Oggi è la festa di san Massimiliano Kolbe. E mentre nel mio cuore ripercorro il suo messaggio pieno di vitalità e di amore a Dio e al mondo mi viene in mente un episodio di parecchi anni fa. In un campo estivo con i giovani che seguono la spiritualità di Kolbe, oppure che si vogliono accostare ad essa, dopo la giornata dedicata al transito del Santo di Auschwitz, una giovane, cui ero animatrice allora, andò in crisi. Abbiamo trascorso quasi tutta la notte a parlare, perché improvvisamente a lei parve assurdo il gesto estremo di amore compiuto da Massimiliano quel giorno in cui si offrì per morire a posto di un padre di famiglia. La giovane continuava a ripetere che ha un grosso dubbio: che forse lui era stremato dal dolore e in questa maniera voleva farla finita ed era il modo più "consone" a quelle condizioni. Continuava anche a chiedermi come potessi essere convinta che non era così. Quel che non comprendeva era il passaggio di cui Giovanni Paolo II ha gridato scandendo le parole, nell'omelia della canonizzazione di Kolbe, che egli non morì ma diede la vita. Un passaggio fondamentale che non è avvenuto solo in quel momento della sua vita, ma che ha accompagnato tutta la sua esistenza, mentre faceva esperienza, come disse lui stesso, che solo l'amore crea. Morire dunque, riflettevamo quella notte con la ragazza dubbiosa, significa interrompere, significa annientare, cancellare, significa non essere più. Mentre dare la vita significa il massimo della libertà umana: prendere in mano la propria vita e farne un regalo all'altro, cioé continuare a vivere, nel dono, essere ed esserci ancora. E anche noi, quella notte eravamo lì a chiacchierare su queste cose importanti, proprio come frutto della sua vita donata. Solo l'amore poteva spingere Kolbe a fare ciò che fece. Tanto da creare una "novità" inaudita, da avere coraggio di uscire dalle file dei prigionieri, senza la paura di perdere la vita all'istante, come sarebbe dovuto succedere, dato che nessuno di loro poteva fare nemmeno un cenno. Tante sono le testimonianze sugli ultimi giorni di Massimiliano nella cella del bunker della fame, tanti i testimoni della vita che egli irraggiava anche in quelle condizioni della massima umiliazione dell'umanità. Lui ha amato ed ha creato fino all'ultimo. La sua vita donata a Dio quotidianamente e donata ad Auschwitz, fece nascere altre vite, tante altre, diede un senso a molti di noi, che cerchiamo nel nostro piccolo, di seguirlo. Dio stesso si preoccupò affinché il suo creare non trovasse limite nella sua vita terrena, ma che potesse continuare a creare anche nel momento della morte e molto, molto dopo. Ho capito, mi disse infine la ragazza, la differenza tra volerla fare finita e il dono che fece di sé padre Kolbe. La differenza sta nell'amore. Il risultato apparentemente è lo stesso, ma dai frutti si riconosce quanto abbia amato. Sì, anche questa è creatività, perché contribuisce alla diffusione della vita nel mondo.
Abbiamo dormito solo due ore, quella notte. Ma lei si è svegliata con un nuovo senso di libertà nel cuore. Con la consapevolezza che l'opera creatrice di Dio che ama, non ha barriere. E che davvero, l'amore che crea va molto oltre ciò che possiamo immaginare. E compie tutto ciò che vuole.
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