Pensavo in questi giorni a tutte queste persone disperse sotto la neve. Un tragico evento li ha resi incredibilmente vicini: probabilmente nei loro cuori c'erano e ci sono gli stessi sentimenti, la stessa attesa, la stessa gioia per chi si è salvato, la stessa disperazione per chi non ce l'ha fatta (e alla lista aggiungiamo oggi le vittime dell'elicottero caduto)... con diverse sfumature, come è diversa la storia di ognuno, ma spaventosamente simili. E mi venivano in mente le parole finali della canzone di Ramazzotti "Io sono te": Siamo più uguali di quanto sembriamo, ora, dammi la tua mano. Certamente è tempo in cui dare la propria mano significa affermare la fratellanza universale. Forse per questo Gesù oggi nel Vangelo non reagisce al richiamo dei suoi che stanno fuori e lo mandano a chiamare. Invece si gira attorno e vede immediatamente chi è imparentato con Lui davvero: quanti stanno seduti con lui, cioè quanti sono presenti e dentro, anche se considerati "fuori" da quelli che, appunto, si fermano fuori. In realtà, quanto alla fratellanza, che noi a tutti i costi predichiamo e vogliamo raggiungere, non ci sarebbe nulla da costruire. La fratellanza è già dentro di noi e ciò che ci tocca fare è andare a ritrovarla e a ravvivarla. Perché la volontà di Dio è la felicità dell'uomo e coloro che la vogliono e la cercano non escludono mai gli altri. Sanno infatti che non si può esserlo "stando fuori", non c'è la felicità senza stringere la mano dell'altro.
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