Come colui che lascia Parigi per il deserto sorride da lontano alla
solitudine; come il viaggiatore che attende con cuore ansioso le lunghe giornate
al mare; come il monaco che accarezza con gli occhi i muri della sua clausura,
così, fin dal mattino, apriamo la nostra anima alle piccole solitudini della
giornata.
Perché le nostre piccole solitudini sono grandi, esaltanti, sante al
pari di tutti i deserti del mondo; esse, che sono abitate da Dio stesso, il Dio
che fa santa la solitudine. Solitudine del nero asfalto che separa la nostra casa dalla fermata del
tram, solitudine di un banchetto al quale altri esseri portano la loro parte di
mondo, solitudine dei lunghi corridoi in cui scorre il flusso continuo di tutte
le vite in cammino verso una nuovo giornata. Solitudine dei momenti in cui,
accovacciati davanti alla stufa, si attende la fiamma del pezzetto di legna
prima di mettere il carbone; solitudine della cucina davanti alla pentola dei
legumi. Solitudine quando si lucida ginocchioni il pavimento, lungo il sentiero
dell’orto in cui si va a cogliere un mazzo d’insalata. Piccole solitudini della
scala che si scende e si sale cento volte al giorno. Solitudine delle lunghe
ore di bucato, di rammendo, di stiratura.
Solitudini che potremmo temere e che sono lo svuotamento del nostro
cuore: persone care che se ne vanno e che vorremmo con noi; amici che si
aspettano e che non arrivano; cose che si vorrebbero dire e che nessuno
ascolta; estraneità del nostro cuore in mezzo agli uomini.
Il primo passo verso la solitudine è una partenza. Il vero deserto lo
si raggiunge, nel duplice senso del termine, prendendo il treno, la nave o
l’aereo. Noi non sappiamo distinguere le numerose piccole partenze che si
susseguono in una giornata perché non arriviamo mai alle solitudini che sono
nostre, alle solitudini che ci sono state preparate. Per il solo fatto che uno
stato di solitudine non è separato da noi che dallo spessore di una porta o dal
periodo di un quarto d’ora, non gli riconosciamo il suo valore di eternità, non
lo prendiamo sul serio, non lo affrontiamo come un complesso unitario, adatto
alle rivelazioni essenziali.
Poiché il nostro cuore non sa attendere, i pozzi di solitudine di cui
sono disseminate le nostre giornate ci rifiutano l’acqua vitale di cui
traboccano. Noi abbiamo la superstizione del tempo.
Se “il nostro amore richiede tempo”, l’amore di Dio si fa gioco delle
ore, e un’anima disponibile può essere sconvolta da Lui in un istante.
“Ti condurrò nella solitudine e parlerò al tuo cuore”.
Se le nostre solitudini sono per noi dei cattivi conduttori della
Parola, è perché il nostro cuore è assente.
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