giovedì 31 dicembre 2020

come finire, come iniziare?

Gv 1,1-18

Doveva essere un bellissimo ultimo dell'anno. Sia la giornata che la notte. Dopo un anno difficile almeno con qualche persona per una piccola festa o/e cenone.
Eppure... inaspettatamente: la chiusura e l'impossibilità di realizzare tutto ciò. Nel cuore il dispiacere e forse un po' di rabbia perché era tanto il desiderio, eppure la pandemia ancora vince!
La vita ci parla in tutti i suoi eventi. Siamo abituati a pianificare, fin nei minimi dettagli, fino all'ultima ora dell'anno, la nostra vita. E oggi salutiamo il 2020 con una sorta di convinta speranza, che il 2021 sarà diverso, meno sofferto, che ci permetterà di sentirci di nuovo insieme... come sarà realmente? L'importante è che non c
adiamo nell'autosufficienza, e non ci dimentichiamo che c'è Qualcuno che la nostra vita l'ha già pensata e che anche quando noi siamo impossibilitati di fare ciò che ci siamo pianificati, la vita resta bella, forse ancora di più, bella della bellezza dell'imprevedibile, cosa che può ancora accrescere in noi la speranza, ma ci aiuta a non fissarci in una maniera rigida con le nostre attese. Perché, ci ricorda oggi il brano del Vangelo di Giovanni, del Prologo, il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Ed è questo il più benedetto imprevisto della storia. Oggi, per finire l'anno così, "in bellezza", in questa bellezza, penso che la vita ci stia facendo un augurio. Vivi il 2021 con una speranza nuova, con tutti i sensi aperti a ciò che di nuovo e inaspettato ti sarà donato. Occhio alle benedizioni che arriveranno. Il cuore resti aperto, perché anche quando i nostri piani più accurati non dovessero realizzarsi, ci viene sempre dato qualche dono. Quale sarà quello del 2021? Da domani, se vorremo, cominceremo ad accorgercene.  

lunedì 28 dicembre 2020

To be or not to be


Mt 2,13-18
Quando un bambino è piccolo, noi percepiamo fortemente il suo esserci, ma ancora non tanto il suo essere...è normale perché il suo esserino deve ancora crescere e cominciare a formare ed esprimere i tratti personali, che gli faranno distinguere chiaramente dagli altri. Forse per questo, come dice il Vangelo di oggi, una madre di fronte alla scomparsa del suo figlio, sente che lui "non è più". Di fronte alla morte dei bambini, quando scompaiono tante vite piccole ed innocenti, ancora tutte in potenza, non possiamo non fare una riflessione sull'essere del nostro mondo. Privare i bambini di vita e della possibilità di crescere significa condannare il mondo al "non essere", che è molto peggio del "non esserci", cioè non rendersi presenti. Dio è colui che è e in Lui tutto esiste, anche ciò che noi volontariamente o meno, annientiamo.  E vuole che noi tutti siamo e ci siamo! A noi dunque, la decisione sul "TO BE OR NOT TO BE", nostro e quello del nostro mondo.

sabato 19 dicembre 2020

zitti per amore


Lc 1,5-25

Alle volte la nostra vita ha bisogno di essere zittita. Quando in essa si affaccia qualcosa che umanamente risulta incomprensibile, di fronte alle nostre mille argomentazioni, Dio trova il modo per zittirci. E ci fa capire chiaramente, come ha fatto con Zaccaria, che lo fa per amore. Perché il progetto più grande di noi, più bello di qualsiasi nostra capacità di immaginazione, rischia di rimanere soffocato dai nostri calcoli e dalle nostre logiche. Per questo, adesso è il tempo di tacere, finché le cose non avvengano. Forse questo vale mille volte di più nel tempo della frenesia natalizia. E non per mortificarci, ma per liberare la mente e il cuore affinché sappiano farsi spazio per l'essenziale: per accogliere Colui nel quale ogni silenzio e ogni parola acquistano il vero senso. Facciamo silenzio, dunque, perché sta per succedere un miracolo, sta per succedere di nuovo LA VITA.

giovedì 17 dicembre 2020

l'eterno tendere

Mt 1,1-17


E a quanto pare 13 tende sempre a 14... Così nella genealogia di Gesù, che è il 14esimo della terza serie. Solo resta un po' "fuori" dalle generazioni, perché non si capisce chi lo "generò" in tutto questo elenco di generanti e generati... Così per me e per te: Dio si riserva l'ultima parola sulla nostra vita, che tante volte sembra quel 13 incompiuto che tende al 14. Lui prende la nostra esistenza fuori dalla "monotonia" delle generazioni, con assoluta libertà ci vuole introdurre nel "nostro 14", attraverso la verità sulla nostra vita. Questa verità dice che chi completa è solo e sempre Lui, che in ultimo ci dona la parola della libertà, che, introdotta nella nostra vita circoscritta, ci immette nella logica del Regno di Dio in mezzo a noi.

mercoledì 16 dicembre 2020

ciò che io non sono



Lc 7,19-23
Ancora una volta Giovanni il Battista... ancora domande sull'identità. Nessuna risposta diretta da parte del nostro protagonista. Sarà perché non sa chi è davvero? Eppure sa il fatto suo, sa bene il perché di quello che fa. E questo dovrebbe farci pensare che sa anche bene chi è. Sì, le percezioni di una persona possono essere tante. 
Io non sono quello che tu pensi di me. Non sono il tuo pensiero, anche se ne dovesse risultare l'immagine più perfetta che uno possa mai desiderare. Io non ho bisogno della percezione positiva o negativa dell'altro, ma ho bisogno di essere riconosciuta per quello che sono. Questo presuppone che tu, pur avendo una percezione di me, mi lasci vivere al di fuori della tua percezione e non mi soffochi con essa. Se vuoi sapere il perché delle mie azioni, delle mie scelte, vieni, domanda e parliamone. Forse scoprirai che non sono quelle che tu pensi. Forse proprio in questo sta l'amore: che io e tu ci mettiamo in comunicazione, in discussione di fronte all'alterità, abbandonando le sicurezze dei nostri pensieri che inquadrano l'altro in ciò che egli non è. Esattamente come fa Dio, lasciandoci liberi giorno dopo giorno e amandoci così come siamo.

martedì 15 dicembre 2020

perché no? perché sì?

 




Mt 21,28-32

Ti ricordi quella volta (almeno una), in cui hai detto di Sì a una richiesta, a una persona, a cui in realtà non avevi nessuna voglia di dire di sì. E, chissà, forse non eri nemmeno costretta/o dalle circostanze (ad esempio lavorative)? Ma l'hai detto. Perché? Cosa sarebbe successo se quella volta, quando dopo quel sì, hai sofferto e hai dovuto affrontare delle situazioni che ti stavano scomode, avessi invece detto di no? Cosa avresti perso? Cosa avresti guadagnato? Quale sarebbe stato il bilancio, un possibile scenario? Moltissimi di noi vengono dalle generazioni educate a dire sempre di "sì". Siamo abituati a mettere sempre le richieste e i bisogni degli altri davanti ai nostri. I guadagni sono vari, spesso quello più forte e quello che ci paralizza dentro, è il guadagno affettivo. Se dico di "sì", mi vorranno bene, mi considereranno persona buona, educata, disponibile. Ma ti sei mai domandata/o, cosa sarebbe successo se dicessi alle volte di "no" e perdessi questa considerazione? La risposta sarà certamente personalizzata... se nel rispondere sentiamo che ci manca la terra sotto i piedi, dobbiamo seriamente domandarci dov'è l'affetto che dovremmo nutrire verso noi stessi... Sì, perché i primi a farci stare in piedi dovremmo essere noi stessi, e nello specifico caso di noi, che crediamo, la consapevolezza dell'amore di Dio, sempre presente e che ci accompagna al di là dei nostri "sì" e nostri "no". 
Il Vangelo di questa domenica ci ricorda proprio questo. Esistono nella nostra vita tanti "sì" costretti, non scelti. Il figlio che dice al padre che è disposto ad andare a lavorare nella vigna, fa esattamente questo: vuole guadagnare la considerazione, solo quello gli importa. Poi, siccome vive nella speranza di non essere scoperto, non ci va. Il suo parlare è "sì" e il suo fare è "no". E si rischia una vita schizofrenica: emotivamente impossibile da sostenere e generante delle relazioni che si basano sulle paure, sulle non trasparenze. Forse invece dobbiamo imparare di più a dare spazio a quel bambino ribelle dentro di noi, che dice di "no", quando sente che le cose non gli stanno a genio. Quando sente che ha bisogno di quel "no" per essere coerente con se stesso, per mostrarsi per quello che veramente è e non per quello che gli altri si aspettano da lui. Ecco perché i pubblicani e le prostitute passano davanti a noi nel Regno: il loro sì al Signore parte dalla consapevolezza della loro estrema miseria. Ed è questa consapevolezza che permette a ciascuno di noi di dirsi: non posso dire sempre di "sì" perché non sono Dio. Difficile... ma realizzabile! 

mercoledì 9 dicembre 2020

la rivelazione dalle crepe

Mt 11,28-30

Non so se succede anche a voi, ma io quasi ogni volta che mi metto davanti a questa Parola, comincio a guardarmi a partire dalla mia complicatezza.
Dunque: si, eh, questo brano è una benedizione per i bambini... per i poveri, per chi è più semplice di me, fragile e per questo si fa guidare dal Signore. Eh, non sono io... Hai mai avuto questi pensieri? Bene, allora oggi è quella giornata in cui tu puoi invece pensare che si, questa Parola è anche per te. Perché riconoscersi complicati e confusi, in generale diciamo, non serve, lo sappiamo fare tutti, molte volte in un tentativo di autocommiserarci, magari senza nemmeno accorgercene.
Oggi invece il Signore ci dice: guardati dentro e riconosci quella crepa, quella particolare fragilità, stanchezza, senso di oppressione, che ti rende piccolo evangelicamente parlando. Essere piccoli diventa evangelico quando sappiamo mettere a fuoco una debolezza, che ha estremo bisogno di essere  redenta ogni giorno dal Signore che ci da la vita. Ecco noi siamo lì: solo allora l'imperfezione diventa giogo dolce e leggero, quando è riconosciuta nell'amore di cui siamo colmati sempre da Dio. E allora questo Vangelo non è più solo un rimorso di coscienza o occasione per piangersi addosso, ma è gioia profonda di chi ha tante crepe, ma è sempre intero sotto lo sguardo risanante di Dio. Ed è una rivelazione, si, quella vera, perché occasione per conoscere qualcosa di più della grazia che guarisce, che altrimenti non si potrebbe accogliere. 

lunedì 7 dicembre 2020

l'Eterno per sempre in te

Una lettura del Vangelo della Solennità dell'Immacolata, in versi...

Non ti aspettavi un colpo così chiaro e così forte

Conoscevi già la sua mano, il suo tocco
ma non conoscevi te stessa.

Hai scoperto un’altra corda,
ancor più nel profondo 
della tua anima in attesa
Ancor più sensibile, ancor più toccata.

Ora non sapevi cosa stava accadendo
nella tua solitudine.
Era tenero come tocco di un’ala angelica
Era forte come l’onnipotenza
Hai scoperto di essere alla sua Presenza.
Ti sei rallegrata.

E non sapevi più se l’Ave risuonava
dentro di te o fuori.
Nella tua solitudine hai scoperto
la pienezza di grazia
Ciò che desideravi con tanto ardore,
ma non conoscevi, ora era in te.

Hai conosciuto la dolcezza 
dell’essere in pieno,
e non sapevi più se era ancora la vita
o già l’eternità...
Come il tuo saluto d’addio all’angelo: 
FIAT.

Ed è partito, ti ha lasciato,
ma non più nella solitudine.
Il tuo grembo gravido dell’Eternità
che da ora per sempre rimarrà con te.

giovedì 3 dicembre 2020

stare in piedi


 

Mt 7,21.24-27

In questo tempo difficile della pandemia, che posto dai nella tua vita alla forza della fede, quanto invece ti fidi della tua ragione? Inizio oggi con questa domanda provocatoria, perché più che mai ora succede che tutti cerchiamo di mettere insieme, usando la nostra intelligenza, i dati che ci pervengono a proposito del virus che ci opprime. E ci confondiamo, perché sentiamo tante cose contraddittorie. Sicuramente tutti sentiamo che ci manca la terra sotto i piedi e allora è qui che si apre lo spazio per la fede. E possiamo capire, guardandoci dentro, chi è veramente Dio per noi. Ce lo suggerisce pure Gesù oggi. Ci può essere chi sta in piedi proprio perché ha costruito la sua casa sulla salda roccia della fede, che è relazione con Dio, quella relazione che è per eccellenza relazione con un "partner", cioè con uno che si relazione sempre con noi nella libertà e nella reciproca fiducia. Poi c'è purtroppo chi pensa che Dio abbia bisogno di essere asservito e "comprato", cioè che bisogna "accontentarlo" per comprarsi la sua grazia. E questa purtroppo è una casa costruita sulla sabbia, perché non considera all'interno della relazione con il Signore, la propria umanità e la propria dignità. E questa casa, prima o poi, crolla. E questo semplicemente perché chi è saldo nella relazione con Dio, è saldo nella sua fede e pur soffrendo, trova in Lui la sua forza. Chi invece pensa di doversi sempre umiliare e abbassare, in realtà non è sicuro delle basi su cui ha fondato la sua vita e facilmente cade in disperazione. Ecco perché vale poco gridare a gran voce invocando il Signore, per far vedere quanto siamo devoti. Chi ha una vera relazione con Dio, intessuta del dialogo quotidiano, ovviamente grida al Signore, come succede in ogni normale relazione, ma non è un'invocazione per una conquista, perché sa di essere amato e resta saldo, al di là dei momenti più o meno difficili che possano presentarsi. Stare in piedi dunque significa avere bisogno di Dio e avere un sicuro rifugio in Lui, anche quando la nostra ragione viene vinta dall'insicurezza. Lì, in mezzo, c'è lo spazio della fede.



 

martedì 1 dicembre 2020

non solo guardare

Lc 10,21-24 

Quanto strana suona oggi la frase di Gesù, rivolta ai discepoli. Non dice infatti: Beati i vostri occhi perché vedono ciò che vedono, ma dice Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Dunque non dà per scontato che gli occhi beati siano quelli dei discepoli, ma piuttosto sottolinea la condizione di questi occhi. Facendo un gioco un po' "giovanneo", possiamo accorgerci che anche Luca usa due verbi in questa frase, in greco. La frase che abbiamo appena riportato, utilizza il verbo blepo, che indica più che altro la capacità fisica di vedere, la vista stessa. Dunque, beati quegli occhi che hanno la vista per vedere ciò che voi vedete. Come se volesse parlare di gradi diversi della vista, come è solito fare Giovanni nel suo Vangelo. Qui è beatitudine già l'avere la vista in quel contesto e in quei tempi, ed essere in grado di vedere ciò che possono vedere i discepoli. Ma la frase che segue, va già più in profondità. Molti re e profeti avrebbero voluto "vedere e conoscere" (ideîn) ciò che i discepoli guardano, ma non lo videro e non lo conobbero. Siamo ad un altro livello. Questo desiderio di profeti e re, esprime quella nostalgia profonda, che alberga il cuore di chi non ha il Figlio di Dio davanti agli occhi, di chi non è vissuto nel tempo di Gesù e non l'ha potuto vedere all'opera, e non ha potuto allora comprendere la sua opera. Dietro a questo verbo c'è non solo la vista, ma anche l'attività spirituale, una lettura più profonda di ciò che si vede. I discepoli sono privilegiati, hanno davanti agli occhi persino elementi visivi che facilitano loro la necessità di lettura più profonda di ciò che è e fa Gesù. Hanno la possibilità non solo di guardare, ma anche di vedere lì in fieri l'opera della salvezza. Molto di più questo vale per noi. Loro infatti hanno guardato per noi, hanno visto in profondità e hanno trasmesso a noi la fede nell'infinita possibilità di vedere e conoscere in profondità ciò che Dio compie nel mondo, nella storia. Come guardiamo allora la nostra quotidianità? La guardiamo solo o la scrutiamo, vivendola per conoscere in essa l'azione di Dio? Anche per noi vale la frase Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Beati siamo perché ancora di più dei discepoli abbiamo la Parola che ci illumina gli occhi, la vista, se vogliamo. A noi sta decidere cosa farcene con questa vista, già tanto carica di ciò che per noi hanno visto e hanno trasmesso coloro che nel corso dei secoli della chiesa, hanno voluto guardare e vedere.