mercoledì 30 settembre 2020

Ma...


 

Lc 9, 57-62

È questione di priorità. Alle volte nella vita ci troviamo in un bivio e dobbiamo scegliere qualcosa. Momento disperato per chi non ha nessun obiettivo definito e altrettanto spaventoso per chi non si è mai dato delle priorità. È il famoso voler fare tutto, voler essere dovunque, voler avere tutto... eppure non si può. Chi non è abituato a questa verità della vita, inevitabilmente farà fatica a legarsi, a prendere impegni, a mantenere la parola e ad essere responsabile e affidabile. Le scelte vanno fatte, ma spesso non vengono fatte per paura di fallimento. Ecco, Signore, ti seguo però aspetta che devo dare un bacino alla nonna. E se poi la nonna ha fatto dei biscottini, non mi lascerà facilmente andare, ma tu Signore aspetta, perché due biscottini e sono da te. Non ho priorità e quindi non mollo la presa della nonna. Gesù nel Vangelo di oggi non ci vuole dire che la famiglia non va rispettata. Ma prende come esempio il legame familiare, come uno dei più forti legami affettivi, proprio per farci vedere quanto spesse volte restiamo fortemente attaccati ai nostri "ma" e nostri "però" anche laddove sembrano anche umanamente far sorridere. Ci piace raccontarci delle storie, siamo dei narratori. Anzitutto le raccontiamo a noi stessi e, una volta che ci crediamo, vogliamo convincere gli altri. Alle volte ci riusciamo, altre no. Il Signore vede oltre e ci incoraggia a lasciare i nostri "ma", esattamente nel punto in cui nascono, per una vita vissuta con ampiezza d'animo e con l'audacia di chi non teme più soprattutto di sbagliare, perché Dio è con lui. 



martedì 29 settembre 2020

l'effetto dello sguardo

Gv 1,45-51

Come ti senti quando qualcuno ti dice: ti ho visto ? Credo che di solito, istintivamente, cominciamo a domandarci: oddio, cosa ho fatto di sbagliato?  Comunque, un momento di dubbio, di sospensione, in questi casi è più che normale. Soprattutto quando non capiamo realmente se dietro a queste parole si cela un rimprovero oppure si tratta di qualcos'altro.
Natanaele, nel Vangelo di oggi, guarda a Gesù attraverso dei pregiudizi. Si sa, da Nazareth non può venire nulla di buono. Ecco: non lo guarda per quello che Egli è realmente, tuttavia per fortuna, è capace di porre il suo dubbio in forma di domanda. E, ricercando la risposta, si imbatte nell'atteggiamento esattamente opposto al suo. Viene chiamato da una persona che anzitutto sa e pronuncia il suo nome e dopo sa e verbalizza ciò che sta nel suo cuore. E dice delle cose positive. Si accende lo stesso un sospetto: come mi conosci? E avviene un miracolo: non appena si sente preso per quel che realmente è, riesce a riconoscere l'altro per quello che Egli è. Non sappiamo se sia stato l'effetto solleticante dell'essersi sentito elogiato... Tuttavia forse possiamo trovare qui una grande verità relazionale. Solo se siamo guardati con amore e accettati per quel che siamo realmente, riusciamo a riprodurre lo stesso sguardo sugli altri. Dall'essenza all'essenza. Senza tanti raggiri o sforzi di guardare dentro per mettere insieme degli elementi (che poi non si sa da dove vengano) e "definire" una persona. Essere amati = essere guardati. Se sentiamo lo sguardo di benevolenza su di noi, ci sentiamo amati. E scompare il bisogno di definire una persona, perché basta il suo nome e il bene che c'è dentro di lei, che, pronunciati, danno la vita all'altro, e gli danno quella carica che significa: la mia vita è importante. Non c'è bisogno di essere innamorati, per vivere questo, non c'è bisogno di sguardi sdolcinati. L'esercizio quotidiano potrebbe essere quello di ri-cor-dare, ripassare dalle parti del cuore, il fatto che siamo sempre guardati con amore dal datore della vita. Allora forse pian piano cambierebbe il nostro sguardo sulle persone e sulle cose. Le nostre relazioni possono in questo modo diventare più semplici, più dirette e più edificanti. E scompare la paura che "qualcuno mi abbia visto", quando vivo sotto lo sguardo tenero e premuroso di Dio. 

mercoledì 23 settembre 2020

un sacchetto semivuoto

 


Lc 9,1-6

Hai presente come fa il bambino quando si trova in un posto in cui ci sono tante cose belle? Vorrebbe prenderle tutte, si riempie le mani di ogni cosa che gli piaccia, però... dopo percepisce il limite, non solo non può più prendere tutto ma ad esempio non può abbracciare la mamma. 
Alle volte, leggendo il brano del Vangelo come quello di oggi, noi consideriamo erroneamente la povertà, specie quella fatta dalle persone consacrate, come voto, con la mancanza delle cose o con la privazione dalle cose. Gesù dice di non prendere molte cose, quando vieni chiamato ad annunciare il Regno di Dio. In effetti, si potrebbe pensare che uno per essere ascoltato e attenzionato, deve mostrarsi poco abbiente, così tutti lo guardano, ammirano la sua povertà e diventa testimone (oppure un fenomeno da guardare, dipende). Ma il senso vero non sta esattamente qui. Piuttosto ci viene restituito dall'esempio del bambino. Uno che nella vita deve annunciare il Vangelo (cioé ogni cristiano), non deve essere "pieno di cose", dove per le cose si intenda non solo cose materiali, perché la missione dell'annuncio gli dona infinitamente tanto e molto di più, secondo la promessa di Gesù di ricevere il centuplo. La missione non è solo dare, ma è anche o alle volte, soprattutto, ricevere. Gesù non dice di passare di casa in casa, dire due cose e andare avanti. No, no: dice di entrare nella casa e fermarsi. E quando si entra in una casa, si viene accolti e si riceve. Proprio secondo quanto è stato detto dopo la Risurrezione: Egli vi precede in Galilea, cioé è già presente laddove tu vai. E il trattenersi con le persone, fa svelare la sua presenza in mezzo a noi, perché Egli si manifesta dove due o tre sono riuniti. Allora il bambino comprende che è più importante l'abbraccio della mamma, delle cose stesse di cui possa riempirsi. Allora noi comprendiamo che la povertà è una rinuncia, sì, ma rinuncia per un bene più grande: per il regalo del Signore che si dona nell'incontro coi fratelli. Allora il senso della missione ci si presenta molto più chiaro e molto più semplice di quel che vi potremmo immaginare: essere un sacchetto in cui ci sono poche cose, saper donare quelle poche cose e soprattutto restare disponibili ad essere riempiti della sua Presenza. 






giovedì 17 settembre 2020

l'oggettività del profumo

Lc 7,36-50 


Parlare dell'oggettività, oggi è molto rischioso, me ne rendo conto. Purtroppo spesso, troppo spesso, si confonde la libertà con il libero arbitrio e l'interpretazione di un dato di fatto altera la realtà, sotto la copertura della tolleranza e del: ognuno è libero di pensare ciò che vuole. A me piace un profumo che forse a te non piace, sei libero di non mettertelo addosso, tuttavia, se è un profumo piacevole, dovresti saper dire: è un bel profumo (inteso: non è una puzza), anche se non corrisponde ai miei gusti. E' come quando dico in una discussione: ciò che dici è un'ipotesi possibile, anche se per me non è quella più plausibile. Dove voglio arrivare? Al fatto che il profumo buono e prezioso che la donna del Vangelo di oggi riversa sui piedi di Gesù, resta quello, al di là di chi fa il gesto. Gesù è il Signore e riconoscere questo, legittima "lo spreco" di quella sostanza più pregiata che forse quella donna avesse in quel momento. I farisei però non vogliono vedere questo: loro guardano alla persona con disprezzo. Insomma per loro quel gesto è sporco, perché è sporca per loro la protagonista. Non così Gesù. Lui separa le persone dal male che possono aver commesso e le qualifica dal bene che fanno. Non vede in lei una peccatrice, anche se sa che lei è anche questo. Lui vede una donna che fa un gesto oggettivo: esprime l'amore. E vuole vederla attraverso questo gesto, dato che l'amore a parole vale poco, ma con i fatti molto. Di più: egli fa capire come un peccatore può amare infinitamente di più rispetto al cosiddetto uomo retto. Perché il peccatore compie gesti clamorosi d'amore, mentre quello abituato ad ospitare il Signore, potrebbe non compierne nemmeno uno... E noi, che sguardo abbiamo? Vediamo le persone a partire dal loro peccato o a partire dall'oggettività del buon profumo che sono comunque capaci di spargere, anche quando noi non siamo in grado di vederlo? Amare si può, è una scelta nella libertà. Riconoscere l'oggettività dei fatti si deve, abbandonando gli occhiali della nostra emotività ferita, bramosa di perfezionismo. 

martedì 15 settembre 2020

il ritorno della bellezza


 Gv 19,25-27

Vi propongo oggi questa meditazione, lettura spirituale del brano di Maria ai piedi della Croce.

Qualche anno prima, si erano ritrovati davanti a lei in quella sala nuziale, tremando, dicendo che stava finendo il vino. E forse lei non sapeva nel primo momento se era un bisogno o un desiderio. L’essenza del momento più bello della vita di una persona, conditio sine qua non, la bellezza stessa. La bellezza… è un desiderio di cui abbiamo bisogno ed è un bisogno che desideriamo. Un cuore leggermente spento, se conserva la nostalgica nota attraverso la quale desidera il desiderio, è sulla strada verso la bellezza. Madre del desiderio sei allora, Maria, colei che precede il vuoto che si sta creando. Stabat Mater: il tuo posto fisso è lì, ai piedi della Croce. È proprio lì che tu guadagni per noi questo desiderio che tante, troppe volte è lucignolo fumigante, nelle nostre vite distratte dai vuoti che non colmano il cuore. Il bisogno più grande, tu lo intuisci così: non fuggi dalla croce. La bellezza ora ha sembianze di ecce homo, uomo morente e senza confini. Ritorna attraverso la tua maternità, la dignità di ogni persona umana, ritorna l’inequivocabile verità sulla bellezza che risiede in ciascuno di noi. Alzare il capo per vedere tuo figlio che muore per ridare la bellezza a tutto il mondo, alla storia. Far violenza al nucleo della propria maternità. Sentire la spada trafiggere il cuore. Scopri che la tua missione non era affatto compiuta con il dare al mondo il suo Redentore. E non termina nemmeno con il suo: Donna, ecco il tuo figlio. La missione è compiuta quando tu e Lui, due vite distrutte, rovesciate più o meno consapevolmente la logica della morte. Due corpi martoriati, di cui uno morente, immagini di bellezza che rinasce oltre ogni aspetto estetico. Lì, sul colle del Golgota, tu hai alzato lo sguardo per contemplare tra le lacrime, il volto sfigurato di Lui, precedi il vuoto che si sta creando. Precedi, con il tuo atteggiamento, ciò che non è stato intuito subito dopo la sua crocifissione e non viene intuito nemmeno oggi, tante volte. Ti accorgi che ciò di cui abbiamo più bisogno, quel desiderio dei desideri, si nasconde nel brutto. Si sta facendo buio su tutta la terra, per far risplendere la Luce con ancora più forza. Non desidereremmo la vita, se non avessimo dentro la nozione della nostra mortalità. Non potremmo mai vedere e apprezzare la bellezza, se non conoscessimo, per contrasto, la bruttezza. Sono contrasti a cui non badiamo, quando il vuoto si affaccia ai nostri cuori. Eppure è possibile non vedere nulla per eccesso di luce. Non sentire più nulla per eccesso di dolore. E proprio laddove ci sentiamo incapaci di provare alcun sentimento, quando i sensi si mettono a tacere, la bellezza e la vita esplodono: anche in mezzo all'orrore e alla morte. Probabilmente qualche esperto della vita spirituale lo chiamerebbe purificazione, oppure notte dei sensi. Ma quando quel dolore generativo diventa esperienza dello spirito e persino della carne, si comprende quanto è limitante vestire di parole un’esperienza. Le nostre lingue, soprattutto quelle moderne, quelle che con sfrenata corsa scappano dalle espressioni che chiamano per nome la sofferenza, fingendo che da essa si possa fuggire nella vita, arrivano solo fino a un certo punto. Dopo resta solo lo spazio di silenziosa condivisione di quello che succede nell’animo umano. Linguaggio oltre ogni linguaggio. 


lunedì 14 settembre 2020

Quando la bilancia si sbilancia

Gv 3,3-17 

Oggi è la Festa della Esaltazione della Santa Croce. E sto pensando al "peso" della nostra vita, alla sua importanza. E' sempre difficile confrontarsi con una bilancia...e lo sa chi è eternamente a dieta oppure chi la comincia dal prossimo lunedì. Ma non di questa bilancia vogliamo parlare, quanto piuttosto di quella a due piatti. Pesare qualcosa per confrontare la quantità, richiede precisione e impegno, soprattutto nelle bilance antiche. Figuriamoci quando ne prendiamo una fragile, chiamata vita. La vita umana è fatta in una maniera tale da dover bilanciare sempre l'amore, quello verso se stessi e quello verso gli altri. Si, come dice Nek, siamo fatti per amare (...) siamo due braccia con un cuore, per questo è così difficile pesare l'amore: due braccia, due amori, ma con un cuore solo. Oggi si aggrega pure il Signore a fare confusione. Dice che con la vita offerta del Figlio noi abbiamo guadagnato la vita. Mah...! Eppure la verità sulla vita umana sta proprio lì! Se tu ami il prossimo, amerai te stesso. Se tu vuoi perdere la tua vita per Dio e per gli altri, tu devi guadagnare la tua vita! Che significa tutto ciò? Una verità tanto antica e tanto evangelica, quanto dimenticata per via di vani eroismi o egoismi. E cioé: noi per servire e donare la nostra esistenza, così, come ci chiede l'esigenza dell'amore, dobbiamo in primis amare noi stessi e conservare la nostra vita. Si, assurdo, ma è proprio così. E qui approfittiamo per ritornare a ciò che da tempo abbiamo dimenticato: gli altri hanno bisogno, ma anch'io ho bisogno. Devo dedicarmi a qualcuno e qualcosa, ma ho bisogno della dedizione di me stesso e di qualcuno a me. E' di moda parlare di burnout. Bella parola inglese, suona da professionisti. Ma in fondo in fondo cosa è il burnout se non la scarsa capacità di applicazione proprio di questa parola che ci viene donata oggi? Perché magari ci hanno insegnato che Gesù è morto in croce, per cui non dobbiamo darci limiti. Oppure perché donarci fino ad essere sfiniti, ci dà un'interiore sicurezza di essere a posto quanto al comandamento dell'amore verso Dio e il prossimo. Ma nulla di più errato. Qui non si tratta mica di qualcosa di moraleggiante. Semmai del quinto comandamento che in questo caso parla di non uccidere cioé di amare la vita, anche quella propria. Tu senza prenderti cura della tua vita, non potrai aiutare nessuno, non amerai davvero. Proprio per questo è così difficile equilibrare i pesi sulla bilancia! Alle volte anche darsi il permesso di riposare, di prendere del tempo per se stessi, può significare rinnegare se stesso e prendere la propria croce. Si, perché darsi opportunità per rigenerare la vita, significa dare spazio alla risurrezione nella capacità di sentire il proprio limite, nel ricordo che siamo già stati salvati. E la risurrezione è l'unico punto d'arrivo destinato ad ogni vita.

giovedì 10 settembre 2020

a chi assomigli?


Lc 6,27-38

Sono certa che ciascuno di noi si è messo almeno una volta nella vita a pensare in cosa assomiglia ai propri genitori. Di solito qui saltano fuori delle sorprese piacevoli e quelle meno piacevoli. Però non so se ti sei mai messo/a a cercare in cosa assomigli al Padre del cielo. "Ah in nulla", già sento le risposte immediate. Tanto immediate quanto false. Veniamo costantemente fregati dal senso di inferiorità, da una sorta di falsa modestia. Sì, tu assomigli al Padre. Anche se non lo sai, non lo credi, vuoi respingere lontano da te questo pensiero, tu assomigli al Padre. In cosa? Vai a scoprirlo! Nel Vangelo di oggi c'è un suggerimento: siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Cosa significa essere misericordiosi? Misericordia è la capacità di miseris-cor-dare, cioè di dare il cuore ai miseri, ai bisognosi. Il cuore di Dio è questo: dona costantemente a noi che abbiamo bisogno di Lui. E noi anche in questo, somigliamo a Lui. E smetti di ripeterti, mentre leggi, che no, che tu non hai nulla da dare, perché sei tu stesso/a poveretto/a o peccatore/peccatrice. Si, certamente lo sei, certamente siamo tutti deboli. Ma tu sei figlia/o, e assomigli al Padre. Il tuo cuore è fatto per essere donato a chi ha più bisogno, non di te, ma di Dio, del Padre a cui tu assomigli. Cosa significa tutto ciò? Te lo spiega il resto del brano del Vangelo: non giudicate, non condannate, perdonate, date...   queste cose avvengono nella consapevolezza invece della fratellanza. Se sei figlia/o, sei anche sorella/fratello. Sei alla pari. E quindi non ti ergi sopra nessuno. Sì, sta appunto tutto nella somiglianza al Padre. Perché giudichiamo, condanniamo, non perdoniamo, non condividiamo, quando ci sentiamo superiori, cioè quando ci mettiamo al posto di Dio, quando ci sostituiamo a Lui. Ma Lui non ha bisogno di sostituti. Lui dona gratuitamente e chiede a noi di essere suo prolungamento. Prolungamento e non salvatori della patria. Questo semplifica molte delle nostre azioni e ci rimette "al nostro posto", di collaboratori di Dio, di figli amati e misericordiosi proprio perché amati. 












 

martedì 1 settembre 2020

un Dio che rovina

 


Lc 4,31-37

Hai mai visto un Dio che rovina le cose? Strana domanda no? Beh, Dio non rovina. Ed è da qui che si riconosce, quando nella nostra vita interviene il male. Ci suggerisce che Dio non vuole il nostro bene, ma la nostra rovina. Esattamente come il demonio del Vangelo di oggi, che chiede a Gesù se lui è venuto a rovinarlo. Però... forse a pensarci bene, sì, Dio rovina qualcosa quando entra nella nostra vita. Distrugge quella comodità a cui siamo abituati, quella stasi nella nostra vita interiore, ci scuote e spinge a metterci in cammino, cosa scomoda, cosa nuova e spesso inaspettata, esattamente ciò che succede all'indemoniato. Una vita statica, quella abituata a ripetere anche i gesti religiosi per abitudine, per tradizione, perché tutti fanno così. E poi viene Gesù, inquieta, scuote... Lo fa tutti i giorni, vuole tirarci fuori dalla nostra tendenza all'abitudine, per permetterci di camminare, di essere leggeri. E l'indemoniato infine scopre che quando viene Lui, non gli succede nessun male. Una scoperta che conforta, di fronte alla paura del nuovo e del cambiamento. Lasciamoci rovinare qualche nostra comodità, per fare spazio a Lui e a un nuovo cammino!