giovedì 20 dicembre 2018

l'ultima parola

Lc 1,5-25

Povero uomo, il nostro Zaccaria. Certamente ognuno di noi ha fatto esperienza di queste situazioni, in cui, di fronte a Qualcuno che sentiamo più grande di noi, o almeno con più esperienza, cerca di dirci qualcosa che noi riusciamo comprendere solo fino a un certo punto, ma per timore non sappiamo più se fare ulteriori domande o tacere. Delle volte è solo confusione, altre volte invece veramente e realmente vogliamo avere l'ultima parola su ogni cosa, e questo per tanti motivi: può essere per via del nostro temperamento che non conosce freni, altre volte perché ci sembra di sapere meglio, altre volte ancora perché in fondo siamo insicuri e il poter sempre rispondere ci dà l'impressione di tenere le cose in mano e di non perdere il controllo. Così Zaccaria si trova di fronte ad un mistero e certamente in qualche modo si sente insicuro. Soprattutto di fronte alle parole assurde e incomprensibili di Gabriele. Ebbene, visto che cerca di fare obiezioni, Gabriele permette da parte di Dio, che venga tolta a Zaccaria la parola. Sì, perché ciò che Dio vuole, lo compie, nonostante tutte le nostre insicurezze e obiezioni. Alle volte infatti l'unica cosa che permette a Dio di operare nella nostra vita è quando siamo messi completamente a tacere: quando ci sentiamo privi di quella parola che nella vita umana significa possibilità di comunicare, di creare, ma che in fin dei conti permette a Dio di agire. Sì, perché in Zaccaria ci possiamo rivedere un po' tutti: prega e vive desiderando una cosa sola e quando finalmente le sue preghiere vengono esaudite, pone mille interrogativi e vuole per forza razionalizzare. Non che abbia tutti i torti, ma Dio non ha bisogno di tutto ciò, per operare quel che è sua Volontà. In questo caso il fatto che a Zaccaria sia mancata la parola, non è punizione, ma è una forma di protezione davanti a ulteriori ostacoli e sofferenze che egli stesso era pronto ad infliggersi. 
L'ultima parola infatti appartiene sempre a Colui che è la Parola. 



domenica 2 dicembre 2018

Colui che si confida con te

Sal 24

E finalmente l'Avvento è qui!
Siamo abituati a renderlo, nella chiesa, con i vari simboli, come la corona dell'Avvento, qualche scritta particolare, poster, colore liturgico viola, canti che parlano dell'attesa e della vicinanza di Dio. Anche le letture che ci introducono in questo tempo, tutto sommato chi va in chiesa, le conosce, sono quelle che annunciano cose misteriose che devono venire, devono accadere. 
Mi spingo oltre: probabilmente molti di noi coinvolgono anche la propria emotività in questa attesa: è quasi Natale, con tutti i suoi sentimenti propri, una luce che si accende oggi, domani un'altra, fino alla grande luce del 25 dicembre. Sappiamo bene che un senso tira l'altro e che non ci scappa una risonanza emotiva quando lo sguardo cattura una cosa che richiama un'atmosfera, ecc. ecc. Tutto vero, bello e plausibile, se ci porta a far nascere in noi e attorno a noi il vero Portatore di Bene. 
Invece oggi, entrando in questo clima, ha attratto la mia attenzione il salmo della liturgia di questa domenica. In traduzione nuova, soprattutto un versetto: Il Signore si confida con chi lo teme. Una volta era: Il Signore si rivela a chi lo teme. Forse  non c'è molta differenza tra le due traduzioni, ad un primo colpo d'occhio, ma ho notato quanto calore al cuore (a proposito dell'emotività), può provocare il pensiero che il nostro Dio è pronto a confidarsi con noi. Il rivelarsi parla pure dell'apertura e dell'avvicinarsi, anche nelle relazioni umane, ma il confidarsi, ha un sapore diverso. E' espressione altissima di intimità, di sconfinata fiducia, di sponsalità, di condivisione dell'anima. Non è uno spettacolo di una rivelazione da guardare a bocca aperta e con gli occhi spalancati. E' invece una vicinanza, un accorciare le distanze, un guardarsi negli occhi e parlare di sé. E lo fa Dio nei nostri confronti, se noi "lo temiamo", cioé se noi riconosciamo l'importanza della sua amicizia e della sua vicinanza nella nostra vita. Ecco cosa è l'Avvento. E' Dio che vuole confidarsi con noi. E' un Dio così vicino che ci sussurra all'orecchio le parole di quell'Amore, di quell'alleanza, che presto si faranno carne, quando Egli stesso diverrà uomo. E' il Creatore che si confida con la sua creatura, in attesa di divenire uno con lei, incarnandosi nella sua stessa carne. Buon Avvento a tutti noi, allora, attenti a quel Dio che ci cerca nel quotidiano, per confidarsi con noi!

martedì 20 novembre 2018

una vista superiore

Si tratta sempre della vista... ieri il cieco di Gerico che pur non vedendo, ha fissato gli occhi più profondi  in Gesù e non ha smesso di gridare finché il Signore non l'ha ascoltato... eh, si, forse vedeva meglio di quanto ce lo potremmo aspettare! 
Oggi Zaccheo che per vedere sale sul sicomoro e,  se anche fosse salito lì per curiosità, lo sguardo di Gesù rivolto verso di lui, gli ha fatto cambiare la rotta... La salvezza per tutt'e due! 
Dicono che una cosa è la fede e un'altra è la visione. Ma la fede ha occhi che scorgono molto di più di quei due di cui è dotato il nostro corpo. Questi occhi vedono la salvezza e permettono di correre nella sua direzione.  Ci doni il Signore gli occhi che penetrando la realtà, saranno in grado di scorgere in essa i segni dell'opera salvifica a cui siamo chiamati a collaborare, guardando nella fede quei frutti che sono già e non ancora. 

sabato 3 novembre 2018

il vuoto o la pienezza?

Occorre solo scegliere: il vuoto o la pienezza. Il vuoto che sta nel non rispondere all'invito del Signore, rifugiandosi nel proprio ristretto spazio di vita, lasciando vuoto il salone in cui Lui stesso ci prepara un ricco banchetto. La pienezza dell'aggregazione di chi riconosce la propria povertà e il bisogno che ha dell'altro, della condivisione. Questa pienezza, per assurdo fa sì che c'è sempre il posto per qualcuno ancora e ancora. Perché ciò che si condivide, consapevoli della nostra povertà, si moltiplica, ne basta per molti. Mentre ciò che viene conservato nella chiusura delle proprie ristrettezze, lascia solo il vuoto. 

venerdì 5 ottobre 2018

una lista sempre da rifare

Lc 10,13-16

Oggi il compito che la Parola di Dio ci pone davanti è molto semplice. Siediti con calma, prendi una penna e un foglio di carta. Fatti una lista dei tuoi beni più preziosi nella vita. Poi fatti una lista di quei beni che hai ricevuto più o meno nell'ultima settimana. Poi fanne una terza: il bene ricevuto oggi. 
Guardale, queste liste. Pensa quali chiamate nascondono. Cioè come questi doni diventano compiti per la tua vita. Perché essere destinatario di un dono, chiede una risposta. E non necessariamente la risposta di "do ut des". Si tratta di leggere in ciò che ci viene regalato gratuitamente dalla vita, da Dio, dalle persone, una chiamata. Se il regalo è la bicicletta, devi pedalare... (quindi non: io ti regalo la bicicletta, tu mi devi ricambiare con una macchina). Poi pensa a quel ragazzino magro e deperito africano, che, quando un giornalista gli ha regalato due lecca-lecca, uno se l'è messo in bocca e l'altro in un gesto connaturale a lui di condivisione, l'ha regalato ad un altro. Questo per illustrare quanto un dono si moltiplica o quanto si dovrebbe moltiplicare. Poi ringrazia: nulla ti è dovuto, nulla è scontato. Infine chiedi il dono della gratitudine e il dono di saper far fruttare tutto il bene che hai avuto dalla e nella vita. 

Poi fai lo stesso tutti i giorni. Vedrai che la tua vita cambierà e sarà sempre più bella, perché grata.

domenica 2 settembre 2018

questione di coerenza

Mc 7,1-8.14-15.21-23

Tanti discorsi nei nostri giorni si fanno sui giovani, sulla loro vita distratta, persa, senza direzione, senza valori. Tra i credenti tante parole si dicono sui giovani che "non vanno più in chiesa": affermazioni fatte spesso con tanto di meraviglia sul volto... 
Forse in tutte queste lamentele, bisognerebbe alle volte, appunto come dice Gesù, guardare a ciò che "esce da noi", cioè quanto noi siamo testimoni coerenti della bellezza della vita, della fede ecc. Resta sempre facile criticare senza una vera e propria presa di responsabilità. E la responsabilità più grande è proprio questa: iniziare ad essere coerenti nella vita. Di modo che ciò che diciamo, divenga coerente con ciò che effettivamente facciamo, gli atteggiamenti che assumiamo. E questo soprattutto quando ci permettiamo di criticare, perché la critica è un'altra di quelle cose che "escono da noi" e che ci qualificano senza che ce ne accorgiamo. Si, purtroppo spesso le persone giovani o meno, quando si chiede loro perché si allontanano dalla chiesa, dalla fede oppure perché non si avvicinano ad un'esperienza religiosa, spiegano che non vedono la coerenza tra le parole e le opere. E preferiscono fare del bene senza fare il chiasso, fuori. Giustamente. Come vediamo dalla Parola di oggi, così era nei tempi della vita terrena di Gesù, e così è anche oggi. E come ieri, così anche oggi, la responsabilità, prima di essere collettiva, è personale. 

martedì 21 agosto 2018

per vivere da risorti...


Per VIVERE DA RISORTI, attenzione ad alcuni handicap che ci portiamo:


- il bisogno di avere sempre ragione
- il bisogno di essere i primi della classe: primi a capire, a intervenire, nel servizio, anche nei ruoli ecclesiali. Dobbiamo ridere del nostro infantilismo.
- il bisogno di essere sempre in forma. Non vogliamo la debolezza.


- il bisogno di essere amati, approvati, accettati da tutti. Una pretesa infantile.

- il bisogno di cambiare la testa agli altri. Invece di accettare che ognuno sia se stesso.
- il bisogno di possedere le persone

- il bisogno di dare la colpa agli altri
- il bisogno di dominare sugli altri. Non ci basta essere 'soldati semplici', abbiamo bisogno di qualcuno cui comandare. 
- il bisogno di circoscrivere, spesso giudicando, gli altri. Invece di scegliere l'"insicurezza" del mistero dell'altro. 


sabato 21 luglio 2018

puoi andartene

Mt 12,14-21

Mi piace oggi guardare come si atteggia il Signore con le persone che sono i suoi cosiddetti "nemici". Certamente tutti abbiamo nella nostra vita delle presenze che o non ci stanno simpatiche oppure le percepiamo come persone che fanno di tutto per contrastarci. Spesso lo fanno nel nome di una legge, del rispetto di un insieme di regole, spesso le loro intenzioni sono buone, eppure noi ci sentiamo annientati dalle loro azioni, parole, atteggiamenti. Così Gesù ci fa vedere che questo è capitato pure a Lui. Addirittura, un gruppo sociale si riunisce per cercare il modo per metterlo alla morte... questo forse a noi non capita, per fortuna. Comunque, sono cose pesanti, indubbiamente. Possiamo ricordarci questi tipi di situazioni e di persone e vedere, come reagiamo. Resta sempre valida una regola d'oro: le persone non cambiano, ma siamo noi che abbiamo il potere sulla nostra vita e, a partire dai dati di fatto, possiamo decidere cosa fare. C'è chi si ritiene eroe e resta in delle situazioni veramente pesanti, dicendo di farlo per amore, o perché non si sa cosa direbbe la gente, o perché pensiamo che la virtù in queste situazioni sta nel continuare a soffrire, anche con le più alte motivazioni spirituali. Ebbene, certamente la capacità di sopportare pazientemente le persone moleste, o le situazioni contrarie, appartiene alla nostra vita da cristiani, ma solo fino a un certo punto. E oggi il Signore ci dice con molta chiarezza qual è questo punto. I farisei si riuniscono per metterlo alla morte. Ma qui non si tratta solo di una morte fisica. La morte è il limite della nostra vita, della nostra vitalità. Quando tu senti che una situazione di sofferenza, magari subita e non per colpa tua, ti toglie la serenità minima, la tua abituale vitalità, allora è il momento di reagire. Attenzione però, ci sono almeno due cose da ricordare. La prima è la capacità e il coraggio di manifestare alle persone che ci fanno soffrire, il nostro disagio, cioè un sereno confronto. La seconda è la necessità di guardarsi dentro, perché quando una cosa o persona ci fa soffrire molto, può essere che tocca qualche punto debole o qualche ferita nostra e... potrebbe essere un'occasione per guarire. Considerate queste due cose, quando la certezza interiore è che abbiamo fatto quel che dovevamo, occorre prendere delle decisioni per il nostro bene. L'atteggiamento cristiano verso chi ci crea difficoltà, tuttavia, è questo: avere coraggio di pensare che nessuno mi fa del male apposta. Questo aiuta a non coltivare la rabbia e lo sdegno, a non portare rancore in futuro. In poche parole: aiuta a far entrare la risurrezione in questa piccola morte relazionale. Ed ecco Gesù: avendo saputo che volevano farlo morire, si allontanò. Si mostrò essere colui che Isaia aveva annunciato: non grida, non spezza la canna incrinata. Sì, perché ci sarebbe un ultimo elemento da considerare nelle nostre relazioni. Alle volte ci facciamo del male a causa delle cose che sono dentro di noi e di cui non ci accorgiamo. Non spezzare la canna incrinata in questo caso significa non gridare in faccia a chi mi fa del male, ciò che posso intuire come causa del male che mi fa. Proprio perché le persone si spezzano alle volte scoprendo la loro stessa debolezza. E ad essa devono arrivare gradualmente, non con la violenza di chi gliela grida in faccia. Resta sempre attuale che le persone non cambiano perché le rimproveri, ma perché le ami. E capita che questo debba significare allontanarsi, cambiare rotta, andare via. Fa male, ma può essere una scelta per la vita, come oggi il Signore ci mostra con il suo comportamento. Non temiamo, dunque. Possiamo andarcene, ma solo se questo significa ricominciare a vivere, non per vendetta, non per rabbia. 

sabato 16 giugno 2018

gustare il limite

Egli ha messo pace nei tuoi confini
e ti sazia con fior di frumento 
(Sal 147)


Spesse volte ci lamentiamo che non si capisce più in questo nostro mondo, dove sia il limite del buon senso, dell'assurdità, della "cattiveria", ecc.
In effetti, sembra che non ci siano più limiti, semplicemente perché noi non li consideriamo più. Non ammettiamo più il pensiero dell'esistenza dei limiti nel nostro vivere e lo chiamiamo "libertà". Nulla di più sbagliato. L'altro giorno meditavo su questo piccolo brano del salmo 147 e mi è sembrato illuminante. Infatti questa cosiddetta "libertà" rende liquido il confine tra gli opposti, o tra cose differenti, di qualsiasi tipo esse siano. Ma porta anche al rinnegamento totale del limite, a vivere come fossimo senza limiti, senza confini. Cerchiamo dunque di negare qualsiasi tipo di limitazione, nel funzionamento della nostra società. Ma tutto ciò parte da una percezione sempre più liquida della nostra persona (magari Bauman qui avrebbe ancora qualcosa da dire). 
La verità sulla libertà si cela altrove o, proprio nell'esatto opposto. E sta nel fatto che tu riesci a gustare la vita solo quando hai fatto pace con i tuoi confini. L'essere saziati col fior di frumento: quello altamente selezionato e nutriente, ricco di carboidrati che saziano ogni fame, non può avvenire se non permetti che Dio metta pace nei tuoi confini. Tuttavia c'è un passo previo: riconoscere i propri confini e i propri limiti. E, da ricordare, non sono la stessa cosa. I confini servono nelle nostre relazioni. Esistono per distinguere me da te, ad esempio anche i confini del mio corpo che fa sì che io non sono uno con te. Ma anche i confini della mia mente e della mia psiche, che fanno sì che io sappia fin dove posso arrivare nel mio donarmi in una relazione e dove questo può essere devastante, proprio perché oltrepassa la mia "capacità", il confine appunto, ciò che mi costituisce, perché come oltre la mia testa, guardando più in alto, io non ci sono più, così anche nella mia interiorità esistono i confini, oltre i quali io non posso andare, perché lì "non ci sono", cioè non posso arrivare. E se io conosco questi miei confini mentali, psicologici e spirituali, se essi per me sono chiari, saprò rispettarli, e rispettare gli altri, cosciente dei loro confini. Vivrò appunto le relazioni, gustandole, gustando la vita. Ora pensiamo a tanti conflitti relazionali, a tanti rapporti interpersonali allacciati e spezzati, ogni giorno, sempre di più, alle tante ferite che ne vengono fuori. Ecco, non conosciamo e non rispettiamo i nostri confini. Invadiamo il confine dell'altro e lasciamo che l'altro invada il nostro. Ne veniamo fuori sconfitti, spezzati (ognuno vada a sbirciare nella propria vita gli esempi concreti...). E, attenzione, non si tratta di alzare i muri, ma di accogliere ciò che costitutivamente è in noi: il nostro essere finiti, o meglio, come dal nome di questo blog, il nostro essere l'infinito, edizione limitata. I limiti sono nostre debolezze, inconsistenze, alle volte peccati (si, diciamocelo!!!). Negarli significa vivere una vita falsificata, immersa nella non-verità. Accoglierli e accettarli in noi stessi ci facilita nel fare lo stesso per gli altri. Ci ricorda la nostra condizione creaturale e ci aiuta ad essere umili. E, sorpresa, alle volte ci aiuta persino a superare qualcuno di questi limiti, senza che ce ne accorgiamo. Perché un limite può essere oltrepassato solo se riconosciuto, altrimenti non esiste a priori e quindi la questione non si pone. 
Queste due dimensioni: confini e limiti, chiamate per nome nella nostra vita, ci portano a sperimentare quella pace, di cui parla il salmo. E' quella pace che viene quando non ci sono più le contese da un lato o dall'altro del confine. Proviamo ad usare la fantasia. Se siamo dai due lati di un confine e io tiro da una parte e tu dall'altra, il confine, il limite è in guerra, non è chiaro, non è rimarcato e quindi sembra che non ci sia. Ecco cosa succede nella nostra vita: facciamo finta che non ci siano i limiti e così essi sono sempre in guerra, finché noi non li lasciamo lì, non li guardiamo proprio laddove stanno, smettiamo di tirarli di qua o di là. Allora diventano chiari, si vedono, e questo ci fa problemi: gli altri vedono i nostri limiti, essi all'improvviso sono accentuati. Ed è quello il momento per dire SI al proprio limite, dargli un nome, perché questo è proprio il momento in cui il Signore può mettere la pace nei nostri confini. E noi cominciamo a gustare la vita. E, una volta sperimentato questo, sarà più chiaramente definito il nostro essere, de-finito, cioè riconosciuto finito e delimitato. E, per assurdo, è nel riconoscerci dentro i limiti che noi ci cibiamo di fior di frumento, perché nel nostro limite appare un gusto. Sembra strano: ma quando il confine non è più sfumato, tutto ha un altro sapore. Perché non vai più correndo per dimostrare che sei un supereroe/una eroina, ma vivi compiendo quello che il tuo confine ti permette. Spesso non ci rendiamo conto, ma questo significa far spazio a Dio, lasciare che Lui sia l'onnipotente, l'onnipresente, il salvatore, e non noi. Difendiamo dunque il nostro limite e il nostro confine, perché sono preziosi e hanno il sapore della vita vera, di chi diventa consapevole che tende verso l'infinito, ma per ora ne resta un'edizione limitata, piccola, ma infinitamente amata. 

domenica 20 maggio 2018

uno che insiste


Ti sei seduto troppo vicino,
inversamente proporzionale
alla mia distanza.
Sei troppo vicino
per non capire che ci sei.
Anche se non mi tocchi
e io con gli occhi chiusi
faccio finta di niente
o forse aspetto oltre le mie forze,
il tuo Spirito insiste

Non voglio aver paura,
alzo finalmente lo sguardo,
ma di nuovo richiudo gli occhi:
la fiamma davanti a me dice che ci sei,
e in questa fiamma
il tuo Spirito insiste

Forse so cosa vuoi e apro le mani,
ma mi cadono le braccia.
Il tuo soffio leggero, per me troppo forte,
mi toglie la forza.
Circondandomi, penetra tra le mie dita,
dice che ci sei.
Nel mormorio del vento leggero
il tuo Spirito insiste

Alle spalle e di fronte,
ma questo ti è poco.
A destra e a sinistra,
ma ancora cerchi posto.
E io, si, lo so come tu bussi,
lo so che sei tu, che ci sei.
Nel tormento, che dà pace
Il tuo Spirito insiste

Non bussare,
per te non ci sono porte,
fai come nel Cenacolo,
entra a porte chiuse.
Fa’ che il tuo Spirito
si riposi in me.

venerdì 18 maggio 2018

una donna, traumi e... vocazione

Oggi parliamo di una figura femminile: Ester.

Chi era?
Ester visse nel VI secolo aC, era regina di Babilonia. Nacque in esilio, presto rimase orfana, poi cresciuta da Mardocheo, suo parente. Dopo che la regina Vashti perse i suoi favori presso il re, Ester fu invitata ad abitare insieme ad altre donne, nell’harem del monarca. Ester si distingueva per la sua straordinaria bellezza, veniva infatti sottoposta a molte cure, educata al comportamento adeguato per entrare nelle grazie del re e, infine, fu scelta da lui come regina. Purtroppo il grande visir Aman a causa del rifiuto di Mardocheo di prostrarsi a lui, decise di sterminare gli ebrei. A Ester fu chiesto di intercedere per il suo popolo. Prima di intervenire ella fece un digiuno di tre giorni, e poi, senza nessun invito da parte del sovrano, andò da lui e lo invitò ad un banchetto, durante il quale il re si ricordò degli antichi meriti di Mardocheo e decise di premiarlo. Quando Ester gli raccontò delle intenzioni di Aman, egli comandò di ucciderlo e nominò Mardocheo come nuovo visir. Ester e gli ebrei trionfarono, salvando la loro vita.
Esperienze difficili
Molte persone guardano a Ester come una giovane donna, che fu molto fortunata nella sua vita. Infatti riuscì ad entrare nelle grazie del re, poi salvò il suo popolo dallo sterminio. Spesso noi la pensiamo come protagonista di un romantico racconto. Eppure la sua vita è piena di eventi tragici. I suoi genitori morirono quando lei era ancora bambina, fu accolta dallo zio, il quale le raccomandò di non rivelare le sue origini ebree. Possiamo provare ad immaginare quanto fu difficile per lei nascondere la sua vera identità.
In più essa crebbe nella tradizione ebraica,  per cui la legge le impediva di sposare gli uomini di una cultura diversa dalla sua. La prospettiva di dover sposare un nemico fu terrificante. Possiamo dire che della maggior parte delle cose successe a lei, ella non aveva alcun controllo. Se oggi volessimo qualificare le esperienze di Ester, diremmo che furono traumatiche. Oggettivamente parlando, possiamo dire che ciò che fu la sua sorte, ella lo subì ingiustamente.
L’atteggiamento di fronte alle difficoltà
Eppure Ester nella situazione in cui si ritrovò, assunse il miglior atteggiamento possibile. Non si disperò, non si tirò indietro, fu paziente e rimase fedele alla trasformazione in atto. Ella capì che non aveva un’altra scelta, per cui accettò tutte le cure di bellezza come i consigli delle persone che volevano il suo bene. I pensieri, le parole, le azioni, sottopose tutto alla sapiente azione di Dio, collaborando con gli uomini, con saggezza e prudenza, ed è per questo che conquistò il cuore del re. Dio preparò così la sua anima, che ella poté amare sinceramente il re. Successivamente il Signore l’aiutò a vincere le paure e le diede il coraggio e la forza, affinché potesse intercedere per il suo popolo. Grazie all’obbedienza alla vita, ebbe la vittoria.
E noi?
La storia di Ester sicuramente porta la speranza alle donne (ma non solo), che nella vita hanno sperimentato situazioni traumatiche. Essa ci fa vedere che Dio protegge e opera nonostante la paura, il pericolo, e che egli ci può far arrivare a compiere quella missione a cui siamo chiamati, anche laddove le condizioni per la sua realizzazione sembrano o effettivamente sono scarse. L’abbandono a Dio e alla sua guida paterna ci porta sicuramente alla pienezza, in tutti gli aspetti della nostra vita. Questa storia ci ricorda pure che Dio ha un tempo opportuno per ogni cosa, e il tempo della preparazione ad un ruolo, un compito o una vocazione, è molto importante e non occorre avere fretta. È per noi una prova che con l’aiuto di Dio possiamo vincere le paure e agire coraggiosamente.

Se stai vivendo delle vicende che ti sembrano difficili e sembrano allontanarti da qualche meta, non perdere la speranza. Rivolgiti come Ester a delle persone sapienti, e chiedi a Dio gli stessi suoi doni, cioè la capacità di abbandono nelle sue mani, l’audacia, la saggezza. Non dare retta alla falsa illusione, secondo la quale devi affrontare tutto da sola, o sei condannata alla sconfitta. Non lasciare che entri in te la convinzione che non ce la farai e che nulla di buono potrà succedere nella tua vita, che tutti attorno a te possono essere felici ma non tu. Fidati del Signore, perché egli può portare avanti i suoi piani anche quando soffri, piuttosto credi che, se ti fidi di Lui, Lui saprà guarirti con il suo amore. Infatti lui vuole portare a termine le promesse sulla tua vita, nonostante tutto. Non smettere di cercare la tua vocazione e se ancora non ce l’hai chiara, lascia che Egli ti aiuti a scoprirla. Apriti all’amore di Dio, che è con te ogni giorno. Lascia che Dio operi nella tua storia. Sogna, perché, come disse Giovanni Paolo II (cui compleanno ricorre proprio oggi!): “Ancora ne vedrai di bellezza, nonostante tutto. Solo mettiti scarpe comode, perché hai da camminare per tutta la vita”.  

martedì 8 maggio 2018

il senso della gratitudine


Oggi mi è capitato sotto gli occhi questo bellissimo racconto su quella che, secondo Cicerone, non è soltanto una virtù, ma è la madre delle virtù, la gratitudine. La condivido volentieri con voi: 

C’è una leggenda che narra di un giovane uomo che mentre vagava per il deserto passò attraverso una deliziosa oasi primaverile con uno specchio d’acqua cristallina. L’acqua era così dolce che riempì la sua borraccia di pelle cosicché lui potesse portarne un po’ indietro all'anziano del suo paese che era stato il suo maestro. Dopo 4 giorni di viaggio arrivato in paese regalò l’acqua al vecchio maestro che la prese e la bevve, dopodiché fece un caldo sorriso e ringraziò generosamente il suo studente per quella dolce acqua. Il giovane uomo tornò al suo villaggio con il cuore pieno di felicità. Più tardi, il maestro lasciò che un altro studente assaggiasse l’acqua.  Quest’ultimo la sputò, dicendo che era terribile. Che era diventata stantia per via del contenitore di pelle. Allora lo studente chiese al maestro: “maestro, l’acqua era nauseante. Perché avete detto che vi piaceva?” Il maestro rispose: “tu hai assaggiato solo l’acqua. Io ho assaggiato il dono. L’acqua era semplicemente il contenitore di un atto di gentilezza e niente può essere più dolce di questo.”

Lo sperimentiamo sulla nostra propria pelle, quando abbiamo a che fare con dei doni fatti a noi dai bambini, e che apparentemente non hanno nessun valore, anzi, delle volte sono proprio bruttini. Ma destano nel cuore la gioia, che, è la forma più semplice e più autentica della gratitudine. 


domenica 15 aprile 2018

mangiare per credere

Lc 24,35-48
Possiamo vederci anche tutti i giorni, salutarci, scambiare due parole, prendere lo stesso autobus, frequentare gli stessi studi o lavorare nello stesso posto... ma, diciamoci la verità: finché non scatta l'invito ad andare a prenderci qualcosa insieme, noi non siamo amici.
Mi viene da sorridere quando leggo il Vangelo di oggi. Arriva Gesù: pace a voi, e hanno paura. Continua mostrando loro il corpo coi segni della passione, impazziscono di gioia... cmq non riescono né credere, né ragionare. Chiede di mangiare qualcosa di ciò che hanno, improvvisamente, nel chiacchierare mentre mangia, le loro menti si aprono. No, per carità, non voglio dire che il suo prendere il cibo abbia aperto le menti dei discepoli, questa sarebbe una forzatura. Ma certamente c'è qualcosa di magico nel mettersi insieme e mangiare. Un sentimento di fraternità che con nulla si può paragonare. Perché uno che mangia con te, davanti a te, è uno che da te si lascia nutrire, è uno che ha bisogno di te, è amico, perché si rende vulnerabile e bisognoso. E allora quel che dice acquista valore a partire dalla sua persona, dal riconoscimento di quello che egli è, amico, fratello. L'incontro così porta la gioia, porta il tratto di intimità. E allora la gioia della risurrezione diventa credibile, perché quello stesso Maestro che camminava con loro, ora è qui che mangia con loro. Non dunque un fantasma, né un essere irraggiungibile, ma sempre Lui, anche oltre il potere della morte. Sempre lui che è disposto a venire da me, sedersi con me e chiedermi da mangiare. Sì, quando mangiamo insieme tutto è più credibile, perché più semplice. Da qui al farsi mangiare, rimanendo per sempre presente nel segno del Pane, è solo un passo. E questo è il vero presupposto della vita da risorti. 

venerdì 30 marzo 2018

donna che attira


Così difficile guardarti
le tue ginocchia all'altezza dei miei occhi
stanno piangendo lacrime di sangue
così difficile
mantenere ferma la testa
quando si china da sola
come la tua

Perché chiedi a me
che conosco il tuo sguardo
sin da quando sei uscito
dalle mie viscere
di alzare il capo 
mentre il tuo si china
Solo così ancora una volta 
posso leggere nei tuoi occhi la consegna
Ecco tuo figlio

Ma io non sapevo 
di aver portato nel grembo
tutto il mondo, tutta la storia
Solo ora che sei innalzato
che mi chiedi di alzare gli occhi
io so
Tu sei

E solo questa è la ragione
del mio nuovo SI
Sento il grembo pieno di nuovo
a questa età assurda
di nuovo senza conoscere l'uomo
Ma ora conosco te
che riempi il mio essere
di questo mondo

Mentre dal basso del tuo dolore
lo guardi dall'alto
mi rendi
madre che genera
oltre ogni tempo ed età
donna che attira
tutto a te. 

martedì 27 marzo 2018

i sensi per la risurrezione


E niente... mentre andiamo verso la Pasqua, oggi mi fa pregare questo testo di un padre della Chiesa, che voglio condividere con voi: 

Se dici: Fammi vedere il tuo Dio, io ti dirò: Fammi vedere l`uomo che è in te, e io ti mostrerò il mio Dio. Fammi vedere quindi se gli occhi della tua anima vedono e le orecchie del tuo cuore ascoltano. Infatti quelli che vedono con gli occhi del corpo, percepiscono ciò che si svolge in questa vita terrena e distinguono le cose differenti tra di loro: la luce e le tenebre, il bianco e il nero, il brutto e il bello, l`armonioso e il caotico, quanto è ben misurato e quanto non lo è, quanto eccede nelle sue componenti e quanto né è mancante. La stessa cosa si può dire di quanto è di pertinenza delle orecchie e cioè i suoni acuti, i gravi e i dolci. Allo stesso modo si comportano anche gli orecchi del cuore e gli occhi dell`anima in ordine alla vista di Dio. Dio, infatti, viene visto da coloro che lo possono vedere cioè da quelli che hanno gli occhi. Ma alcuni li hanno annebbiati e non vedono la luce del sole. Tuttavia per il fatto che i ciechi non vedono, non si può concludere che la luce del sole non brilla. Giustamente perciò essi attribuiscono la loro oscurità a se stessi e ai loro occhi. Come uno specchio risplendente, così deve essere pura l`anima dell`uomo. Affidati al medico ed egli opererà gli occhi della tua anima e del tuo cuore. Chi è questo medico? E’ Dio, il quale per mezzo del Verbo e della sapienza guarisce e dà la vita. Se capisci queste cose, o uomo, e se vivi in purezza, santità e giustizia, puoi vedere Dio. Ma prima di tutti vadano innanzi nel tuo cuore la fede e il timore di Dio e allora comprenderai tutto questo. Quando avrai deposto la tua mortalità e ti sarai rivestito dell`immortalità, allora vedrai Dio secondo i tuoi meriti. Egli infatti fa risuscitare insieme con l`anima anche la tua carne, rendendola immortale e allora, se ora credi in lui, divenuto immortale, vedrai l`Immortale. ("Libro ad Autolico", San Teofilo di Antiochia)

sabato 24 febbraio 2018

sabbia alzata dal vento


Perché dovrebbero dire “dov'è il suo Dio?”
Il mio Dio è nel deserto, cammina con i piedi scalzi,
sulla sabbia bollente il mio Dio si lascia tentare
Rifiuta di avere tutto ciò che vede
perché l’essenziale è Lui
Non cerca come saziarsi perché il vero cibo
il solo che basta è Lui
Non vuole la potenza perché quella vera,
che sta nella debolezza, è Lui

Il mio Dio è nascosto.
La sabbia alzata dal vento
non me lo fa vedere.
E solo mi chiama a cercarlo,
perché in questo silenzio
Lui possa trovarmi.

mercoledì 7 febbraio 2018

colpa degli alimenti


Mt 7,14-23

Viviamo in un'epoca in cui tutti parlano degli alimenti biologici, quelli che fanno bene alla salute, ma in cui paradossalmente siamo abituati a farci delle mangiate infinite in compagnia, sapendo che il giorno dopo staremo male... basta aprire qualsiasi rete sociale magari nei giorni dopo le feste, per vedere quanti di noi si fanno male consapevolmente... beh, certo, sono tradizioni. Tutti lo facciamo. Così poi possiamo dire che siamo dei poveracci, perché se ingrassiamo o sale il colesterolo, è colpa delle feste. Come se le feste ci costringessero a qualcosa o il cibo ci saltasse da solo nella bocca. Interessante il discorso di Gesù, in questo senso. Ciò che entra dalla bocca dell'uomo, non ha nessuna colpa. E se usa la similitudine degli alimenti, non è un caso. Oltre alle leggi dell'epoca, sull'impurità di alcuni cibi, c'è anche che tutto ciò è collegato alla sfera affettiva. Sappiamo bene, infatti, che il primo modo per esprimere affetto è dar da mangiare, come fa la madre col suo neonato, per fargli sperimentare ancora la sua massima vicinanza, anche corporea. 
Effettivamente il cibo, che è espressione dell'amore, non ha nessuna colpa. Ciascuno di noi è libero di scegliere con cosa alimentarsi. E se questo vale a livello fisico, tanto più vale a livello spirituale! Quando noi stiamo male interiormente, nella maggior parte dei casi siamo pronti a indicare la causa del nostro male. Di solito infatti puntiamo il dito per dire: è colpa di... è responsabilità di... Nulla di più sbagliato e ingenuo. Continuare a ripetere a se stessi che il nostro malessere dipende dall'esterno, è perpetuare un inganno verso se stessi. Le situazioni della vita sono le più svariate, possono essere e spesso sono oggettivamente stancanti e difficili, ma nessuno e nulla è in grado di toglierci la gioia e la libertà, se non glielo permettiamo noi. Cioè la nostra ricettività. E ciò che ne consegue. Io sono l'unico responsabile della mia felicità. E lo si sente all'esterno da quanta ne semino in giro. Infatti se sono felice, contagio. Se non lo sono, ha ragione  Gesù: dal cuore dell'uomo viene ciò che lo rende impuro. O meglio, ciò che rivela la sua insoddisfazione e incapacità di felicità.
La vita cambia quando noi la prendiamo nelle nostre mani, consapevoli che è stato Dio per primo a farlo. E che, nella gran parte dei casi, abbiamo abbastanza potere su di essa, per essere felici. Non gli alimenti in sé, dunque, ma ciò che ne facciamo, ciò che consapevolmente assumiamo e ciò che vogliamo fare nostro e poi restituiamo, rende la nostra vita una lode in più (o in meno) a Dio.

martedì 6 febbraio 2018

creativi per vocazione

(Mc 7,1-13)


Ti è mai capitato nella vita di sentire una stretta al cuore oppure sentirsi alle strette interiormente (e forse anche esteriormente), nonostante ciò che tu stia vivendo e compiendo, sembri essere buono e corretto? Hai presente quando sembra che vada tutto bene, ma dentro di te non sei felice e non ti senti vivo, ma appassito? Forse intellettualmente non riesci a comprenderlo, ma il tuo cuore ti sta dando così i segnali chiari di stanchezza. Da dove viene questa stanchezza? Da quello che Gesù riassume così nel Vangelo di oggi: "siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione". Ma come? - dirai. Il punto sta proprio lì, cioè che io seguo il comandamento di Dio... ma sto male lo stesso. Ecco: non ti accorgi che stai invece seguendo una tua tradizione. Ti trascini dietro degli schemi imparati da sempre, che diventano come un peso insopportabile, ormai da tanti anni, con tante energie assopite che non si esprimono. E utilizzando quelle "solite" energie che ti portano dovunque e ti fanno prendere qualsiasi traversa, pur di arrivare dove sempre sei arrivato. Forse Dio ti dà tutti i segnali stradali ma tu non consideri che la destinazione non necessariamente è quella "di sempre". Il cuore si stanca, sfiorisce. Esso infatti ha bisogno della benzina che si chiama fantasia dell'amore. Perché la fantasia qui diventa l'opposto del rifiuto. Quindi il contrario del rifiuto non è più accoglienza ma proprio fantasia. Dio ci chiede di seguire il suo comandamento che è amore. Ed esso, lo sappiamo, non è statico e non riesce a stare fermo. L'Amore è Spirito, quello Spirito che è sempre in movimento e che è creatività di Dio. Dunque, se senti un peso al cuore, se sembra che esso si stia addormentando, guarda bene dentro, fai un po' di cardiochirurgia. Scopri dove hai frenato la fantasia, la tua creatività, quella alla quale sei chiamato per vocazione. Sì, essere figlio di Dio è una chiamata alla creatività, all'andare per quella strada che sebbene possa richiederci più energie, ci colma del senso di pienezza e libertà. Forse qui sta il senso di ciò che ci voleva dire sant'Agostino, quando diceva: ama e fai ciò che vuoi. Questo significherà la massima creatività, il massimo grado di cooperazione alla creazione di Dio. E saremo capaci di immettere tanta vita nel mondo, a partire dal nostro cuore, che finalmente viaggerà senza il freno a mano.






mercoledì 31 gennaio 2018

è lecito meravigliarsi?

Mi domando quante volte nella vita abbiamo detto finora la famosa espressione: dopo questa non mi meraviglierà più nulla; oppure quante volte abbiamo chiesto a qualcuno: ma ti meravigli ancora? Il punto è che sia nel primo che nel secondo caso, sappiamo che poi verrà quel momento in cui si, ci meraviglieremo ancora, sperimentando quello stupore misto alla delusione, o a tante domande... 
Ma vediamo prima quell'altro stupore, quello che sa di incredulità, quello cui oggetto è Gesù nel Vangelo di oggi. Anche a noi succede: cosa vuoi... lo conosco tanto bene, non può essere vero. E sappiamo svalutare e negare pure i fatti, pur di restare nelle nostre sicurezze, che riguardano i pregiudizi che abbiamo sulle persone. Sappiamo subito trovare delle spiegazioni e se per un attimo si impossessa di noi questo stupore, subito parte qualche razionalizzazione capace di scacciare la novità. Purtroppo con questo chiudiamo la porta al vero stupore e la apriamo a quella meraviglia di cui parlavamo prima. Sarebbe tanto rassicurante non ricevere più delusioni. Tante volte facciamo finta che una cosa non ci tocca in profondità eppure nascondiamo i nostri sentimenti veri. Un grande insegnamento appare oggi davanti ai nostri occhi: anche Dio incarnato, è rimasto deluso, e ha saputo meravigliarsi dell'incredulità delle persone nei suoi confronti. Non ha fatto l'eroe, come facciamo spesso noi, dicendo che non ci importa dell'accoglienza o della valutazione dell'altro. Ci importa eccome! E importava anche a Gesù! Si trattava di portare il bene, attraverso la sua presenza che è Vangelo. Ma loro rifiutavano di credere in ciò che Egli stava compiendo. Umanamente parlando, il sentimento può essere quello di sentirsi svalutati e, appunto non accolti. E Gesù ci dice che è un sentimento lecito, da non reprimere! Ma egli non si tira indietro: compie quel bene che le condizioni gli consentono. Ecco la duplice dinamica che ci vuole insegnare: non c'è da nascondere la propria delusione, essa infatti è segno che l'uomo è fatto di speranza e che anche se in passato è stato ferito anche più volte, continua a sperare nell'altro essere umano, a sperare nel suo amore e nella sua accoglienza. Ma se questa non c'è, esiste la forza del bene che deve comunque vincere. Da qui la sapienza della maturità umana che ci porta a sperare nell'uomo ma anche e soprattutto in Dio. Questo fa sì che, anche quando delusi, non smettiamo di compiere il bene, perché lo facciamo non in dipendenza dagli esseri umani, ma da Dio. Allora sì, è lecito meravigliarci, ricordandoci che se questo accade,  è perché crediamo ancora nel bene e il nostro cuore resta vivo e in cammino.

martedì 9 gennaio 2018

accorciare le distanze

Sembra impossibile... un'autorità che accorcia le distanze. Sentivano che lui non parlava come quelli che si riempiono la bocca di bla, bla, bla e poi razzolano male. Percepivano un'autorevolezza nel suo parlare. Eppure, proprio da questa autorevolezza veniva la guarigione. Quante persone che incontriamo quotidianamente sono afflitte da questi "demoni", che impediscono loro di essere avvicinate. Le frasi dette come autodifesa, per porre una barriera alla grazia della vicinanza... Gesù ci fa vedere come rispondere. Non discorsi e persuasioni. Semplicemente vicinanza. Perché è quello di cui tutti hanno bisogno, nella giungla delle proprie difese e della finta forza che si crede di avere, nell'eccessivo distacco dall'altro. Un attimo molto breve basta per accorciare le distanze. E nell'abbraccio, nello sguardo affettuoso, nell'esserci, i demoni fuggono, si sentono appunto "rovinati". C'è infatti un'autorità nella capacità di accorciare le distanze. Ed è l'unica vera e autentica autorità, che possiamo avere e che dobbiamo rivendicare sugli altri.