domenica 24 ottobre 2021

chiamare per nome


Mc 10, 46-52
Una magra illusione, quella di vivere convinti che possiamo sempre fare tutto da soli. Forse un'illusione che viene da lontano, che per alcuni di noi resta come residuo dell'essere dovuti sempre apparire come bambini super efficienti, capaci, pronti a cavarsela in ogni situazione, anche se essa dovesse comportare un livello di stress difficilmente sopportabile. 
Ed ecco che alle volte ci viene difficile dire: "non ce la faccio". Piuttosto siamo portati ad affermare: "è impossibile". C'è una piccola trappola in tutto ciò. Non volendo affermare di non essere capaci di affrontare una cosa, veniamo allo scoperto lo stesso, in quanto il dire "è impossibile", è già l'affermazione del nostro limite personale. Eh si, perché vedere che invece un altro a posto nostro se la cava, alle volte ci punge interiormente. 
È impossibile che un cieco guarisca. Specialmente nei tempi di Gesù. Non c'erano oculisti che potevano visitarlo... ma sappiamo anche che pure oggi la cecità fin dalla nascita spessissime volte è irreversibile. È impossibile... è affermazione del limite dell'uomo anche senza che l'uomo lo sappia. A cosa serve dunque che Bartimeo gridi: "voglio vedere", se sa che è impossibile? Molto semplice. Saper chiamare per nome il nostro limite, è quel movimento di discesa verso la verità profonda di noi stessi, in cui finalmente la grazia di Dio è "autorizzata" non solo ad operare ma anche a compiere i miracoli! L'autosufficienza viene vinta dall'onnipotenza di Dio. "È impossibile" viene soggettivato e passa ad essere "io da solo non posso, ho bisogno di te". L'uomo torna alla sua prima e originaria e unica ammessa dipendenza: da Dio. E SUBITO torna a vedere, cioè ad essere sano, così come era uscito dalla mano di Dio. È l'effetto della capacità di chiamare per nome la propria condizione, di non averne paura. Si torna un po' in paradiso, dove all'inizio l'uomo non aveva paura, si torna ad essere ciò che si è.


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