martedì 25 luglio 2017

tuona, Giacomo, tuona...

Quando penso alla figura di Giacomo il fratello di Giovanni, che oggi festeggiamo, mi vengono in mente alcune immagini. Anzitutto l'ambiziosità. Noi spesso pensiamo male delle persone che mostrano di voler arrivare ad una meta che ci sembra alta. Le consideriamo superbe oppure troppo sicure di sé. E alle volte sarà anche vero. Resta però che chi non ambisce, non ottiene nulla, e se nella vita non si prova, certamente non si arriva. Ma sorrido pensando a come "osano" Giacomo e Giovanni. Facile attaccarsi alla gonna della mamma e anzi, mandarla in avanscoperta per sondare le reazioni di Gesù... come dire: quando sentiamo il grembo materno in cui eventualmente nasconderci, vicino, osiamo tanto perché ci sentiamo al sicuro. Alle volte forse sarebbe meglio non dire certe cose, perché dopo, quando ci manca improvvisamente "la mamma", cioé la presenza rassicurante, ci ritroviamo sulle sabbie mobili. Altre volte va bene invece che si dicano cose importanti e azzardate, perché il Signore non le dimentica. Sebbene pronunciate nella situazione di sicurezze umane, se sono desideri veri, Dio le potrà portare a compimento, purificandole prima. Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro, le famose parole dicono proprio questo. Tu, che sei Giacomo, che sei Giovanni, che hai desideri belli e grandi, ora datti da fare, per compierli, nella fiducia in Dio. Giacomo così diventa il primo apostolo martire... perché chi ha molto ricevuto e ha molto coraggio, avrà molto da dare.
Un'ultima cosa che mi viene in mente è inevitabilmente il cammino di Santiago. C'è che sogna di farlo, c'è chi riesce a farne un pezzo alla volta per completarlo in un secondo momento, c'è chi lo fa tutto subito per intero. Ma non è la lunghezza o il tempo che contano, ma il camminare, il muoversi verso... Il coraggio dell'amore sta proprio qui: guardare in alto e coltivare i desideri belli, grandi. E obbedire alla vita, facendo un passo alla volta, sapendo che nessun sogno al cospetto di Dio resta deluso.
Sarà che essere il figlio del Tuono, significava per Giacomo avere come missione illuminare e far risuonare la terra della voce della Parola di Dio, attraverso questi desideri forti e belli? Beh, in ogni caso: Giacomo, insegnaci il tuo coraggio nell'essere testimoni. Possa il tuono del tuo coraggio risuonare all'interno delle nostre vite affinché insieme sappiamo dare testimonianza, perché no, da grandi sognatori, ma capaci di un passo illuminante e tuonante alla volta.


lunedì 17 luglio 2017

giovani e senza respiro

Prima di scrivere questo piccolo brano, vado su google e digito 'respiro'... resto sbalordita al vedere che spunta immediatamente: 'respiro corto', 'respiro affannoso'... Nulla per caso, e, dato che digitando sapevo di cosa avrei voluto scrivere in questa serata, in cui ho riflettuto dopo aver fatto giusto due chiacchiere con una giovane, lo ritengo altamente sintomatico.
Ormai anche i nostri social sono pieni di chi con più o meno disinvoltura, afferma di essere ansioso... certamente lo siamo tutti un po', costretti dalla costante corsa del mondo. Ma oggi così, sentendomi dire proprio questa cosa, ci ho pensato molto. Il punto, io penso, non è solo essere in grado di affermarlo (sebbene sia già un passo in avanti). Personalmente, quando sento un'affermazione del genere, invece, la sento seguita da un punto. Certo, sia chiaro, è bene conoscersi ed accettarsi così come si è. Solo che di fronte all'ansia che regna ormai dovunque, anche tra persone più giovani che uno potesse pensare, io domando: sei ansioso...e quindi? Non mi sembra che basti affermarlo, occorre seriamente chiedersi cosa ne vogliamo fare e anche, perché no, cosa ne sarà fra qualche anno, se oggi sono ancora giovane e mi ritrovo così.
Non posso togliermi dalla testa e dal cuore una frase di un pensatore, che ritengo maestro di gratitudine, Enrico Peyretti: L'affanno è la malattia del respiro. Non permette di inspirare lo Spirito al ritmo giusto, il suo, non quello della nostra fretta, avida di risultati. 
Per chi è cristiano dunque, la domanda muta inevitabilmente. Perché ti permetti di non vivere al ritmo dello Spirito, l'unico donatore di vita e di felicità? Quanto tempo ancora vuoi vivere, sfuggendo a Lui? Sono domande serie, che ognuno di noi dovrebbe farsi, ma soprattutto che dovrebbero farci rendere conto, che non c'è da sorridere se ci troviamo incapaci di controllare il nostro respiro. Noi possiamo inspirare lo Spirito e dobbiamo espirarlo nel mondo, perché solo di questo realmente il mondo ha bisogno. Il rimedio, ognuno se lo saprà trovare, nella misura in cui trova nella propria vita ciò che non gli permette di ossigenare sufficientemente la propria esistenza, per essere veri testimoni. 

venerdì 14 luglio 2017

l'occhio del serpente

Mi sa che Gesù ci fa venire un po' di confusione oggi con questo Vangelo: pecore, lupi, colombe, serpenti, oh mamma mia... che significa???? Tra questi quattro animali, qual è quello che ci reca più difficoltà? Beh, pecore sono pecore: tranne quella smarrita che è comunque indifesa e bisognosa, di solito sono mansuete. Lupi... un po' pericolosi ma tutto sommato se si trova in giro un san Francesco, ce la può fare ad addomesticarli. Colomba: si sa, è purissima, anzi per noi cristiani significa anche la presenza dello Spirito. E infine serpenti... qui c'è qualche problemino in più. Da una parte ci sembra che sia impressa nel nostro immaginario collettivo la figura del serpente come il male, a partire dal racconto biblico. Ma sappiamo bene che ci sono delle ragioni antropologiche radicate ben più in profondità. E infatti, probabilmente ci ricorderemo da ciò che abbiamo studiato a scuola, che effettivamente il serpente (qualsiasi tipo) era un rettile altamente pericoloso per l'uomo nel corso dell'evoluzione. Infatti, forse per assurdo, la nostra vista, è altamente specializzata anche "per colpa" dei serpenti, perché l'unico modo in cui si sono saputi difendere i primati dal pericoloso veleno dei serpenti, fu sviluppare una vista sempre più nitida, per distinguere la sagoma allungata del serpente. Scrivo tutto ciò perché mi sembra estremamente significativo, che altri animali non ebbero questa capacità e semplicemente si sono resi nel corso dei millenni, resistenti al veleno, perché incapaci di sviluppare una vista migliore.
Ma cosa c'entra con il nostro dover essere prudenti come serpenti? Ecco che sono proprio i serpenti che hanno una spiccata capacità di osservare e di vedere. Dunque, se vogliamo soffermarci oggi proprio su quell'animale che ci fa più problemi, possiamo pensare che Gesù ci chiama ad uno sguardo che non è un semplice "guardarsi in giro", ma che è caratterizzato da una profondità e pazienza, che solo appunto un serpente può insegnarci. La parola prudenza infatti deriva dal participio presente di provvedere indicando una persona che ha la scienza del bene e del male e sa quali cose seguire e quali fuggire. Il serpente ha questa vista per la quale sa vagliare ciò che ha davanti. E con la sua "scienza" ha saputo nella storia del genere umano, provocare un essere che ne aveva il potenziale, a specializzare la sua vista. Credo che la virtù di prudenza così intesa, sia una vera provocazione nel mondo di oggi. A stento si capisce oggi la capacità di osservazione, nel tempo in cui i tanti stimoli visivi ci portano a non avere più un occhio profondo, vigile, paziente e soprattutto: capace di vedere il bene nascosto nelle pieghe della storia da distinguere da quel che del bene ha solo l'apparenza. Suonerà assurdo: ma possa ancora e sempre provocarci la figura del serpente, ad avere un occhio attento, intento a guardare a lungo prima che la bocca pronunci la parola. E questo significherà, così come ci è successo nell'evoluzione: non essere resistenti al veleno, ma restare vulnerabili, per curare la nostra "vista". Così, per essere in linea con il fatto che l'occhio è lo specchio dell'anima.