Inserisci le monete - digita il numero del prodotto desiderato - attendi l'erogazione del prodotto... Non c'è bisogno che stia qui a spiegare il meccanismo. Molto semplice e conosciuto a tutti. Premi e ritiri. Chiedi e ottieni. Quasi come nel Vangelo. Appunto: quasi. Perché il Vangelo, a differenza delle dinamiche dentro le quali ci ritroviamo, senza nemmeno accorgercene, parla di uno che rompe le scatole. Di notte, con insistenza, chiede. Spera, teme, accetta l'insicurezza, l'attesa, i punti interrogativi. Penso oggi al peso (= kabod, cioé gloria, nell'Antico Testamento) degli interrogativi, che appunto, rendono la nostra vita pregnante, gravida di una vita che deve nascere nella maturazione del senso delle domande. Penso al senso della fede, quella che (nell'espressione umana della fiducia), è conversione del cuore al significato dell'attesa. Non può funzionare botta e risposta. Non ci sono risposte immediate alle domande importanti. Anzi, forse già proprio questi quesiti, sono una risposta in sé. E non ci pensiamo, saltando come una farfalla da un fiorellino all'altro, cerchiamo qualcosa che tappi il buco che sorge all'improvviso. Ma non serve il tappo se sotto c'è una voragine. Anzi, finché quella voragine significa vuoto e non sottovuoto, il tappo non servirà a molto. Il vuoto infatti tende sempre ad essere riempito, il sottovuoto è libero, basta a se stesso, trova la ragion d'essere nello stare, nel rimanere, nella pazienza. Questa è la fede che che conserva il cuore unito a Dio. Forse non è una cattiva idea ad allenare il centro del nostro essere a saper riposare nelle domande, abbandonando l'ansia di ricerca delle risposte. Una Parola d'amore è stata detta sulla nostra vita. Essa saprà darci le risposte, nel momento opportuno. Nel frattempo, rimaniamo nel sottovuoto. Liberi di domandare, non lasciamoci soffocare dalle risposte.
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