giovedì 30 aprile 2020

il buco nel cuore

Gv 6,44-51

Avete presenti quelle giornate in cui uno si aggira per la casa... avrebbe voglia di qualcosa, non si sa se da mangiare o meno, insomma una sensazione che qualcosa ci manca. Sperimentiamo questo vuoto, che alle volte pensiamo sia un buco nello stomaco: avrei voglia di assaporare qualcosa, ma non so cosa... provo con una cosa, poi con l'altra, non sono soddisfatto. Sappiamo bene che l'alimentazione nella nostra vita è legata strettamente agli affetti, alle relazioni, all'amore che ci scambiamo. Spesse volte il vuoto che proviamo, il nostro gironzolare in cerca di qualcosa... ci richiama al fatto che siamo incompleti in questa vita. Che c'è una nostalgia dentro di noi, che c'è qualcosa che ci attira, ma sentiamo di non poterlo raggiungere pienamente ancora. Ce lo spiega oggi Gesù nel Vangelo. E' il Padre che ci attira a sé, attraverso quel Pane che è Gesù. Forse in molti sentiamo in quarantena la fame di quel Pane. Ecco. Lui dice di essere il Pane vivo  e che chi ne mangia, raggiungerà quella sazietà che si realizza nella vita eterna. Non c'è da scappare, se sentiamo questa inquietudine, questo buco nel cuore,  questa fame, questo desiderio. Non c'è da preoccuparsi. C'è invece da guardarla profondamente e da prendere coscienza che noi siamo davvero fatti per l'eternità, e che questa vita è veramente un passaggio per quella che è la nostra vera patria, la nostra vera realizzazione, il nostro vero compimento. Ma solo guardando con attenzione questa fame, potremo raggiungere il traguardo, come dice un canone solo la sete ci illumina, ci guida. Se scappiamo, rischiamo di andare in cerca dei surrogati, mentre non siamo chiamati a questo. Sì, è proprio questo desiderio, che ci fa andare nella direzione giusta, laddove c'è la verità del nostro essere noi stessi, nella pienezza della nostra bellezza, la bellezza con la quale ci ha creati Dio. 

martedì 28 aprile 2020

un peso per riposarsi

Mt 11,25-30


Assurdo. Invitare uno che è stanco e sfinito a riposarsi e subito dopo dirgli di prendere su di sé un peso... tuttavia è pure vero che quando noi nel nostro quotidiano torniamo a casa, e vogliamo deporre i pesi della giornata, ci togliamo i vestiti "ufficiali", ce ne mettiamo di altri: il pigiama, la vestaglia, la tuta. La vita umana è sempre rivestita. E siamo sempre noi a decidere ciò che "ci mettiamo addosso". Infatti l'invito che ci fa oggi il Signore, non è un riposo di inerzia, il non fare nulla, quello vuoto, che dà l'impressione di essere spazio di rilassamento, ma in realtà è solo un cessare di agire, con la speranza di recuperare le forze. Siamo invece invitati a rivestirci di quel peso leggero che, mentre ci permette di staccarci da ciò che ci appesantisce la vita, perché la distrae dal suo centro, cioé dall'unico punto di riferimento che è Lui. Questo tipo di distrazione, cui siamo spessissimo sottoposti, produce una stanchezza moltiplicata, una dispersione di energie,  fino a quando non ricentriamo la nostra vita sull'unico vero centro. A questo tra l'altro nel nostro cammino spirituale, serve l'esame di coscienza: per poter leggere le nostre giornate illuminando la loro lettura, col mettere al centro il faro, il peso della sua presenza, il kabod, la gloria, e riorientare tutto attorno a Lui. Allora si ritorna pure alla mitezza e all'umiltà del cuore, perché si scopre che senza di Lui non siamo/possiamo/abbiamo nulla. E anche quando ci sentiamo elefanti, come nella foto, sappiamo che è Lui che ci porta, come quel pallone aerostatico colorato e coraggioso, che con la sua leggerezza, ci rende leggeri, nella misura in cui ci lasciamo portare da Lui.

sabato 25 aprile 2020

lontano dagli occhi, vicino al cuore

Lc 24,13-35

Ancora una volta, in giro di pochi giorni, ci troviamo sulla strada di Emmaus, affianco ai due fuggitivi. 
Questa volta possiamo spostare la nostra attenzione sul momento preciso in cui loro hanno riconosciuto il Signore nello spezzare del pane. La conseguenza dell'illuminazione che vivono, è istantanea, Egli sparisce dalla loro vista. Mah, insomma, proprio quando l'hanno riconosciuto e potevano finalmente godere della sua presenza, doveva sparire? Invece è proprio così che succede anche a noi. Quando davvero incontriamo il Signore nella nostra esperienza di vita, spesso proprio nel momento di lutto e di difficoltà, egli in qualche maniera sparisce. Non si fa sentire, perlomeno non come noi vorremmo percepirlo... da un lato questo succede proprio perché Lui è Dio e non può essere inquadrato nelle nostre categorie, e nessuno lo può "possedere" del tutto in questa vita, anche se la tentazione è sempre quella. D'altra parte succede questo, nell'incontro con Lui, perché Lui passa dagli occhi, al cuore e vi prende dimora. Il vero incontro con Dio fa sì che noi cominciamo a "portarlo in giro" e non perché Lui sta appiccicato a noi, ma perché la nostra vita, il nostro cuore comincia pian piano ad assomigliare a Lui e noi... evangelizziamo. Anche senza parole. Diventiamo missionari. Con le nostre opere e con i nostri modi di stare al mondo, noi evangelizziamo tutto ciò che tocchiamo. Il cuore arde. In questo senso infatti, lontano dagli occhi, ma di certo non lontano dal cuore, anzi più vicino. Coltiviamo allora questa presenza dentro di noi. Se sai che Lui abita dentro di te, pensa: gli hai detto oggi che lo ami? Parlagli: lui ti aspetta proprio lì, lontano dagli occhi, vicino al cuore. 

venerdì 24 aprile 2020

moltiplicazione con-divisione

Gv 6,1-15

Di questo Vangelo che tutti conosciamo così bene, mi colpisce oggi il modo in cui Gesù risponde all'ansia dei discepoli. Ci sono infatti vari modi per approcciare l'emergenza. 
Anche se il brano ci riporta che la prima domanda fatta da Gesù a Filippo, era stata fatta per metterlo alla prova, è anche vero che Gesù procede con estrema chiarezza di intenti. Emergenza: mettere bene a fuoco le risorse che ci sono, cioè domandarsi da dove reperire da mangiare e in mancanza di questa possibilità, guardare ciò che c'è già. Andrea non è in grado di mantenersi in questa realtà. Immediatamente scatta la convinzione che comunque non c'è nulla da fare perché non basta lo stesso. E Gesù ritorna a fare semplici cose, una alla volta, con la logica dei piccoli passi possibili. Fateli sedere. Chiaro: se la paura è per rifornire le energie alla folla, intanto non gliele facciamo perdere. Facciamoli sedere. Dopo prendiamo quello che abbiamo e... chiediamo quello che non abbiamo. Due cose loro ce le hanno di certo, o meglio, tre. Pani, pesci e benedizione di Dio. Queste bastano per sfamare tutti. Perché noi ragioniamo poi per risorse umane, materiali, ma ci sono anche le risorse spirituali, perché sappiamo che senza di Lui non possiamo far nulla. Ed ecco Gesù fidarsi del Padre e della sua continua presenza. Il miracolo, come ben sappiamo, non avviene perché Gesù fa la benedizione dei pani e dei pesci e all'improvviso davanti a tutti queste cose si moltiplicano, crescono e bastano per tutti. Il miracolo sta nella condivisione di quello che c'è, qui ed ora. Una dimensione particolarmente importante per noi oggi, il qui ed ora. Anche nell'emergenza che stiamo vivendo, è bene che ciascuno di noi sia molto presente a se stesso e a ciò che si può condividere nell'oggettività di quello che c'è. E non si tratta solo del materiale. E' ora che ciascuno di noi metta a disposizione il suo: materiale, morale, spirituale, creatività, ecc ecc. Senza preoccupazione che sia troppo poco, perché, a scapito di ciò che calcoliamo, c'è un Economo che mette insieme tutto e lo moltiplica quando noi con-dividiamo. 

martedì 21 aprile 2020

da dove vieni? dove vai?

Gv 3,7-15 

Certo che il discorso che Gesù sta facendo a Nicodemo, può risultare ancora incomprensibile. Ed è anche legittimo che sia così. Egli infatti all'improvviso gli presenta un'entità che è completamente nuova, quella dello Spirito. E lo Spirito porta con sé una nuova logica, completamente diversa dalla logica di chi, facendo riferimento alle proprie origini, tutto vede attraverso di esse. L'uomo anzitutto fa esperienza della terra, dell'appartenenza al mondo materiale ed è per questo, specie a quei tempi, quando certe filosofie e religioni ancora non c'erano, che si percepisce in una logica lineare. Nascita - crescita - maturità - vecchiaia - morte. Non vi rientra nessuna rinascita, in questa sequenza di eventi della vita, che fanno riferimento quasi esclusivamente alla vita corporea. Ma esiste un'altra vita... ed è quella che a volte ci fa ringiovanire e altre volte ci fa diventare vecchi prima. 
Lo Spirito, dice Gesù, non sai da dove viene e dove va. A noi sembra di sapere già, appunto da dove veniamo e quindi dove andiamo, secondo la logica della sola carne. Eppure  la domanda sulle nostre origini è sempre trampolino di lancio verso la risposta o le risposte su dove realmente andiamo, che direzione prendere. Se scadessimo nella sola logica di appartenenza alla terra, non conterebbe praticamente null'altro, ma lo Spirito c'è. E ci spinge oltre questo, secondo quanto dicevamo ieri, che la rinascita dallo Spirito non conosce l'età ed è possibile sempre. In pratica cosa significa tutto questo? Che c'è sempre qualche passo in più da fare. Ma occorre avere coraggio di fermarsi a guardare negli occhi del Signore, anche quando ciò che "sentiamo" ci pare incomprensibile. E' di solito lì, che ci viene chiesto un passo in più. E questo passo può riguardare qualsiasi dimensione della nostra vita, che oggi non riusciamo ad inquadrare con le nostre logiche. 




lunedì 20 aprile 2020

la fine e l'inizio


Gv 3,1-8


Nicodemo è una figura curiosa. Va da Gesù di notte, quindi è evidente, che non vuole che si sappia che lo sta frequentando. Non avrebbe nessun senso che ci andasse, se non avesse poi dei desideri profondi, delle domande interpellanti. In fondo era un fariseo, di certo per via di questa appartenenza, non avrebbe avuto nessun bisogno di andare da Gesù, soprattutto non per un confronto. Invece lo fa, ma alla sua maniera simpatica. L'atteggiamento che assume è visibilmente distante. Dalle sue prime parole traspare che vorrebbe far finta di non volersi coinvolgere. Viene e fa un discorso di tipo: io so già chi sei tu, quindi sta' buono. Verrebbe da chiedersi: allora perché vai a trovarlo, se le prime cose che hai da dirgli sono quelle che tu "già sai" sulla sua identità e sul suo rapporto con Dio... Nicodemo di certo in parte lo sa, cosa vuole sentirsi dire, altrimenti non partirebbe in quinta, ma forse da qualche parte in fondo al cuore, c'è un desiderio della verità che egli ancora non sa chiamare per nome, perché non riesce a passare dal cervello al cuore. E infatti non appena Gesù gli parla della rinascita dall'alto, lui comincia a mettere in moto la pura razionalità, cioé è logico che un uomo anziano non può rientrare nel grembo della madre, per cui che storie sono quelle sulla rinascita? Gesù sale di gradino, lo porta su dei messaggi che parlano del mistero, gli parla dello Spirito... cose tutte certamente incomprensibili... ma questo, stranamente non scoraggia Nicodemo, come ci possiamo accorgere, scorrendo i versetti a seguire. 
Quante volte capita anche a noi ad accostarci alle persone con un'idea già ben precisa di quel che esse sono e anche delle loro capacità/incapacità/relazioni? Quante volte vogliamo racchiudere le persone nella pura logica consequenziale? Quanto poi è faticoso ammettere che la vita umana non procede per logiche e che le persone che abbiamo inquadrato in una certa maniera, non sono quello che noi pensiamo di loro e non camminano secondo le logiche che noi misuriamo con la nostra piccola mente? Ecco dunque che laddove finisce un ragionamento logico, dove esso risulta inefficace, inizia la rinascita. Perché è lì che permettiamo al mistero di Dio e dell'uomo a manifestarsi liberamente. Così può rinascere la persona che abbiamo davanti ma possiamo rinascere anche noi, con occhi nuovi. E non ci sono i limiti di età. Qualcuno dice che ciò che per il bruco è la fine del mondo (la fine effettiva della sua vita) è l'inizio della vita di una bellissima farfalla. Dunque, coraggio, dobbiamo dire a Nicodemo che siamo: nessuno è troppo anziano per rinascere. Perché la salvezza, quella che Dio ci offre, ma anche quella che ci possiamo offrire reciprocamente, non conosce l'età.


sabato 18 aprile 2020

sfidare la durezza

Mc 16,9-15


Gesù è risorto. Tutto chiaro ora no? La tomba è vuota, lui si aggira in mezzo alla gente, apparendo di qua e di là... eppure no! Ancora non sembra tanto chiaro. Tant'è vero che in 6 versetti del Vangelo di oggi, tra volte si parla dell'incredulità. E' la solita capa dura, che riguarda ogni essere umano. Oppure, detto in parole erudite, è la sclerocardia, quindi non tanto capa, quanto cuore. Sorrido dentro di me, pensando a tutte quelle volte che Lui stesso, prima della passione e della morte, chiese ai suoi discepoli, compiendo dei segni "ancora non avete compreso?". Ebbene, ora che è tornato in vita, pare che ancora non abbiano capito. E' la durezza del cuore che non permette di credere, nemmeno di fronte alle evidenze. Dobbiamo ammetterlo, noi abbiamo attribuito l'incredulità a Tommaso, però sembra che egli abbia avuto un bel po' di compagni... e ci siamo senz'altro anche noi. Da cosa è data la mancanza della fede o/e della fiducia? Tornando a guardare il nostro quotidiano, tante possono esserne le cause. Spesso non si crede perché siamo dei razionalisti e quindi se non ci sono prove matematiche, non tornano i conti, non può essere vero. Altre volte non crediamo, perché in realtà abbiamo vissuto molte delusioni nella vita e, essendo tendenzialmente idealisti, perdiamo la fiducia e non la diamo facilmente, per non essere feriti di nuovo. Poi c'è la mancanza di fede che viene dall'insicurezza. Perché ciò che oltrepassa i dati della logica, ci mette a contatto con una cosa inaspettata e imprevista e potremmo non essere proprio dei maestri nel gestire queste dimensioni. Oppure queste (e altre) cause si abbinano i noi a seconda dei tempi e delle circostanza. Una cosa è certa. La Pasqua è l'evento che più di tutti ci chiede di sfidare la durezza del cuore, che causa l'incredulità. Perché Dio può ogni cosa, se solo l'uomo glielo permette. E quando davvero sembra non ci siano più speranze, c'è la risurrezione. Oppure, dove veramente non sappiamo come fare, ci dice la Scrittura, si ricorre alla preghiera e la digiuno (cf Mt 17,21 e... non necessariamente digiuno inteso come quello dal cibo). Allora ecco, alle porte della Domenica della Misericordia, forse il Signore ci chiede di andare dentro di noi o/e di scrutare anche nella nostra vita relazionale, quelle zone di durezza che ognuno di noi porta in/con sé. E di sfidarle. Sarà un buon modo per chiedere che si riversi su di noi la misericordia, quando sapremo indicare: ne ho bisogno qui e qui, questi i luoghi della mia debolezza. Perché sappiamo che ciò che è più duro, è atrofizzato e spesso è anche più fragile, mentre di certo le nostre sclerocardie, sono zone di fragilità. Guardiamole in faccia, sarà già un primo passo importante per celebrare ancora la Pasqua. 







venerdì 17 aprile 2020

dalla parte fragile

Gv 21,1-14

La solita storia. Tu ti sforzi in tutti i modi, ci metti ore, impegno, sudore e magari anche lacrime. Non ci riesci. E poi arriva il tuttologo. "Come mai non ci riesci?" E viene la voglia di prenderlo a schiaffi o mandarlo a quel paese. Mettere il dito nella piaga, è esattamente ciò che Gesù fa a Pietro e ai suoi compagni pescatori. Arriva, si direbbe, dopo che gli altri hanno faticato, a vedere cosa gli danno da mangiare. Succede, anche nelle migliori famiglie! Tuttavia Gesù, come lo conosciamo, non è esattamente uno che cerca di riempirsi la pancia, magari umiliando pure chi non gli porta nulla da mettere in tavola. In effetti per i pescatori, se non portano nulla dopo una lunga fatica notturna, è un fallimento importante. E' in gioco la vita. Non peschi? Non mangi. Ecco, come tante famiglie oggi in cui improvvisamente non si lavora. Non lavori, non mangia la tua famiglia. Per non contare cosa succede dentro a colui cui unico mestiere, l'unica cosa che davvero sa fare, è proprio questo. E tira remi in barca (figurativamente ma anche alla lettera) dopo un'intera notte di ricerche. Cosa vuoi Gesù? Perché ancora sottolinei quello che già è una vergogna e una sconfitta? Il cibo è aggregazione, è riunione, è gioia, è condivisione, è sentirsi al sicuro. è creare famiglia (e ne sappiamo qualcosa noi che in quarantena cuciniamo e sforniamo talmente tanto da far sparire dal mercato il lievito!). Il testo greco parla addirittura di companatico. Se non c'è il pesce da mettere in mezzo al pane... resta solo il pane, senza granché di sapore... c'è da accontentarsi. Si mangia in silenzio e nella tristezza. Ecco, Gesù sottolinea che sta venendo il meno il sapore, il gusto della vita. E allora occorre prendere una decisione. Occorre essere disposti a cambiare rotta. Se non c'è, dopo tanto impegno e tanta fatica, la gioia, la serenità, si deve passare dall'altra parte, gettare le reti appunto dall'altro lato. Chissà quali benedizioni gli mandavano in cuor loro i pescatori, che si sentivano dire, da professionisti del mestiere, quali erano, questo tipo di baggianate, da uno che non solo non era pescatore, ma non ne sapeva proprio nulla, dato che il suo padre era addirittura falegname... Gettare le reti dalla parte fragile, quella che di pesci non ne porta sicuramente, quella assurda, perché non sapevano usare bene le braccia per gettare la rete da quel lato, erano abituati al contrario... ma, ancora, sulla paura di "essere finiti", falliti, prevale la fiducia nelle parole del Signore. Perché sì, evidentemente si fidano molto di lui. Ed è altrettanto ovvio, che il contrario della paura non è un coraggio astratto, come idea, ma è proprio fiducia, che poi genera il coraggio di passare dal lato fragile, di buttarsi lì, dove non avremmo mai pensato di buttarci, magari ancora di passare in quella zona da cui da tempo scappiamo. Sì, occorre farlo, perché ciò che di grande si realizza, come questa pesca miracolosa, non viene da noi, ma da Lui, senza cui "non possiamo far nulla". 

giovedì 16 aprile 2020

donne e uomini della risurrezione

Lc 24,35-48

Oggi non posso far a meno dell'immaginarmi gli occhi dei protagonisti del Vangelo. I due, ritornati da Emmaus, con gli occhi ormai illuminati, da quando l'hanno riconosciuto, mentre spezzava il pane. Occhi spalancati per lo stupore e probabilmente anche per l'incredulità mista alla paura, all'apparire di Gesù. Occhi illuminati di gioia, quando capirono che era veramente lui. E chissà... forse anche occhi pieni di lacrime, per la commozione, per la gratitudine, per aver capito che la morte è vinta, davvero! Infine, le parole chiave: di questo voi siete testimoni! Le parole chiave che oggi vengono dette proprio a me e a te. Siamo noi quegli inviati ad essere testimoni della Pasqua, della risurrezione, testimoni della vita che trionfa su tutto. Ciò non significa, che saremo privi di sofferenza, di paura, di preoccupazione... ciò significa che dentro di noi può fiorire l'evento che va oltre e supera tutto questo. Noi sappiamo riconoscere immediatamente, guardando gli occhi delle persone, cosa stanno vivendo, cosa affiora nel loro cuore. E conosciamo quegli sguardi, anche tristi e addolorati, ma pieni di luce. Questo esattamente è lo sguardo di donna e uomo della risurrezione. Non sguardo di chi vuole banalizzare le difficoltà della vita, ma di chi è inviato ad essere testimone. E' lo stesso sguardo che, dopo aver visto il Risorto, nell'esperienza di incontro intimo con Cristo, saprà vedere la sua presenza dovunque, senza avere stretta necessità di cercarlo solo in chiesa o nei contesti religiosi. Donne e uomini della risurrezione, illuminano il mondo, perché vi portano lo sguardo illuminato dalla sua Pasqua e attraverso di esso, vedono i germi di bene seminati nei solchi della storia. 
Per fare questo, ancora oggi e tutti i giorni, siamo chiamati a ritornare con il nostro cuore, all'evento dell'incontro con Lui, di quando lui è apparso vivo e vivente dentro di noi, quando ci ha cambiato la vita. Sarà successo una volta, più volte... sarà successo molto tempo fa, o poco, ci ridona la vita e la luce. A noi e agli altri. Vale la pena dunque, ricordarselo, perché è principio della nostra vocazione di cristiani. 

martedì 7 aprile 2020

amico nemico

Gv 13,21-38 

Sicuramente a ciascuno di noi è capitato nella vita di dover stare accanto, alla stessa tavola, a lavorare, nella stessa casa, con una persona di cui sapevamo che non era sincera nei nostri confronti. Poteva essere una persona che sparlava di noi dietro le nostre spalle, poteva essere qualcuno che inavvertitamente faceva delle cose che ci facevano male. Ma l'importante è che tu stavi lì accanto, senza poter andare via, dovendo anche fare finta di non sapere nulla o di non essere condizionato/a da questa presenza. Fa male, crea disagio, fa gustare fino in fondo l'amarezza, ci occupa i pensieri e i sentimenti, tanto, che delle volte diventiamo inefficienti in quel che facciamo, perché appunto i nostri "dispositivi interiori" sono occupati in altro. Nulla di strano e nulla di peccaminoso. Siamo fatti così. E... è capitato anche al Figlio di Dio. Il racconto di Giovanni di oggi, sebbene metta una certa enfasi sulla presenza del primo traditore, colui che avrebbe venduto Gesù per pochi soldi, ci fa vedere anche il secondo traditore, quello stesso che era uno dei più grandi amici del Signore. Qual è la delusione più grande? Essere traditi da Giuda o da Pietro? Il fatto sta che l'ultima cena, quella più importante, quella ce si fa con gli amici per dire addio, Gesù l'ha condiviso con due traditori...e senza poter allungare le distanze. Si, perché l'uomo è fatto così. Quando entra in conflitto o in tensione con l'altro, ha bisogno di allargare lo spazio. E' per questo che dopo aver litigato noi ci allontaniamo l'uno dall'altro, sempre, anche se dovesse essere solo per pochi minuti. Abbiamo bisogno di incontrare noi stessi, prima di riavvicinarci all'altro. Qui non c'è tempo né spazio per questo. Due traditori da cui non si scappa, come Gesù non scappa dalla sua passione. 
Anche noi in questo tempo viviamo distanze molto accorciate. Forse tante tensioni sulle quali non abbiamo modo di respirare e che diventano fonte di stress per la nostra vita in quarantena. Forse è tempo di rinnovato perdono, di definire le nostre relazioni con più cura. Sappiamo bene, quanto è veloce il passaggio da amico a nemico... esattamente la cosa che è capitata a Gesù. Perdonare chi sta accanto a te e mangia con te, sapendo che ti ha tradito. Non spegnere il lucignolo fumigante nemmeno in chi non si rende conto che sta per tradire, come Pietro, che dichiara che avrebbe dato la vita per Lui. Gesù non gli dice: figurati che fesserie stai dicendo. No, lui sa che l'uomo perdonato può essere ancora amico, sa che Pietro davvero darà la sua vita per lui, perché toccherà con la mano il perdono. Ed è spesso qui che sta la differenza tra amico e nemico. Nemico può essere uno che mi sembrava amico fino a ieri, basta una cosa che ci divide. Ma amico, amico vero, non superficiale, è sempre quello che sa il sapore del perdono, il sapore dell'umanità che mentre ha bisogno di essere accolta, ha consapevolezza di essere sempre imperfetta e sempre, potenzialmente capace di non essere all'altezza delle attese dell'altro. Allora il perdono e la misericordia nascono proprio da qui: dalla continua consapevolezza che le persone con cui abbiamo a che fare sono imperfette come noi. E che, come noi vanno amate proprio così come sono. 





lunedì 6 aprile 2020

spreca senza spiegare

Gv 12,1-11


Ci vuole veramente un bel coraggio per sprecare. Sia in negativo sia in positivo. Viviamo nei tempi in cui si cerca di ridurre qualsiasi spreco, ma allo stesso tempo per farlo, si continua a sprecare altre cose. Nel frattempo c'è chi spreca e c'è chi non ha nemmeno le quantità di cose sufficienti per vivere. 
Tuttavia, è vero. Nessuno di noi prende un profumo magari appena acquistato e se lo versa tutto addosso, oppure lo versa tutto addosso a qualcun altro. Non si fa. Non si fa perché è spreco, perché costa, non si fa perché il profumo forte dà fastidio. Non appena, inavvertitamente, se ne versa un po' di più, occorre giustificarsi. E poi si presenta Maria, una vera folle, e versa il profumo sui piedi di Gesù. In una quantità tale che l'aroma riempie tutta la casa. Folle proprio. Vi sembra il caso, a pranzo poi??? Ebbene, non ha tutti i torti Giuda, guardando superficialmente, senza farci caso che lui aveva dei secondi fini nel porre la domanda. Perché non venderlo e non darlo ai poveri? Sarebbero parecchi soldi. Ma mi piace invertire la domanda. Perché non sprecare un po', riconoscendoci noi come veri poveri, protagonisti di questa settimana santa? Maria infatti non si giustifica davanti alla domanda che le viene posta. Sa che, facendo ciò che fa, si porterà addosso questo profumo, destinato al suo Signore. Sa che ciò che è sprecato per Lui, andrà a suo stesso beneficio. E ovviamente non parliamo del valore economico, ma scendiamo un po' più in profondità. Cosa ci dice oggi Maria? Qual è quel bene prezioso che in questi giorni, prima della Pasqua, possiamo "sprecare" per il Signore, nella consapevolezza che senza di Lui non possiamo e non abbiamo nulla? Forse sarà un po' del nostro tempo, pur a distanza, forse qualcos'altro... Ognuno trovi la propria risposta. Una cosa è certa: possiamo sprecare senza dare spiegazioni, per ravvivare questa relazione, che, se viene meno, fa vacillare la nostra vita. E anche se di certo potremmo trovare tante altre "soluzioni" efficientiste e giustificatrici, forse questi sono i giorni opportuni per permetterci di vivere la nostra povertà e il nostro essere bisognosi di Dio. Questo non andrà mai a nostro svantaggio, ma contribuirà alla diffusione di un profumo, nella nostra vita e a quegli incroci che le nostre relazioni segnano tutti i giorni. Tutto affinché la Pasqua possa portarci a far crescere un mondo "più profumato". 


giovedì 2 aprile 2020

fermarsi o proseguire?

Gv 8,51-59 

Andiamo ancora avanti con lo stesso passo del Vangelo. Sembra che ciò che sottolineavamo ieri, cioé un viaggiare su due binari paralleli, si stia solo accentuando, rendendo impossibile non solo ormai un dialogo, ma anche una serena conclusione del discorso. Così pare quando leggiamo la frase finale. Sono arrivati talmente all'estremo, che non vedono come risolvere la discussione, se non ammazzando direttamente Gesù, lapidandolo. Cioé la tensione si è trasformata nella violenza. Ma non è esattamente colpa della tensione, la violenza che ne deriva... la tensione in una corda si crea, perché ci sono le due estremità che restano attaccate a due appigli i quali improvvisamente si allontanano l'uno dall'altro, o uno per qualche motivo prende vantaggio sull'altro. E' la corda che ne risente. Così Gesù continua il suo discorso sulla continuità tra Abramo e lui, cioé tra l'Antico e il Nuovo Testamento, detto "scientificamente". Mentre chi lo accusa, resta radicato e fissato nella... morte. Nella propria convinzione e idea, che partono da una morte. Non ci toccare Abramo perché lui era nostro padre ed è morto! Quella morte che un essere umano nel suo intimo sempre rifiuta o vuole allontanare, all'improvviso diventa un'ancora! Assurdo, ma vero. 
Ovviamente, il dialogo riportato da Giovanni, si svolge prima della Pasqua e nessuno può avere idea del fatto che siamo destinati all'eternità e che dopo la morte corporale c'è una vita che poi coinvolgerà anche il nostro corpo. Tuttavia qui si cela un'altra convinzione pericolosa. E cioè che andare oltre la morte, sia una cosa sbagliata. Infatti sono scandalizzati, perché Gesù gli fa notare che forse oltre la morte di Abramo c'è qualcuno che ancora ha qualcosa da dire loro. E che si potrebbe scoprire che abbia qualcosa da dire a partire dall'esempio di Abramo e per immettere nelle loro mentalità qualche proposta nuova. Dunque fa molto pensare tutto questo alla nostra vita e alle nostre idee fisse. Quante di loro sono espressione della nostra sana umanità radicata in un sano equilibrio? Quante e quali invece sono frutti della fissazione in una "morte"? Cioé: "è successo così e oltre questo non ci muoviamo" oppure "si è sempre fatto così", senza darsi possibilità di crescere, guardando indietro ad ogni "Abramo" che ci ha preceduti, ma dandoci la possibilità di crescere, di evolverci. Questo vale per ciò che possiamo permettere a noi stessi e anche agli altri. Dare il permesso a noi stessi ad andare oltre una vecchia abitudine che rende la nostra vita stantia, fa spesso bene al nostro cuore e alla nostra mente. Ma fare lo stesso con l'altro, permettendoci a lasciare i nostri giudizi ormai super radicati, sulle altre persone perché "si sa che lei/lui è così", significa liberare se stessi da un'immagine che ci costruiamo e liberare gli altri dalle prigioni che abbiamo creato a loro, forse a partire da delle esperienze oggettive, ma di certo chiudendo agli altri la strada affinché possano cambiare. Perché, si sa, le persone e le nostre relazioni cambiano, quando permettiamo a noi stessi e ad altri di cambiare. A noi questa scelta coraggiosa, di non fermarci sulla "morte", ma proseguire verso la vita nuova.