Mc 7,1-11
E' verissimo, quando diciamo che non sono le parole che qualificano la vita della persona, ma le sue opere. Non so se vi è mai capitato (a me sì), di seguire gli scritti di una persona che non necessariamente stimate come persona (cioè per quel che fa). E' un'arte. Da un lato quella di saper attingere del buono anche quando la persona parla bene, ma razzola male, dalle sue parole, che possono oggi essere preziose per noi. D'altra parte ci fa esercitare la pazienza e l'istintiva voglia di buttare il "bambino con l'acqua sporca"... Oscilliamo dunque tra la voglia di attingere alle cose che possono aiutare la nostra vita e l'altrettanta voglia di mandare tutto all'aria, quando vediamo le opere di chi sa parlare bene. 
E poi ci sono i farisei... che parlano bene, che soprattutto comandano bene, fanno delle pressioni efficaci... ma poi loro stessi non fanno ciò che dicono. Il problema di molti leader, qui aggravato dal fatto che le loro parole sono comandi. Questa incoerenza, così spesso messa in luce dalle generazioni più giovani, nei confronti della chiesa e chi la rappresenta oggi, ha le sue radici nella noncuranza del nostro essere. Occupiamo posti, ci prendiamo responsabilità, ci viene data fiducia e ci permettiamo di tirare fuori la nostra autorità. Ma tutto precocemente, perché prima non abbiamo curato il nostro essere, non ci siamo guardati abbastanza dentro, per vedere se siamo disposti, ma soprattutto se siamo in grado di affrontare ciò che ci tocca insieme alla responsabilità, quanto alla coerenza della vita. Perché il leader vero è quello che si sporca per primo le mani, perché sa di essere "uno tra tanti" e di essere posti lì a servire. E se, a livello dell'essere, non è disposto a servire, non deve parlare e tantomeno ricoprire degli incarichi. Questo non sempre è legato alla cattiveria o malavoglia. Spesso abbiamo semplicemente a che fare con un'incapacità a livello dell'essere. E qui si apre il famoso discorso del non prenderci il peso che va oltre la nostra persona, come pure quello sul non chiedere alle persone ciò che non possono essere. Tanto difficile, a quanto pare, conoscere se stessi e il proprio limite... Ma tanto necessario. Salvo il normale margine di debolezza che ognuno porta in sé, ogni "fare", in effetti, "fatto bene" e coerentemente, si basa su un robusto "essere". Ed è quello, per primo, da curare, ogni giorno. 

 
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