sabato 14 novembre 2020

dare fastidio a Dio

Lc 18,1-8 

Dare fastidio. Fastidio, etimologia: provocare sofferenza. Se una cosa a me dà fastidio, la voglio rimuovere, è logico. Appunto perché provoca sofferenza, mi tiene in uno stato di allerta, non mi permette di vivere sereno, altera equilibri psichici e fisiologici in me. Se per togliermi di mezzo il fastidio, posso fare una cosa che non mi crea problemi, la faccio subito e prontamente. Nel caso in cui per tornare alla serenità devo fare qualcosa che mi costa, inizio a bilanciare. Mi costa di più restare nel fastidio o fare lo sforzo di tirarmici fuori? Sulla bilancia sta la mia serenità e la capacità di "perdere" qualcosa. Varie sono le cause per cui potrei scegliere di non vivere serenamente, per non perdere cose materiali, stima di qualcuno, considerazione, apparenza... Sappiamo però che non sempre ne vale la pena. Così pensa pure il giudice disonesto: non gli andava di fare giustizia alla vedova importuna, tuttavia per togliersi di mezzo il fastidio della sua insistenza, gliela fa. 
Cosa succede quando si tratta di dare fastidio a Dio? Siamo in grado di pensarlo, intanto? Oppure, piamente, non vogliamo mettere Dio alla prova? Dare fastidio, cioè procurare la sofferenza a Dio. Manifestargli la nostra sofferenza, certi che ne soffre pure lui. E non potrà far altro che in qualche maniera ascoltarci e tirarci fuori dalla prova. Ma occorre iniziare da capo: è DOVUTO dare fastidio a Dio, perché non farlo significherebbe non riconoscere, che Lui è Padre e già soffre per la sua creatura. Sarebbe in qualche maniera restare nella convinzione che possiamo farcela con le nostre stesse forze. Sarebbe continuare a soffrire, dunque, nella solitudine, alla quale sicuramente non siamo stati abbandonati da lui, ma che scegliamo da soli. Dare fastidio a Dio, insistere nelle nostre preghiere, chiedendo la sua grazia, significa riconoscerci figli e dare a Dio il volto paterno, significa dirgli: lo so che sei Padre e già senti ciò che io sento e già vivi ciò che io vivo; dammi una mano a viverlo meglio. Bussiamo allora, alla sua porta, senza badare al vestito, alle buone maniere, all'apparenza. Scegliamo di dire a lui la nostra piccolezza, limitatezza, che egli ha sperimentato in parte, facendosi uomo. Solo così, il fastidio sarà condiviso e si trasformerà in offerta, la sofferenza in contenitore per la grazia, non solo per noi, ma per il mondo, bisognoso di intercessori, che non si stancano di dare fastidio a Dio. E quando sulla bilancia ci siamo noi non egoisticamente soli, ma con il mondo, i conti sono fatti. 

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