"Chiedete ed otrerrete" mi fa pensare oggi a una cosa che continuamente accade nella vita. La capacità di domandare è la virtù di chi non si sente arrivato. Quante volte ci siamo vergognati di porre le domande, quando bisognava farle? Quanti disagi a volte ne conseguirono? Quanto più semplice sarebbe la nostra vita, se non dovessimo fare sempre la figura di chi già sa. Come se porre le domande fosse una cosa che sminuisce la nostra umanità. Ebbene, chi non chiede, rischia di cadere in una specie di presunzione, delle volte senza nemmeno accorgersene. Ma un conto è presumere rispetto al propri sapere: quando ci sembra che sappiamo tanto su tanti argomenti (e può essere anche vero). Invece un'altra cosa è quando noi presumiamo di ciò che risiede nelle persone con cui entriamo in relazione. E' lì che si giocano tante cose. Si feriscono le persone, si attribuisce a loro qualcosa (o più cose) che non esistono. Si, essere capaci di domandare la ragione di ciò che l'altro, dunque diverso da me, compie, richiede coraggio... e richiede ancora più coraggio ascoltare la risposta quando arriva. Inutile porre i quesiti se si ha già dentro la risposta. Aveva ragione la grande Alda Merini quando diceva che la semplicità è la raffinatezza della profondità. Infatti, è molto più semplice e semplificante, porre le domande. Ed è frutto del desiderio di andare in profondità della vita, di ascoltare profondamente l'altro. E questo significa non essere arrivati e non sentirsi tali. Essere semplici, appunto, bisognosi di alzare la mano e chiedere. Forse per questo il Vangelo di oggi ci dice di mettersi d'accordo per strada con l'avversario... perché è più semplice e immediato che non andare da un giudice. Occorre abbandonare la vergogna di non sapere, la rigidità che risulta a volte un silenzioso giudice. Tornare come bambini, sempre desiderosi di conoscere, sempre fiduciosi, forti delle loro domande... "perché la nostra gioia sia oiena".