lunedì 29 agosto 2022

libertà o prigionia?

Mc 6,17-29

Conosciamo tutti quella stretta allo stomaco, quando all'improvviso ci accorgiamo che ci manca l'aria della vera libertà. Fingersi Dio promettendo qualsiasi cosa... porta alla schiavitù di ritrovarsi incastrati in tante richieste e promesse e non poter fare nulla. E in una profonda tristezza, come quella di Erode. Si, anche a Giovanni Battista è mancato il respiro... per mano di Erode... ma lui fino alla fine aveva respirato a polmoni pieni la libertà di chi ha il coraggio di chiamare le cose per nome. Di rischiare la propria pelle sapendo che si è veramente liberi e viventi solo quando si ha qualcosa di prezioso per cui donare la propria vita. 

sabato 20 agosto 2022

tra il dire e il fare

Mt 23,1-12

Vi siete mai chiesti perché ci sono alcuni insegnanti esigenti amati dagli alunni e che ottengono i risultati con loro, e altri altrettanto esigenti che non riescono nel loro lavoro? Annessa a questo ci potrebbe essere la domanda: meglio essere esigenti o indulgenti, nell'impegno educativo? Dipende da quanto sono impegnati gli alunni, da quanto hanno la voglia di essere educati/formati? Tornando alla prima domanda: la stessa enfasi, la stessa alta considerazione di ciò che si vuole trasmettere... eppure risultati così differenti... Credo che ognuno di noi ha avuto modo di sperimentare la differenza tra chi educa con passione propria di quelle persone che non soltanto sanno delle cose, ma le hanno vissute, masticate e personalizzate e poi le propongono, e chi usa tante parole e non comunica una vita vissuta in quel che verbalizza. Un'enorme differenza. Un educatore che trasmette le cose attraversate dal suo vissuto, è testimone, è leader si potrebbe dire, è colui che per primo si è sporcato le mani, spesso tra fatiche e umiliazioni, per poter dopo esigere dagli altri. Al contrario quel sedicente educatore che si mette lì e chiede cose impossibili, perché un abisso separa ciò che egli esige e ciò che realmente sa definire in termini di "coerenza di vita". 
Esattamente la stessa differenza tra il dire e il fare del Vangelo di oggi. Fate quel che vi dicono ma non imitateli. Pessimi capi. Sanno comandare ma non sanno vivere. In questi casi vale appunto solo quello: saper riconoscere il valore di quello che dicono e separarlo dalla loro vita concreta. Non cadere nella trappola della ripicca: non lo fa? allora non lo faccio nemmeno io. Ricordiamoci la responsabilità per la propria vita, che ognuno ha nelle sue mani. E allora forse così si spezza la catena di incoerenze... Se io faccio invece di obiettare sempre, intanto bado a me stesso, alla mia coerenza, e poi imparo, mi faccio esperienza e posso in seguito diventare un leader, uno che trasmette davvero la vita. E' vero che tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Ma di mezzo ci può essere il camminare e l'accettare. Perché resterà sempre vero che parlare dell'incoerenza altrui, non aiuta alla nostra. Mentre concentrarci su quella nostra, può far crescere noi, gli altri, coloro a cui saremo testimoni, il mondo. Essere dunque esigenti con noi stessi, farà di noi dei possibili testimoni esigenti, che avranno successo nel trasmettere esperienze di vita, di fede... A noi il coraggio di scegliere. 

giovedì 11 agosto 2022

490 = ∞



Mt 18,21-19,1

Un argomento difficile da trattare, quello del perdono. Penso che ognuno di noi ha un'esperienza o passata o anche in atto, di un perdono difficile. Difficile da dare oppure da accogliere, quando siamo noi i "colpevoli". Metto tra virgolette la parola colpevoli, perché mi sembra che prima di dichiarare la colpa di una persona, occorre ponderare bene le cose. Molte volte il danno compiuto è oggettivo, ma la colpevolezza non c'è, almeno da un punto di vista morale. Molte cose che noi prendiamo come torto, non erano o non sono intenzionali... ed è qui la motivazione per la quale Gesù ci dice di perdonare 70 volte 7, cioè sempre. Forse anche questa è un'esperienza che nella nostra vita abbiamo fatto: subire la rabbia altrui, la mancanza di perdono e non sapere nemmeno dove è stato lo sbaglio. Quante volte succede che colui che si sente offeso ha ricevuto un'offesa non intenzionale e non vuole chiarire, ma solo fa subire le vendetta emotiva... è una forma di prevaricazione sull'altro. Io ti punisco o con il mio silenzio o con il rifiuto di chiarimenti. Ed è sofferenza talvolta feroce per chi presumibilmente ha sbagliato. Crea infatti un rapporto impari una situazione di asimmetria schiacciante. Un po' simile a quella dei due servi del re. In realtà loro dovrebbero essere alla pari. Sono colleghi. L'unica cosa è che uno è debitore del padrone e l'altro è debitore del collega. Ma come mai, succede così, che dopo l'esperienza di perdono, uno non va a perdonare a volta sua? Ecco, dipende tutto da come noi ci rapportiamo alla richiesta di perdono. Io chiedo di essere perdonato perché ho un debito/ho sbagliato e so che questo non è corretto, oppure lo chiedo, prostrandomi (abbassandomi appunto davanti ad altro), perché ho paura di essere punito? Nel secondo caso il frutto spesse volte è la rabbia, tenuta dentro. Mi abbasso senza realmente sentire nel cuore la necessità di questa richiesta, ma per non perdere negli occhi dell'altro. Mi abbasso "falsamente", senza umiltà, ma solo umiliandomi. Quando ci si umilia per paura, il frutto inevitabilmente poi è rabbia, perché il sentimento è quello di inferiorità che poi non viene affrontato, ma solo sfogato. Ecco quindi che, per non sentirsi più quello inferiore, si va e si costringe qualcun altro a mettersi in posizione di abbassamento rispetto a noi. E' una forma di bullismo, indubbiamente. Perché le persone che non si sentono inferiori e non hanno paura dei propri sbagli, non si umiliano, ma ammettono la propria colpa/debito, in piedi, alla pari. Sono umano e sbaglio come tutti gli umani. Ma chi non lo sa fare, andrà a schiacciare gli altri, per sentirsi "meglio", vedendosi superiore a qualcun altro. Finisce sempre male. Se non finisce come nel caso del servo spietato, finisce con un sentimento di "marcio", dentro. La superiorità di questo genere, non ripaga, è una trappola per se stessi. Faccio pagare per i miei errori a qualcun altro, per restare impeccabile ai miei propri occhi. Ma dentro so di non esserlo. Ecco perché la mancanza di perdono è un torto fatto a se stessi. Ecco perché perdonare 70 volte 7, significa liberare se stessi, riequilibrare il rapporto con l'altro, portarlo alla pari e vivere da adulti, dandoci una mano, permettendoci a vicenda di sbagliare e di essere amati e considerati lo stesso.