Quante volte nella nostra vita ci sentiamo addolorati e schiacciati dalla sofferenza, senza sapere come far fronte alle situazioni che ci si presentano? Certo, le difficoltà sono qualcosa che da sempre ci fa rinchiudere in noi stessi. Dietro a questo atteggiamento c'è spesso un misto di vergogna (perché la "cultura" ci dice che la sofferenza è segno di debolezza...), di sensi di colpa (perché dovremmo cavarcela da soli e non ci riusciamo), di solitudine (perché esternare un problema non sempre è immediato). Così esteriormente siamo tutti perfettini, mentre dentro piangiamo amaramente. Creiamo delle immagini, magari non usciamo di casa senza essersi sistemati perfettamente, per dare una buona impressione...ma il nostro cuore...Ci sono dei nascondigli e delle piazze nella nostra esistenza. I primi sono di solito sovrappopolati, le seconde estremamente controllate e non di rado vuote. Sono quegli spazi in cui si gioca la nostra autenticità. Ma come potremo mai essere aiutati in mezzo ai drammi che si consumano nei nostri nascondigli, se non mettiamo fuori, sulle piazze, i nostri dolori? La sapienza di chi, nel Vangelo di oggi, nei villaggi, città e campagne, depone sulle piazze i propri malati. Il Medico passa e guarisce. Così per noi. Alle volte basta un leggero tocco di una mano amica, mano di cui si serve Dio per consolarci, per sollevarci dal peso del tormento. Il cuore deve discernere il passaggio del Guaritore. Egli si aspetta di incontrare fuori i nostri bisogni, il nostro Bisogno per eccellenza, quello di essere amati, tanto ferito. Non abbiamo paura di farci vedere con ciò che ci fa male. Sia umanamente che spiritualmente parlando, questo può essere di grande beneficio. A noi la decisione di dire: eccomi qui, ti aspetto così come sono, ti aspetto fuori.
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