caldomorbidi  si  sentivano  in  colpa  perché  pensavano  che  il proprio  partner  molto  probabilmente  ne  sarebbe  stato  dispiaciuto  e  geloso.  E  quelli  che  non avevano  trovato  un  partner  sufficientemente  generoso  andavano  a  comprare  i  loro caldomorbidi  e  questo  gli  costava  molte  ore  di  lavoro  per  racimolare  il  denaro. Un  altro  fatto  sorprendente  ancora  succedeva.  Alcune  persone  prendevano  i  freddoruvidi,  che si  trovavano  facilmente  e  gratuitamente,  li  camuffavano  ad  arte  con  un'apparenza  piacevole  e morbida  e  li  spacciavano  per  caldomorbidi.  Questi  caldomorbidi  contraffatti  venivano  chiamati caldomorbidi  di  plastica  e  finirono  per  procurare  guai  ulteriori. Per  esempio,  quando  due  persone  si  volevano  scambiare  reciprocamente  dei  caldomorbidi pensavano,  è  ovvio,  che  si  sarebbero  sentiti  bene,  ma,  in  realtà,  nulla  cambiava  e continuavano  a  sentirsi  come  prima  e  forse  anche  un  pochino  peggio.  Ma,  poiché  pensavano  in buona  fede  di  essersi  scambiati  dei  caldomorbidi  genuini,  rimanevano  molto  confusi  e disorientati,  non  comprendendo  che  il  loro  freddo  e  le  loro  sensazioni  sgradevoli  erano  in  realtà il  risultato  dell'essersi  scambiati  caldomorbidi  di  plastica. Così  la  situazione  si  aggravava  di  giorno  in  giorno. I  caldomorbidi  erano  sempre  più  rari  e,  a  volte,  anche  guardati  con  sospetto,  perché  si confondevano  con  quelli  di  plastica,  contraffatti.  I  freddoruvidi  erano  abbondanti  e  sgradevoli  e tutti  pareva  volessero  regalarli  agli  altri.  C'era  molta  tristezza,  paura  e  diffidenza  e  tutto  questo era  iniziato  con  la  venuta  della  strega,  che  aveva  convinto  le  persone  che,  a  forza  di  scambiarsi caldomorbidi,  un  giorno  non  lontano  avrebbe  avuto  la  sorpresa  di  scoprire  che  erano  finiti. Passò  ancora  del  tempo  e,  un  giorno,  una  donna  florida  e  graziosa,  nata  sotto  il  segno dell'Acquario,  giunse  in  quel  paese  sfortunato,  portando  il  suo  sorriso  limpido  e  cordiale. Non  aveva  mai  sentito  parlare  della  strega  cattiva  e  non  nutriva  alcun  timore  che  i  suoi caldomorbidi  finissero.  Li  dava  liberamente,  anche  quando  non  erano  richiesti.  Molti  la disapprovavano  perché  pensavano  che  fosse  sconveniente  per  i  bambini  vedere  queste  cose  e temevano  per  la  loro  educazione Ma  essa  ai  bambini  piacque  molto,  tanto  che  la  circondavano  in  ogni  momento.  E  anche  loro cominciarono  a  provare  gusto  nel  dare  agli  altri  caldomorbidi  quando  gliene  veniva  voglia.  I benpensanti  corsero  ben  presto  ai  ripari  facendo  approvare  una  legge  per  proteggere  i  bambini da  un  uso  spregiudicato  di  caldomorbidi.  Secondo  questa  legge  era  un  crimine  punibile  dare caldomorbidi  ad  altri  che  non  alle  persone  per  cui  si  avesse  avuto  una  licenza.  E,  per  maggiore garanzia,  queste  licenze  di  darsi  caldomorbidi  si  potevano  avere  per  una  sola  persona  e  spesso duravano  tutta  la  vita. Molti  bambini  comunque  fecero  finta  di  non  conoscere  la  legge  e,  in  barba  a  questa, continuarono  a  dare  ad  altri  caldomorbidi  quando  ne  avevano  voglia  o  quando  qualcuno  glieli chiedeva.  E,  poiché  c'erano  molti,  molti  bambini  -  così  tanti  forse  quanto  i  benpensanti  - cominciò  ad  apparire  chiaro  che  la  cosa  era  molto  difficile  da  contenere. A  questo  punto  sarebbe  interessante  sapere  come  andò  a  finire.  Riuscì  la  forza  della  legge  e dell'ordine  a  fermare  i  bambini?  Oppure  furono  invece  i  benpensanti  a  scendere  a  patti?  E  Luca e  Vera,  ricordando  i  giorni  felici  dove  non  c'era  limite  di  caldomorbidi,  ricominciarono  a  donarli ancora  liberamente? La  ribellione  serpeggiava  ovunque  nel  paese  e  probabilmente  toccò  anche  il  luogo  dove  vivete. Se  voi  volete  (e  io  sono  sicuro  che  voi  lo  volete),  potete  unirvi  a  loro  a  offrire  e  a  chiedere caldomorbidi  e,  in  questo  modo,  diventare  autonomi  e  sani  senza  più  il  rischio  che  la  vostra schiena  si  ripieghi  per  la  sofferenza  e  rischi  di  raggrinzirsi. 

Claude  Steiner,  1969   







sabato 2 novembre 2019

passaggi

2 novembre cos'è? È il giorno dei morti, ovviamente. Oggi riflettevo su cosa dovesse significare questo... Stiamo ricordando coloro che fisicamente non sono più qui in mezzo a noi. E li chiamiamo "morti"... ma è un nome appropriato? Delle volte quando siamo stanchi, noi diciamo che siamo "morti", quando ci arriva una notizia inaspettata, negativa, diciamo che per un momento "siamo morti" al sentirla. Se ci guardiamo bene in giro (e forse anche dentro di noi, chissà), noi scopriamo che ci sono tante persone morte, eppure viventi. Sì, perché nel loro cuore, nella loro vita, hanno seppellito qualcosa, l'hanno messo a tacere, abbandonando la speranza. Al di là di questa triste condizione in cui versano molte persone, mi stavo domandando: ma sono davvero "morti", quelli che noi festeggiamo oggi? Non è per caso meglio chiamarli "viventi in eternità", o al limite "defunti", cioè quelli che semplicemente hanno compiuto qui la loro parte e sono passati altrove? 

Mi hanno sempre colpita molto quelle necropoli antiche, in cui quando si va a visitarle, nelle tombe si trovano gli scheletri con delle stoviglie o comunque oggetti utili per la vita quotidiana. Sebbene non cristiane, le civiltà antiche consideravano normale, che la vita di una persona non finiva qui, che quella che per noi è la fine, per loro era solo un passaggio naturale in un'altra dimensione mentre l'esistenza di una persona continuava altrove. Ecco perché avevano bisogno di questi oggetti, per potersene servire laddove andavano. Penso allora che oggi dovremmo semplicemente ricordare i defunti, quelli che sono andati altrove, che non vediamo qui accanto a noi, ma non morti... In fondo sappiamo che siamo di passaggio e il passaggio non significa solo la fine, ma anche un nuovo inizio, sempre.

domenica 13 ottobre 2019

i miracoli da notare

Lc 17,11-19

Alle volte noi chiediamo. Chiediamo con forza e insistenza. Chiediamo ciò che si sembra indispensabile. Ma la risposta che riceviamo alla nostra richiesta, non è quella che volevamo o che ci saremmo aspettati. Ed ecco che ci sentiamo "rimandati" e dentro di noi avvertiamo la delusione. E in questo essere di nuovo "fregati", a un certo punto, in cui non ce l'aspettiamo, avviene il miracolo. Ma delle volte siamo così concentrati sulla nostra delusione oppure sull'assurdità di aver ricevuto una risposta che non era quel che volevamo, che non ci accorgiamo del miracolo. Non vuole essere un giudizio. Capita che la vita ci dà delle risposte che ci risultano assurde e che richiedono da noi molte energie umane e spirituali, oltre che spesso anche mentali, perché vogliamo comprendere bene l'assurdità. Ma mentre leggiamo queste parole sappiamo già che l'assurdità è assurdità proprio perché non rientra negli schemi valutativi della nostra mente e spesso in noi deve scattare la fiducia. Ed è proprio la fiducia, che coltivata diventa sentimento di accettazione, di abbandono e, perché no, anche di ammirazione, che ci permette di attraversare le assurdità della vita. L'abbandono poi fa entrare l'opera di Dio nella nostra vita e genera dunque l'ammirazione per la sua opera. Esattamente ciò che nel Vangelo di oggi succede all'unico guarito che torna indietro per ringraziare. Lui, per strada, si è accorto che era avvenuto il miracolo, anche se separandosi in quel momento da Gesù, non si erano visti guariti. Ed era uno straniero, secondo quanto dice Gesù. Forse la sua "stranezza" o/e "estraneità" stava proprio anche in questo: nel fatto che lui non ha seguito degli schemi interpretativi rispetto a quello che stava accadendo,  ma ha conservato un modo di vivere gli attimi, che troppo spesso a noi è estraneo. Ha tenuto gli occhi e il cuore aperto. Dall'essersi accorto del miracolo, allo scaturire della gratitudine, è stato un attimo. E una cosa è certa. Molti miracoli nella nostra vita arrivano, ma ci sfuggono perché non rientrano nei nostri schemi. Una chiamata ci accomuna, allora: quella alla gratitudine, che quando si sprigiona nel cuore, non ha paura di nulla, nemmeno di "tornare indietro" per ringraziare. Forse gli altri non hanno saputo recepire il dono, perché non è arrivato "quando volevano loro"? O forse ritornare al luogo della propria lebbra (anche da guariti), fa paura? Non lo sappiamo esattamente di loro. Ma possiamo senza dubbio cercare nella nostra vita quei luoghi in cui ancora non entra la gratitudine e non ci accorgiamo del miracolo.  

martedì 24 settembre 2019

chi è dentro, chi è fuori?

Lc 8,19-21
Una delle cose peggiori che possono succedere quando tu stai in compagnia. Arrivano i tuoi e ti richiamano, ti vogliono tirare fuori. Peggio ancora: non entrano ma mandano qualcuno a chiamarti. Forse un po' di rabbia e scocciatura ci sta. Ma Gesù sembra che non si lasci scomporre da queste possibili istintive reazioni. Fa direttamente una mossa che da un lato potrebbe sconvolgere di più, dall'altro lato svela la sua estrema libertà interiore che si manifesta proprio nel fatto che lui non si altera. In queste situazioni, noi ci arrabbiamo perché ci sentiamo trascinati o vincolati da dei legami, giustamente, avendo a che fare con i nostri familiari. Il punto è restare, come Gesù, dentro e dentro di sé. Se dentro di te c'è la sufficiente sicurezza, quella buona, che non è sfacciataggine, tu non ti scomponi, ma rimani dentro, presente a te stesso, anche quando da fuori ti richiamano, rifacendosi ai legami più legittimi di questo mondo. I legami sono fatti per la vita e non la vita per i legami. L'uomo è un essere sociale per poter vivere ha bisogno dell'altro, ma non di dipendere morbosamente dall'altro. Chi è "dentro", come Gesù, vede quali sono le relazioni più vitali, quelle appunto che coinvolgono interiormente, all'ascolto di una Parola che dà vita. Le voci da "fuori", che sono lì, pronte addirittura a dirti che sei tu quello pazzo e "quello fuori", sì, forse danno un po' fastidio, dispiacciono, ma non sconvolgono la vita vera. L'amore non sta infatti nel fermarsi fuori a richiamare. Il vero legame è quando tu hai coraggio di entrare dentro la vita del fratello, non in quello che tu pensi che egli sia, ma in quello che egli davvero è. E questo significa davvero sapersi mettere in ascolto di quella Parola, che lo abita.

domenica 1 settembre 2019

brutte figure a tavola

Che brutta figura! Certo, quando tu inviti un personaggio di un certo spessore a casa tua... magari sperando in fondo di attirare la gente, di fare la figura di chi è importante o coraggioso e poi la fine è come quella del capitolo 14 di Luca, vangeli di questi giorni, insomma... Il fariseo che ha organizzato il banchetto, chissà in fondo cosa sperava... Forse pensava che invitando Gesù, avrebbe fatto un gesto clamoroso, forse voleva essere trasgressivo, mostrare che non ha paura di invitare uno che viene contrastato. Forse invece era curioso e voleva vedere se la gente accorreva. Forse voleva intrappolare Gesù, mettendogli davanti l'idropico... Qualsiasi cosa non alberghi nel suo cuore, certamente non si aspetta il risultato che viene. Gesù da quando entra per il banchetto, osserva e commenta... eh insomma, i commenti non sono esattamente quelli che uno si aspetterebbe... Infine: "quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici...". Ecco cosa sta succedendo. Il fariseo invita un personaggio importante... ma non sa, che lui non solo non ricambierà in nessun modo, con nessun tipo di soddisfazione, ma che lui è proprio il primo di quei poveri da invitare, gratuitamente, anche se "non sanno come comportarsi". Perché questo sembra far vedere Gesù: fa commenti inopportuni, fa fare brutte figure al fariseo. Ebbene, così funziona lui. 
Noi pensiamo che facendo figura di quelli che sono "vicini a Dio", cioè quelli "di chiesa", ci mettiamo "al sicuro", eppure è proprio al contrario. 
Invitarlo nella propria casa, al proprio banchetto, significa essere decisi e disponibili ad essere disturbati, a mettersi in discussione per primi. Mangiare con lui, non significa condividere con lui il nostro cibo, ma accorgersi che dobbiamo condividere noi il cibo che egli ci offre. E il suo cibo è fare la volontà del Padre. E queste, lo sappiamo, sono cose che non vanno di moda, e non servono certamente per conservare la buona faccia e per fare la bella figura. Buon appetito, dunque a noi, al banchetto imbandito da Lui, per noi, poveri, che riceveremo tanto, gratuitamente.


sabato 17 agosto 2019

domanda e/o risposta

Lo scarto del tempo tra la domanda e la risposta: ecco lo spazio per la fiducia. E diventa spazio tanto più sacro, quanto più coltivi la memoria di questa domanda (nella logica del ricordare: ripassare dalle parti del cuore). E diventa tanto più profondo quanto più permetti che l'attesa diventi fonte di felicità nella tua vita. Perché l'attesa è già un punto d'arrivo, concepito ma non ancora nato. Si nutre di fiducia per crescere. Tu forse attendi che nasca come una risposta certa, una scelta sicura. Ma quando avrai atteso, nell'abbandono, verrà il tempo e mi dirai: non sono certo, sono felice; non sono sicuro ma il mio amore ha finalmente una forma. 

sabato 1 giugno 2019

la forza delle domande

"Chiedete ed otrerrete" mi fa pensare oggi a una cosa che continuamente accade nella vita. La capacità di domandare è la virtù di chi non si sente arrivato. Quante volte ci siamo vergognati di porre le domande, quando bisognava farle? Quanti disagi a volte ne conseguirono? Quanto più semplice sarebbe la nostra vita, se non dovessimo fare sempre la figura di chi già sa. Come se porre le domande fosse una cosa che sminuisce la nostra umanità. Ebbene, chi non chiede, rischia di cadere in una specie di presunzione, delle volte senza nemmeno accorgersene. Ma un conto è presumere rispetto al propri sapere: quando ci sembra che sappiamo tanto su tanti argomenti (e può essere anche vero). Invece un'altra cosa è quando noi presumiamo di ciò che risiede nelle persone con cui entriamo in relazione. E' lì che si giocano tante cose. Si feriscono le persone, si attribuisce a loro qualcosa (o più cose) che non esistono. Si, essere capaci di domandare la ragione di ciò che l'altro, dunque diverso da me, compie, richiede coraggio... e richiede ancora più coraggio ascoltare la risposta quando arriva. Inutile porre i quesiti se si ha già dentro la risposta. Aveva ragione la grande Alda Merini quando diceva che la semplicità è la raffinatezza della profondità. Infatti, è molto più semplice e semplificante, porre le domande. Ed è frutto del desiderio di andare in profondità della vita, di ascoltare profondamente l'altro. E questo significa non essere arrivati e non sentirsi tali. Essere semplici, appunto, bisognosi di alzare la mano e chiedere. Forse per questo il Vangelo di oggi ci dice di mettersi d'accordo per strada con l'avversario... perché è più semplice e immediato che non andare da un giudice. Occorre abbandonare la vergogna di non sapere, la rigidità che risulta a volte un silenzioso giudice. Tornare come bambini, sempre desiderosi di conoscere, sempre fiduciosi, forti delle loro domande... "perché la nostra gioia sia oiena". 




mercoledì 17 aprile 2019

sono proprio io

Mt 16,14-25


Se guardiamo bene la nostra vita, anche quella molto quotidiana, di solito quando succede qualcosa che "non va", e lo notiamo, senza sapere chi ne è l'artefice, la domanda che scatta immediatamente è: "chi l'ha fatto?" Come se fosse così estremamente importante trovare sempre il colpevole. Come se stessimo sempre a dire: io ho notato questa cosa fatta male e ora la faccio pagare a chi l'ha fatta. Come se nella nostra natura fosse in qualche maniera scritto in profondità, che occorre punire il "peccatore", altrimenti non si espia il peccato. E' sempre la logica dell'incapacità di separare il peccato dal peccatore. In fondo è una logica che viene superata nella Pasqua. 
Forte e impressionante la domanda che oggi si pongono i discepoli riuniti nel Cenacolo. 
Forte soprattutto proprio perché già comincia a rovesciare questa logica. All'annuncio del tradimento, i discepoli cominciano immediatamente a rivolgere la domanda a loro stessi: "sono forse io?". Quindi non più: "chi sarà?", oppure "sarà sicuramente...", ma il rovesciamento a 180°. L'ammissione della possibilità che sia proprio io quel che tradisce. E quindi, secondo la logica della legge del taglione, sono io a dover pagare. E poi la Pasqua porta un ulteriore rovesciamento: sì, sei proprio tu colui che tradisce, ma non devi pagare, perché paga il tradito. Ed è proprio per questo che puoi ammetterlo, puoi dirlo, guardando il tuo proprio riflesso e scorgendo in esso i tratti della misericordia, grazie alla quale vivi. Puoi dirlo forte a te stesso e poi anche agli altri: sì, sono proprio io. Cerco di non tradire, ma tradisco e sono perdonato. Perché anche nella notte del mio peccato, nell'oscuro sentimento di essere nudo e disprezzato per la mia debolezza, risplende un abbraccio nuovo. E il Risorto mi avvolge nella Risurrezione. 

mercoledì 10 aprile 2019

un nome, non una garanzia

Gv 8,31-42

L'appartenenza ad un gruppo sempre porta in sé una dose di senso di sicurezza, una sorta di garanzia. Questo accade per eccellenza in una famiglia. Di certo ognuno di noi ha sentito svariate volte, come si associano gli atteggiamenti, i comportamenti, le doti, i difetti ecc, ad un cognome o ad un paese. Delle volte in negativo, altre volte in positivo. 
Così anche i Giudei del Vangelo di oggi. Al mimo accenno di Gesù, su una possibilità di cambiamento, la negano immediatamente a partire dall'appartenenza ad una discendenza. Essere "quelli di Abramo", significa non essere mai stati schiavi. Sono pericolose convinzioni e false sicurezze. E' vero e certo che un qualsiasi gruppo di appartenenza deve dare un certo senso di sicurezza e protezione, tuttavia un'identità individuale non si può nascondere dietro un'identità collettiva. Il "grado di schiavitù" o di libertà, non dipende dal nome che portiamo. Certamente alcuni atteggiamenti che si perpetuano nelle famiglie di generazione in generazione, possono determinare notevolmente la vita di un discendente ma mai definitivamente. Un nome non è mai una garanzia. Oppure può esserlo solo nelle circostanze molto circoscritte. Gesù ci tiene di ricordarlo. La libertà o la schiavitù si gioca dentro di noi, nelle nostre decisioni, nelle conseguenti azioni, nella capacità di cambiamento. Anche quando ci qualifichiamo come figli di Dio, non siamo automaticamente esenti dal peccato, o dalla debolezza. Piuttosto ci identifichiamo con coloro che sono stati chiamati alla libertà e, consapevoli di questo, ad essa aspirano. E proprio per questo motivo, sono in grado di accettare che tanti passi ancora restano da fare verso la vera libertà dei figli di Dio. Che non siamo mai arrivati. E che, se qualcuno ce lo fa notare, non è necessariamente per sminuirci, ma forse semplicemente per spronarci nel cammino, e  scegliere di non nasconderci più dietro una responsabilità collettiva, ma assumere quella più alta e gratificante, quella personale. 

martedì 9 aprile 2019

da un'altra prospettiva

Gv 8,21-30

Continua il discorso di Gesù. Continua anche l'incredulità e l'ostinazione di chi non vuole o non può credere in Lui. 
E allora scatta la considerazione sul punto di vista da cui guardare le cose. Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete... 
Hai mai guardato la stessa persona prima dal basso e poi dall'alto (oppure vice versa)? O meglio ancora: mettendo ben a fuoco cosa succede quando cambiamo la posizione verso la persona, dal punto di vista fisico, pensiamo ora allo sguardo interiore. Hai mai cambiato la posizione verso qualcuno, interiormente? Ti è capitato di guardare (forse anche inconsapevolmente) qualcuno dall'alto verso il basso per un lungo tempo, con la poca voglia di avvicinarti a lui o di "degnarlo" di uno sguardo diverso rispetto al solito? Ti è mai venuto in mente che forse proprio quella persona, che guardi un po' dall'alto, magari non tanto o non solo per antipatia ma anche per la tua personale insicurezza, che non vuoi esternare (come fu nel caso di farisei che, insicuri sulla persona di Gesù, preferivano coglierlo in fallo e/o comunque ostinarsi nel non volersi avvicinare alla sua "posizione"), potrebbe essere qualcos'altro, rispetto a quello che tu pensi? Beh, se hai questa esperienza, sai allora che le parole di Gesù sono sacrosante. Solo quando cambiamo la prospettiva, quando "innalziamo" la persona, purtroppo spesso esattamente come fu fatto a Lui, messo in croce, riusciamo a vedere la sua grandezza. Questo può succedere nelle circostanze della vita o semplicemente perché anche noi ci mettiamo in croce a vicenda. Ma poi finalmente abbiamo modo di guardare l'altro dal basso, da una nuova prospettiva... forse si presenta finalmente quell'occasione in cui siamo noi quelli piccoli, quelli più indifesi o perché ci rendiamo conto che abbiamo messo in croce qualcuno, o perché vediamo una grandezza che prima non eravamo in grado di percepire. Dunque, può essere un compito interessante per questi ultimi giorni della Quaresima: cambiare la prospettiva, assumere un'altra posizione, e questo significa: permettere ai nostri occhi di vedere qualcosa, che prima non sono stati capaci di scorgere. 

lunedì 8 aprile 2019

reggersi da soli

Gv 8,12-20


Oggi mi viene da fare una riflessione "girata di 180°" rispetto a ciò che dicevamo qualche giorno fa. Osservavamo Gesù che non pretendeva che si credesse solo nella sua testimonianza, ma diceva di avere altri testimoni. Oggi punta invece sulle parole che Egli stessi dice di sé, e sul Padre, che purtroppo coloro che lo ascoltano, non vedono e non riescono a percepire. Bene, vediamo quante volte nella nostra vita, specie parlano di noi stessi, diciamo "ti giuro che..." e "puoi chiedere a...". Insomma a tutti i costi cerchiamo di convincere le persone che sono attorno a noi che una cosa, un evento, una nostra caratteristica, davvero sono come noi le presentiamo. Certamente nella vita serve delle volte farlo. E di solito lo facciamo nei confronti delle persone a cui ci teniamo. E fin qui comunque è tutto normale. Il problema comincia, quando a noi crolla il mondo solo perché le persone non ci credono. Quando d'istinto cominciamo a fare di tutto e a cercare di convincere, magari spendendo forze, tempo, energie, rincorrendo le persone a cui dobbiamo provare qualcosa... solo per avere l'approvazione. E Gesù dice: "anche se io do testimonianza a me stesso, la mia testimonianza è vera". E basta. Le frasi che pronuncia dopo, non sono per nulla volte a convincere i farisei della sua veridicità, anzi, sembra che la distanza tra lui e chi ascolta si stia anche allungando. 
Eh sì. Bisogna imparare da lui a reggersi da soli. Certo, siamo esseri in relazione, abbiamo bisogno di curarle ecc. Tuttavia siamo anche soli davanti a Dio, che ci vede per quel che siamo e solo Lui ci vede nella nostra verità. Perché rincorriamo le persone e cerchiamo a tutti i costi la loro approvazione? Forse perché spesso non sappiamo reggerci in piedi da soli e cerchiamo un bastone, cioé una persona che ci regga la vita, che ci dia il ritorno del suo valore. E non ci ricordiamo più che valiamo solo perché esistiamo... Quando ci viene da giurare e da voler convincere qualcuno di qualche cosa, invece di corrergli dietro, forse potremmo fermarci, prendere un bel respiro profondo e dirci: "ma cosa mi cambia, se non mi crede?" Forse scopriremmo che in fondo non ci cambia nulla, che il nostro valore resta lo stesso perché siamo sempre amati, anche quando il rifiuto di qualcuno momentaneamente ci ferisce. Forse anche questo è un passettino verso la libertà interiore: sapere che i legami sono necessari, ma che devono essere sani e che in ogni amore ci vuole anche la giusta distanza, quel respiro appunto, che ci permetta di assaporare lo sguardo d'amore sempre rivolto su di noi al di là del fatto che riceviamo le approvazioni o meno. Questo significa in fin dei conti amare, relazionarsi, ma non essere dipendenti. Questo ci apre alle relazioni libere e all'amore di Dio. 


domenica 7 aprile 2019

sotto i riflettori

La nostra fragilità. L'argomento che puntualmente sfuggiamo o, se lo affrontiamo, è quasi sempre con quella scomodità nel cuore, per doverci ammettere imperfetti. Questa condizione della nostra vita ci parla di un deficit, di un vuoto da colmare. Basta guardare già le prime battute dell’odierno brano di Giovanni. 
La folla va dietro a Gesù: qualcosa che le manca. Ma improvvisamente, il nostro sguardo si sposta ad una donna, sola, ferita nel centro più profondo dell’essere umano. È un’adultera, colei che svende il suo corpo, permettendo che venga ferito nella sua capacità di amare. Ed ora questa piaga viene messa lì, al centro, davanti a tutti, senza scrupoli per essere usata per mettere alla prova Dio stesso. Gli scribi e i farisei volendo cogliere in fallo Gesù, non si accorgono però che gli danno in questa maniera l’occasione per mostrarsi esattamente per quello che Egli è, Misericordia. Il tutto, coperto accuratamente dalle prescrizioni della legge, quasi fosse una copertina dorata, che copre però sotto dei complicati meccanismi che nel loro intento, dovrebbero nascondere il loro peccato, palesando quello della donna. 
Gesù non dà retta alla loro domanda “a trabocchetto”. Gli esegeti ci direbbero che il suo dito che scrive per terra, è quello della mano di Dio che crea e che ora ri-crea la vita ferita dell’adultera. Ma, cercando di guardare la scena dal punto di vista umano, sembra che Gesù fa questo gesto, per sminuire l’imbarazzo della donna, già tanto umiliata. Lui, Dio, l’unico senza peccato, resta con lo sguardo fisso per terra: anche lui si sente umiliato e prova vergogna. Alza gli occhi solo a loro e risponde con un interrogativo, destinato a restare senza risposta esplicita. 
Il Signore accende così un riflettore che illumina tutti gli angoli dell’umanità dei protagonisti. Qualcuno ne resta illuminato, anche se fa male, come ad esempio la donna. Qualcuno invece scappa, sfugge la luce. 
Il gesto di condannare l’altro resta sempre sintomo della mancanza della misericordia che non vale solo per il prossimo, ma in fondo vale anche per se stessi. I farisei e gli scribi condannano l’adultera e in seguito condannano se stessi, scappando dalla luce che gli ha appena rivelato la verità sulla loro fragilità. E non regge nessuna Legge.
E infine: colei che non scappa, non viene giudicata da Dio, ma diviene oggetto della sua misericordia. Si svela l’incapacità del male, davanti alla grandezza della misericordia divina. “Nessuno ti ha condannata”: perché in primis non sei condannata da Dio. Chi vuole evitare la luce, si condanna da solo. E non può più sentire le parole di incoraggiamento che liberano definitivamente dalla pretesa di perfezione: “non peccare più”, cioè non autocondannarti più, perché c’è un Amore più grande, che fa sì che la tua debolezza non scompaia, ma sia per sempre amata e per questo redenta.  

venerdì 5 aprile 2019

sprigionare la libertà

Gv 7,1-2.10.25-30

Una lezione di libertà dietro all'altra, nel brano di oggi. Se ci pensiamo, esistono delle persone che non hanno paura di parlare apertamente e, sebbene la verità faccia male, non gli viene detto né fatto nulla. E, di solito queste persone, riprendendo il pensiero di ieri, non hanno bisogno di urlare, non intimidiscono per essere ascoltate. Semplicemente parlano. E la veridicità delle loro parole, fa effetto da sé. Vi siete mai domandati, perché alcuni quando aprono bocca, vengono subito contestati e schiacciati e altri no? Saranno probabilmente i modi, utilizzati a lungo dalle persone, che creano un certo tipo di effetto. Non c'è niente da fare, aveva ragione quella persona che disse che possiamo sentirci veramente liberi di essere quello che siamo, solo in presenza delle persone veramente libere dentro. E quando accade questo, non ci sono più barriere, ci si può dire quello che si pensa e quello che si è, sia che si tratti di contatto "a quattro occhi", sia quando c'è una grande quantità di gente. Sei veramente te stesso quando non ti senti giudicato, né condannato per la tua possibile fragilità ecc. 
Ma la domanda sul comportamento di Gesù oggi va oltre. Chi è Lui?  Beh, si dicono: se è veramente l'inviato di Dio, allora sì capisce, bisogna ascoltarlo. E' proprio così: tu ascolti o meno una persona in base all'importanza che le dai. Ma, tornando a ciò che abbiamo appena detto: dai importanza alla persona presso la quale ti senti stimato per quello che sei. 
E ancora un altro gradino di libertà, ci propone Gesù. Sapendo cosa pensano su di lui, punta proprio lì. Ha proprio quel coraggio che le persone libere hanno, di dire: bene, visto che le cose sono contorte e complicate, quando chiuse all'interno delle menti umane, portiamole alla luce, in modo che si semplifichino e siano limpide. Questo poi, a chi non ha realmente sperimentato il suo amore e la sua presenza liberatoria, suona scomodo, perché colpisce in quel qualcosa che doveva rimanere oscuro e non essere manifesto. Dunque cercano di fargli uno sgambetto. E non ci riescono. 
La libertà e la verità vanno a braccetto. Non conoscono le barriere delle contorsioni mentali, dei sospetti inutili, delle intuizioni non verificate. Sono semplici e luminose e "si riproducono" velocemente in quanti sono disposti ad uscire allo scoperto. A noi la scelta. 

mercoledì 3 aprile 2019

tutto diventa giovane [4]

Cristo vive! No, non sono auguri pasquali in anticipo. Sono le prime parole dell'appena uscita esortazione apostolica. 

Non l'ho ancora letta tutta... (299 paragrafi fanno un po' paura :D ). Ma leggo le prime frasi. E queste sono per me già una buona novella. 

Cristo vive! Egli è la nostra speranza, e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che rivolgo a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!

Non sono sicura di appartenere ancora alla categoria dei giovani cristiani. Strano pensare che Gesù, quando è morto aveva più o meno la mia età. So che vorrei che queste parole siano per me, proprio perché tutto ciò che viene toccato da Dio, ringiovanisce e non c'è più bel desiderio di quello di essere toccati da Lui, e ricolmati della sua Vita. Lui infatti non vuole la morte del peccatore ma che EGLI VIVA! Credo sia una bellissima notizia, a questo punto del cammino quaresimale. 

Sono molto curiosa delle cose che ci suggerisce Francesco per conservare sempre un cuore giovane, aperto e pronto a collaborare al disegno della salvezza. Conoscendo il nostro Papa, saranno di certo delle indicazioni molto concrete, che toccano da vicino la nostra vita. 
Buona lettura a noi, allora. La prospettiva è meravigliosa: arrivare alla ennesima Pasqua della nostra vita, con il pensiero di poter ringiovanire ancora una volta, perché sebbene sia vero che gli anni passano, è altrettanto vero che la vita si rinnova, proprio con la Risurrezione di Cristo. A noi la voglia di rispondere al dono di questa Vita! A noi scegliere di essere giovani, donne e uomini della Risurrezione.

tale padre tale figlio

Gv 5,17-30 

Dunque come è questa storia? Chi è più importante padre o figlio? Credo sia chiara la risposta. Ma! C'è un "ma". E' chiaro che nella relazione padre-figlio c'è sempre una nota di ovvia superiorità e inferiorità. Questa posizione tuttavia ha una ragion d'essere solo fino a un certo punto della vita e della "carriera" di padre e di quella relativa di figlio. Per quanto restino per sempre legati, viene il momento in cui tutti e due si incontrano "allo stesso livello" della vita. Il padre deve accettare che il figlio ormai è cresciuto. Qualsiasi scelta farà, giusta o sbagliata, sarà la sua. Il genitore può dare un consiglio ma non si può sostituire al figlio (sebbene il figlio sia naturalmente portato a riprodurre i suoi errori) e non può continuare a guardarlo "dall'alto". Altrettanto il figlio deve assumersi responsabilmente la sua crescita e iniziare a vivere camminando con le proprie gambe non dare al padre l'occasione di continuare a trattarlo come un bambino. Dunque Gesù cosa vuole dire quando dice: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare il Padre? Suona un po' come se Gesù fosse dipendente dal Padre, alla maniera di un uomo immaturo? Fermo restando ciò che abbiamo detto sopra: cioè che riprodurre i gesti buoni e meno buoni dei genitori, è un meccanismo psicologico "normale", qui però si stratta di qualcosa di più. Il Padre infatti ama il Figlio. Ecco il primo elemento essenziale: l'amore. E quello, lo sappiamo, libera, altrimenti non sarebbe amore. Il Padre... gli ha dato il potere di giudicare: Dio rispetta la natura umana del Figlio e lo lascia "libero" di giudicare, anche se il legame è tale da far sì che il giudizio dei due sia sempre lo stesso. 
Fa pensare, che Dio operi con due categorie umane: amore e libertà, nel parlare del legame intratrinitario tra due persone della Trinità. Ma proprio amore e libertà sono due nomi dello Spirito. E questo fa pensare ancora di più. Per quanto non saremo mai capaci di scrutare e comprendere a fondo queste relazioni tra i Tre (come li chiamava beata Elisabetta della Trinità), pare che ogni valore umano delle relazioni familiari venga risaltato oggi dalla Parola di Dio. Figlio generato dal Padre, ma uguale a Lui, non dominato da lui. Figlio come persona indipendente, eppure legato dall'essenza del bene al Padre. 
Forse può essere uno spunto buono per riflettere su come viviamo, nella nostra età adulta, le relazioni genitori-figli.

lunedì 25 marzo 2019

la libertà del SI

La Festa del SI

Una gravidanza come tante inattese di tutti i giorni in tutto il mondo. Gli stessi sentimenti di una qualsiasi donna che all’improvviso si scopre invasa. O peggio ancora: tu non conosci l’uomo. Nessuna, nemmeno una minima probabilità. È l’ora di trasformare invasione in inabitazione. In fondo ad invadere è solo la presenza del Signore presso di Lei. Nel suo racconto Luca usa tutti gli altri verbi detti dall’angelo al futuro: concepirai, darai alla luce, chiamerai, lo Spirito scenderà…Forse umanamente parlando sarebbe stato più facile se lui avesse pronunciato tutte queste cose al presente. Detto, fatto. Nulla da decidere, nulla da valutare. Forse da donna d’Israele del tempo, non era nemmeno abituata a decidere o ad avere diritto di dire qualcosa, ma piuttosto era abituata a sottomettersi. Non c’era nulla da intuire, perché le cose venivano stabilite dagli uomini o dalla Legge e andava bene ciò che emergeva da queste due fonti. Ora invece non c’è un uomo. Non lo conosce. E non c’è la Legge. Sta arrivando un bambino senza che si fossero adempiuti tutti i passaggi necessari per la creazione di una famiglia e la nascita di un figlio. 
Tempo della massima espressione della libertà dell’uomo, data dall’intuizione che viene dallo Spirito che abita l’umano. Il passaggio dall’osservanza alla libertà genera Dio nel mondo. In punta dei piedi e con la massima cautela, nell’attento ascolto di ciò che muove interiormente. È discernimento delle voci che risuonano dentro, discernimento che per sempre cambierà le sorti dell’uomo. Lasciati dunque guidare da quelle intuizioni bambine, che nessun genitore al mondo mai può trasmettere al proprio figlio. Esse appartengono al tuo essere Figlia di Dio e ad una relazione unica, irripetibile, con la misteriosa voce di Colui che ama e ti rende feconda in tenera età. Esse ti porteranno dietro alla voce dell’amore che non inganna. E tutto si giocherà nel tuo piccolo cuore, per quel piccolo piano salvifico che nella sua immanenza si nasconde in ogni piccolo frammento della vita del mondo. 
Ed eccoti ancella e portatrice dell’eternità, per sempre. Per sempre madre e serva. Un incontro stupefacente, il tuo, con il divino. Il piccolo si mescola con il grande, anzi con la grandezza. Non perdi nulla della tua piccolezza, assumendo tutta la grandezza. Fai entrare la grandezza nella piccolezza, l’infinito tra le pareti di un grembo. L’angelo se ne può andare. Ha compiuto la sua missione: affidare il suo Signore all’intuizione di una ragazza madre. 

giovedì 21 marzo 2019

tornare all'Unico importante [3]

Proseguendo la nostra riflessione quaresimale...
Per fortuna capita nella vita quel momento in cui le visioni ideali di noi stessi e degli altri, costruite con l'enorme dispendio delle nostre energie, crollano. E' il momento della conversione e del ritorno al Dio vero. Si allontana rapidamente l'immagine del Dio sui piedistalli, perché quando manca la terra sotto i piedi, all'improvviso cominciamo ad invocare la vicinanza di Dio, lo vogliamo concretamente agente nella nostra esistenza, cominciamo a fidarci. Avremo bisogno del tempo, per ritornare a sentirci bene con noi stessi, e ovviamente con Lui pure, una volta che il cuore comincerà a sentirsi bisognoso e perciò contenitore per la misericordia. 
Fino a quando cercavamo con le nostre sole forze arrivare in fondo ad ogni cosa, ricoprendoci le spalle con il mantello di supereroe, pronto per salvare il mondo, non eravamo disposti a ricevere le cure del Creatore. Avevamo un'idea per la nostra vita e una visione precisa della nostra realtà, Mentre Lui, pazientemente attendeva l'occasione per prenderci per mano e portare sulle vie da Lui preparate. Sarebbe bello imparare come l'amore di Dio è sempre sorprendente. E che non ci deluderà mai, se siamo disposti ad accogliere l'imprevisto. 
Questo potrebbe risultare talvolta difficile, soprattutto se per lunghi anni abbiamo tenuto la nostra vita ben stretta in pugno e se questo infine ci ha fatto sentire soli. Impareremo a fidarci di Dio, lasciando il controllo nelle sue mani, senza irrigidirci sui nostri schemi, Perché camminare sulle sue vie, non di rado comporta l'insicurezza e tanti punti interrogativi. Ma così in fin dei conti può finalmente morire il nostro vecchio modo di essere, e nasce l'uomo nuovo. Un parto è sempre un'esperienza difficile, per cui il percorso non è semplice. Ma grazie ad esso torneremo ad essere albero che porta frutti (cf. Mt 7, 16-20).
Quando infatti prendiamo coscienza e non abbiamo paura della nostra piccolezza, Dio ci rende capaci di costruire non più su noi stessi, ma sulla Roccia che è lui. 
La Quaresima è allora per noi quel tempo in cui, al termine potremo forse dire con più forza e consapevolezza: ripongo tutta la mia fiducia nel Signore, mi fido sempre della sua Parola. 


[continua]

mercoledì 20 marzo 2019

uomo, non Dio [2]

Ci siamo fermati nella prima riflessione dicendo che possiamo costruire le vere relazioni solo svelando il nostro vero io.
Dobbiamo ricordarci che allacciare i rapporti porta con sé un certo rischio, quello di aggrapparci poi alle persone e cercare in loro il compimento dei nostri desideri. Diventiamo dipendenti dagli altri, forse delle volte senza accorgerci che li cerchiamo per colmare le nostre lacune. Se non abbiamo un forte e costruttivo legame con Cristo, sarà senz'altro faticoso instaurare delle sane relazioni con le persone. Nessuno vive per andare incontro ai nostri bisogni. Come nessuno potrà mai dirci cosa è meglio per noi e come scoprire i nostri desideri più profondi. Ovviamente possiamo e dobbiamo ascoltare i consigli che ci vengono dati, ma sempre ricordandoci che essi provengono da un'esperienza individuale della vita di quella persona. Possono servire a noi, ma la responsabilità per la nostra vita, resta sempre personale e come tale, sta nelle nostre mani. Ognuno di noi, infatti ha una sensibilità e un vissuto differente. Di certo vale anche al contrario: non posso esigere che una persona si comporti in quel modo che per me è stato utile nella vita, perché è la persona stessa che, in fin dei conti, deve decidere cosa è bene per lei. Posso aiutarla, ma mai esigere che faccia ciò che dico, altrimenti limito la sua libertà. 
Ci dobbiamo ricordare sempre che "riempirsi di una persona", è sempre un'esperienza e, nel caso, un antidoto passeggero per le nostre tristezze e per i nostri dolori. A lungo andare questo atteggiamento porta alla profonda delusione, perché prima o poi ci accorgiamo che le persone non sono in grado di colmare certi vuoti che abbiamo dentro. Così il fatto di avere delle attese o addirittura delle pretese verso l'altro, è fonte di frustrazione soprattutto per noi stessi. Siamo capaci anche di andare avanti cercando di convincere noi stessi che va bene appoggiarsi su una persona, fino a quando non arriva la grande delusione, quando non otteniamo ciò che stiamo cercando. Capita pure, che spostiamo l'attenzione su un'altra persona, senza accorgerci dello schema che stiamo riproducendo, che ci porta di frustrazione in frustrazione. Esso ci allontana dalla vera realizzazione dei nostri desideri e, di certo anche da Dio, che, mentre dovrebbe essere al centro della nostra vita (se siamo cristiani), viene sostituito da un surrogato umano. 

[continua]