Mt 18,21-19,1
Un argomento difficile da trattare, quello del perdono. Penso che ognuno di noi ha un'esperienza o passata o anche in atto, di un perdono difficile. Difficile da dare oppure da accogliere, quando siamo noi i "colpevoli". Metto tra virgolette la parola colpevoli, perché mi sembra che prima di dichiarare la colpa di una persona, occorre ponderare bene le cose. Molte volte il danno compiuto è oggettivo, ma la colpevolezza non c'è, almeno da un punto di vista morale. Molte cose che noi prendiamo come torto, non erano o non sono intenzionali... ed è qui la motivazione per la quale Gesù ci dice di perdonare 70 volte 7, cioè sempre. Forse anche questa è un'esperienza che nella nostra vita abbiamo fatto: subire la rabbia altrui, la mancanza di perdono e non sapere nemmeno dove è stato lo sbaglio. Quante volte succede che colui che si sente offeso ha ricevuto un'offesa non intenzionale e non vuole chiarire, ma solo fa subire le vendetta emotiva... è una forma di prevaricazione sull'altro. Io ti punisco o con il mio silenzio o con il rifiuto di chiarimenti. Ed è sofferenza talvolta feroce per chi presumibilmente ha sbagliato. Crea infatti un rapporto impari una situazione di asimmetria schiacciante. Un po' simile a quella dei due servi del re. In realtà loro dovrebbero essere alla pari. Sono colleghi. L'unica cosa è che uno è debitore del padrone e l'altro è debitore del collega. Ma come mai, succede così, che dopo l'esperienza di perdono, uno non va a perdonare a volta sua? Ecco, dipende tutto da come noi ci rapportiamo alla richiesta di perdono. Io chiedo di essere perdonato perché ho un debito/ho sbagliato e so che questo non è corretto, oppure lo chiedo, prostrandomi (abbassandomi appunto davanti ad altro), perché ho paura di essere punito? Nel secondo caso il frutto spesse volte è la rabbia, tenuta dentro. Mi abbasso senza realmente sentire nel cuore la necessità di questa richiesta, ma per non perdere negli occhi dell'altro. Mi abbasso "falsamente", senza umiltà, ma solo umiliandomi. Quando ci si umilia per paura, il frutto inevitabilmente poi è rabbia, perché il sentimento è quello di inferiorità che poi non viene affrontato, ma solo sfogato. Ecco quindi che, per non sentirsi più quello inferiore, si va e si costringe qualcun altro a mettersi in posizione di abbassamento rispetto a noi. E' una forma di bullismo, indubbiamente. Perché le persone che non si sentono inferiori e non hanno paura dei propri sbagli, non si umiliano, ma ammettono la propria colpa/debito, in piedi, alla pari. Sono umano e sbaglio come tutti gli umani. Ma chi non lo sa fare, andrà a schiacciare gli altri, per sentirsi "meglio", vedendosi superiore a qualcun altro. Finisce sempre male. Se non finisce come nel caso del servo spietato, finisce con un sentimento di "marcio", dentro. La superiorità di questo genere, non ripaga, è una trappola per se stessi. Faccio pagare per i miei errori a qualcun altro, per restare impeccabile ai miei propri occhi. Ma dentro so di non esserlo. Ecco perché la mancanza di perdono è un torto fatto a se stessi. Ecco perché perdonare 70 volte 7, significa liberare se stessi, riequilibrare il rapporto con l'altro, portarlo alla pari e vivere da adulti, dandoci una mano, permettendoci a vicenda di sbagliare e di essere amati e considerati lo stesso.