Mc 10, 46-52
Una magra illusione, quella di vivere convinti che possiamo sempre fare
tutto da soli. Forse un'illusione che viene da lontano, che per alcuni di noi
resta come residuo dell'essere dovuti sempre apparire come bambini super
efficienti, capaci, pronti a cavarsela in ogni situazione, anche se essa
dovesse comportare un livello di stress difficilmente sopportabile. 
Ed ecco che alle volte ci viene difficile dire: "non ce la
faccio". Piuttosto siamo portati ad affermare: "è impossibile".
C'è una piccola trappola in tutto ciò. Non volendo affermare di non essere
capaci di affrontare una cosa, veniamo allo scoperto lo stesso, in quanto il
dire "è impossibile", è già l'affermazione del nostro limite
personale. Eh si, perché vedere che invece un altro a posto nostro se la cava,
alle volte ci punge interiormente. 
È impossibile che un cieco guarisca. Specialmente nei tempi di Gesù.
Non c'erano oculisti che potevano visitarlo... ma sappiamo anche che pure oggi
la cecità fin dalla nascita spessissime volte è irreversibile. È impossibile...
è affermazione del limite dell'uomo anche senza che l'uomo lo sappia. A cosa
serve dunque che Bartimeo gridi: "voglio vedere", se sa che è
impossibile? Molto semplice. Saper chiamare per nome il nostro limite, è quel
movimento di discesa verso la verità profonda di noi stessi, in cui finalmente
la grazia di Dio è "autorizzata" non solo ad operare ma anche a
compiere i miracoli! L'autosufficienza viene vinta dall'onnipotenza di Dio.
"È impossibile" viene soggettivato e passa ad essere "io da
solo non posso, ho bisogno di te". L'uomo torna alla sua prima e
originaria e unica ammessa dipendenza: da Dio. E SUBITO torna a vedere, cioè ad
essere sano, così come era uscito dalla mano di Dio. È l'effetto della capacità
di chiamare per nome la propria condizione, di non averne paura. Si torna un
po' in paradiso, dove all'inizio l'uomo non aveva paura, si torna ad essere ciò
che si è.

 
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