venerdì 27 giugno 2025

sacro perché spezzato

La festa di oggi può restare sempre un appuntamento lontano, che ci parla di una realtà così mistica da sembrarci lontana. Certo, il cuore di Dio, soprattutto quello rappresentato con tanto di corona di spine e di fiamma, in mano a Gesù, resta un'icona "classica" ma spesso anche ormai incomprensibile e magari ci lamentiamo che non dice nulla alla nostra vita. Spesso infatti un'iconografia attribuita ad una realtà, ci "disturba" nella possibilità di cogliere cosa, anche oggi il Signore ci vuole comunicare. Beh, vediamo insieme che forse viene fuori qualche cosa.  Quel che dice Gesù oggi di sé o meglio del suo cuore mite ed umile, si verifica negli attimi immediatamente seguenti la morte di Gesù in croce. Una morte precoce, a quanto pare, perché il cuore gli viene trafitto proprio perché già morto. Serviva questo gesto? Pare che sia stato compiuto per accertare la morte. Ma ci sono degli studiosi che dicono che la causa immediata della morte di Gesù è stato un infarto, o meglio una rottura del cuore (ma per gli aspetti scientifici possiamo fare ricerche autonomamente). Il suo Cuore noi oggi lo festeggiamo come sacro. Sacro significa messo da parte per Dio. Strano no, che il cuore di Dio (ovvio che sia messo da parte per Dio, se è suo), non sia stato immune dalle rotture e dalla sofferenza? Beh alle volte io penso che può essere sacro solo ciò che è spezzato
La chiusura non ha nulla a che fare con Dio, il quale è relazione, è il fluire dell'amore, è un continuo dare e ricevere, che si può attuare solo attraverso delle aperture. Ecco perché ciò che è spezzato può essere sacro (ma, attenzione, non necessariamente lo è!). Le ferite, come già ha detto qualcuno, possono essere feritoie comunicanti la vita. Ecco perché si dice che dal costato del Signore con l'acqua e il sangue è sgorgata la Chiesa, il segno visibile del suo amore. E così anche la chiesa resta sacra solo quando aperta, quando disponibile per essere anche ferita, squarciata, per testimoniare questo amore. Ma veniamo a noi: a me e a te. Hai presente quel momento in cui ti è venuto proprio un "infarto", il tuo cuore è stato spezzato, ferito, quando ti sei sentito usato, quando hai sofferto? Sicuramente sì. Tutto questo è sacro, se tu ne trai vita. Se ti concentri sulla morte, la ferita va in cancrena, si diffonde su tutta la tua persona e non ti permetterà di vivere felice. Ma se tu guardi la tua ferita, il tuo essere trafitto, come occasione di apertura, di "scuola" in cui imparare qualcosa della vita, forse di apertura agli altri, ancora più sofferenti di te. Quando il Papa Francesco ci invitava ad USCIRE, voleva dire proprio questo: di non rimanere chiusi, di non lasciarci rubare la possibilità di purificare la nostra vita. Uscire e far entrare aria nuova, lasciare che con essa la ferita, che è luogo di passaggio, sia guarita e diventi apertura per la luce, per l'acqua pura, per quest'aria, per le persone bisognose della nostra accoglienza.
Questa è la tua e la mia possibilità di avere dei cuori che assomigliano a quelli di Gesù, che tendono ad essere quello per cui sono stati creati: sacri, appartenenti a Dio. 





venerdì 18 aprile 2025

Venerdì Santo puoi...

Questa settimana è santa. Così la chiamiamo, perché crediamo che ogni suo giorno è carico di messaggi spirituali che ci guidano verso la verità sulla nostra vita, tanto da noi temuta, quanto desiderata: la verità che siamo fatti per la vita, per la vita eterna. Questa settimana, come vediamo nella Parola che ci accompagna, Gesù vive un ventaglio direi completo dei sentimenti umani. E' dunque santa, perché mette a fuoco tutto ciò che è umano e assunto da Dio, fino al punto in cui ci sembra di vedere una separazione provvisoria, appunto dell'umano dal divino, in Gesù, per rendere possibile il ritorno grande e definitivo dell'umanità a se stessa, cioè a Dio. Mentre Gesù sulla croce spira, restituisce l'alito di vita, donato all'inizio dei tempi al primo uomo, al Padre, per significare che dopo questo resta solo la risurrezione, che completerà l'opera di Dio in noi. Mi viene da gridare allora GRAZIE al Signore, che mi chiama verso la sua croce, per rivivere con lui tutti i sentimenti umani, fino al ritorno fecondo di ogni cosa al suo posto! Si, tutti i sentimenti, anche quelli che contrassegnano la fragilità della creatura umana. Perché dov'è il suo posto, se non proprio qui: tra la morte e la risurrezione, nel già e non ancora? La fragilità mi rimanda alla possibilità o forse alla necessità della morte e così mi apre alla Pasqua! Senza la fragilità che sperimento e che posso accogliere, io non ho bisogno della Pasqua. Se non l'accolgo come mia condizione normale, non potrò resistere alla tentazione del fai-da-te, quella stessa che raggiunge Gesù quando lì sulla croce gli viene detto di scendere, se ne ha il potere. Si, Egli accoglie il raggio della fragilità, illuminazione grigia del momento in cui non c'è nulla da fingere e quindi anche Dio grida il suo sentirsi abbandonato... Si, perché in quel buio di mezzogiorno Dio si rivela, nello squarciarsi del velo del Santo dei Santi, luogo riempito della sua presenza. E forse luogo da cui liberare finalmente i sentimenti di finta riverenza e distanza e lasciare che Dio entri ancora nel mondo, nel nostro grido di aiuto. Alcuni studiosi dicono appunto che il grido di Gesù è espressione del momento in cui le sue due nature hanno sperimentato più divisione. Non sappiamo... ma una cosa è certa: Venerdì Santo puoi... puoi permetterti di sperimentare la divisione tra quei contrasti che ti abitano: tra la forza e la debolezza; tra la decadenza e l'ascesa; tra la bellezza e la bruttezza. E puoi sentire la misericordia che ti invade e riunisce in te tutto ciò che sei. Venerdì Santo puoi finalmente domandare: perché mi hai abbandonato?, nella consapevolezza di essere amato, finalmente senza paura di rivelare con la domanda la tua debolezza, il tuo non essere arrivato. Venerdì Santo puoi ammettere che sei anche tu un discepolo impaurito che fugge; che sei anche tu Pietro che pur sentendosi guardato e visto, rinnega; che sei anche tu Giuda che tradisce, Pilato a cui non importa altro che mantenere calmi gli animi, e non vuole prendere posizioni; Erode che sa ridurre al nulla la persona umana; Barabba che se ne approfitta della morte dell'innocente; folla che sragiona. Si, puoi dirlo: anche io e te siamo tutto ciò. Puoi ammetterlo e prenderne coscienza, perché quel sangue che sgorga dalla croce ti dice: ti amo proprio così, e ancora, e ancora... E, presa coscienza di quello che sei, puoi essere anche tu un raggio della luce. Passa ora al secondo giorno, quello in cui le donne in silenzio preparano gli unguenti e i profumi, sostanze che accompagnano lo sposalizio della risurrezione. Prepara nel silenzio la tua vita alla risurrezione da ciò che ti impedisce l'unione con lo sposo. E apri, apri, non rinchiuderti più nel sepolcro, appesantito di ciò che sei. Solo credi che sei amato così come sei.  "Fagli spazio nel tuo disordine"...Da oggi, per sempre, tu puoi...




domenica 10 novembre 2024

un "tutto" limitato

Mc 12,38-44 

Ed eccoci di nuovo nel Tempio con Gesù, di fronte al tesoro, ad osservare la gente. I ricchi, allora come oggi, sfilano per far vedere quanto denaro danno per il Tempio. Tuttavia danno poco, perché non danno quel che realmente potrebbero. La vedova viene e getta tutto quello che ha per vivere. E ci insegna una cosa importantissima. Lei dona tutto, proprio perché è consapevole di quel che ha e di quel che non ha. Non puoi dare tutto se non sei consapevole di ciò che possiedi e di ciò che non è tuo. La capacità di donare tutto/donarci tutti interi, si basa sulla presa di coscienza di ciò che abbiamo e di dove sia invece il limite e "la nostra miseria". Perché donando tutto, rendendoci conto che invece non siamo tutto, apriamo uno spazio di necessità di aiuto, di una mano, della reciprocità, della complementarietà... spazio in cui subentra l'altro, necessario al completamento del tutto, che io da solo non posso colmare. Ma posso certamente disporre del mio e dare tutto, quando mi rendo conto di quanto ho. E ovviamente non stiamo parlando del denaro, ma della nostra vita, delle nostre energie, dei nostri talenti. Nessuno di noi è chiamato a fare tutto, colmare ogni bisogno, altrimenti saremmo Dio (l'unico che tutto può). Allo stesso modo nessuno può esimersi dal dovere di donare se stesso e il massimo di sé, fin dove può. La storia e la storia della salvezza si compiono proprio così: nel quotidiano adempimento della "nostra parte", di quel "tutto" individuale limitato, che è necessario alla costruzione del mondo.

domenica 23 giugno 2024

Lasciarsi portare

Mc 4,35-41 
Quel momento in cui vuoi con tutte le tue forze fare qualcosa, proprio compiendo l'ultimo sforzo...ma le energie ti hanno abbandonato e sai che non ce la farai. Non si parla necessariamente di una cosa che riguardi la tua dimensione fisica. Alle volte non ce la fa più la nostra mente, il nostro spirito... è qualcosa di normale, essere fragili. E qui, proprio nella scoperta di non essere per nulla forti, che si cela la grande possibilità. Il tuo limite, la tua finitezza scoperchiano uno spazio in cui l'altro può prendersi cura di te e dei tuoi desideri. Non c'è nulla di più liberante del lasciarsi portare, sfornando dal profondo del nostro essere la fiducia. Per assurdo questo non significa per nulla la passività. Delle volte infatti, questo tipo di docilità, si trasforma in salvezza, per tutti. Per te che ti mostri debole e per gli altri, che, senza rendersene conto, hanno bisogno della tua gracilità. Da una parte sperimentano infatti l'universale necessità dell'essere umano di prendersi cura dell'altro. D'altra parte possono accorgersi, che nel momento in cui meno se lo aspettano, la tua fragilità calma le tempeste della loro vita. Così Gesù oggi. Vuole passare all'altra riva, ma non c'è altro modo che lasciarsi prendere così come era nella barca. E nel bel mezzo della traversata...ecco la tempesta. Il bisogno di Lui. Il bisogno di questo uomo spossato, che dorme così fortemente che non si sveglia nemmeno con tuoni, lampi e vento. La paura che non gli importi nulla del fatto che stanno morendo. Si, senza l'altro, anche vulnerabile e apparentemente incapace di dare nessun contributo, la paura della morte ci opprime. Abbiamo bisogno dell'altro e dell'alterità. Proprio di quell'Altro che dorme, che ci sembra lontano, passivo, sconosciuto. Quell'Altro che ha appena avuto bisogno di essere portato in braccio. Quell'alterità che sconfigge anche le nostre più potenti paure, nell'abbraccio delle due umanità che con Dio acquistano un'inaspettata forza. 




domenica 17 dicembre 2023

Amare quello che non siamo

Gv 1,6-8.19-28

Viene sempre un dubbio quando ci attribuiscono cose che in fondo sappiamo che non ci appartengono. Ci sentiamo confusi. All'istante incomincia la lotta tra quello che siamo e quello che non siamo. Spesso quando sentiamo delle cose buone sul nostro conto, anche se non vere, c'è quell'attimo in cui dobbiamo fare un respiro profondo per dire: no, io non sono questo (senza cadere poi nella falsa umiltà, ovviamente). Esattamente così fa Giovanni Battista, quando dice chiaramente che non è il Cristo. Nel profondo del nostro essere vorremmo che il bene che alle volte si dice di noi, ci appartenesse. Qualcuno può chiamarlo superbia e forse alle volte lo è. Ma forse è anche il "sintomo" del nostro tendere sempre verso l'alto, verso Dio. Credo che se il nostro desiderio è essere più virtuosi, ammirati ecc., è solo perché ancora non conosciamo il bene che in noi è stato deposto e di conseguenza non amiamo ciò che siamo e... ciò che non siamo. Saper essere "voce" che annuncia la Parola e sapere che questa voce ha dei limiti. E che se la voce è fragile, è invece infinitamente forte la Parola, che l'amico dello sposo è presente, ascolta, ma esulta quando risuona la voce dello Sposo. Ed ecco la responsabilità per la nostra felicità. Non corriamo dietro a delle false identità, proposte da chi ci vuole diversi, "migliori", anche da chi, per gratificarci, ci dice delle dolci parole. Perdiamo invece un po' più di tempo per conoscerci ed amarci. Forse in questo nuovo anno, per amarci un po' di più.

mercoledì 22 novembre 2023

ho molto e avrò di più

 


Lc 19,11-28

Non sembra giusta questa storia. Noi gridiamo che ai poveri bisogna donare quello che a loro appartiene, quello che a loro manca, quello che non hanno. Cioè a chi non  ha bisogna dare, e così finalmente avrà, non, come dice il brano di oggi a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quindi, come la mettiamo? Si ripresenta sempre la questione della gestione. C'è chi ha poco ed è felice, e chi ha molto e non lo è. C'è chi è in grado di moltiplicare il suo poco e moltiplicare il benessere, attraverso una vita semplice e onesta, invece c'è chi riduce il suo tanto, sperperandolo. Chi è allora realmente colui che ha molto? E' colui che per questo molto ha molto lavorato. E non è questione di quantificazione. Il mio molto non è lo stesso tuo, eppure nessuno può mettere in discussione che sia molto. Siamo una piccolezza e un poco che è chiamato ad essere molto, secondo la propria misura, quella molto personale. Questa è precisamente la ragione per cui a chi ha, sarà dato di più. Attenzione non dice: a chi ha molto, ma semplicemente a chi ha. Per non cadere nella contabilità. Ma se tu "hai", ne sei consapevole e te ne prendi cura, di quel che hai, avrai in abbondanza, perché lo vivrai in profondità, godendone appieno, e non devono essere per forza i beni materiali, ma anche i tuoi doni naturali. Se invece non hai , cioè non prendi consapevolezza di ciò che è tuo e di ciò che fa sì che tu sei tu, sarai sempre più povero, ti sentirai sempre più vuoto. Tutto sta nel guardarci dentro e vedere cosa abbiamo, per avere di più. 






sabato 22 luglio 2023

vedere e correre

Gv 20,1-18



Cara Maria Maddalena, grazie. La tua compagnia oggi mi ha ricordato quanto segue: ogni volta che io dico "ho visto il Signore" dovrei sentire quel calcio nel sedere che mi catapulta nel mondo per due motivi. Uno: per testimoniare, perché averlo visto davvero non ti permette di stare fermo, ma ti spinge verso gli altri. Avere gli occhi pieni di Lui, fa sì che uno è spinto interiormente a condividere questa luce, che emana dagli occhi, quando tu l'hai visto. Due: per imparare finalmente che il vedere il Signore non è un'esperienza singola, ma è quel momento a partire dal quale noi possiamo essere ogni giorno più capaci di vederlo all'opera nel mondo, di trovarlo dovunque andiamo, se solo lo vogliamo. Sì, l'incontro ci apre gli occhi, perché nell'incontro c'è lo Spirito, che Agostino chiama amore tra il Padre e il Figlio, lo stesso amore che fluisce nel vero incontro dell'uomo con Dio.