domenica 30 agosto 2020

andare avanti o dietro?

Mt 16,21-27

Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso...Quale se stesso e perché rinnegarlo? Forse: rinneghi quel se stesso che per tutta una vita si è costruito facendo il bravo, quel se stesso sempre pronto alla minuziosa osservanza delle regole della perfezione e...affannato per un qualcosa che Dio non gli chiede e che non appartiene alla natura e alla dignità dell'Incarnazione. Rinneghi tutto quel peso di un "sé" che ha imparato, ma che non è il suo vero "se stesso". Prenda la sua croce, quella che può essere per lui la vittoria proprio perché svela senza sovrastrutture, ma nell'invito all'amore gratuito e disinteressato, tutto ciò che egli è. Quella croce che armoniosamente "incrocia" la relazione con Dio e con l'altro, quella autentica. Mi segua. Semplicemente muova i piedi in quella direzione che dice "verso te stesso, verso Dio". Perché Lui non ha bisogno della nostra perfezione, del nostro essere truccato o artificiale. Perché Lui ci ama così come siamo e vede in noi ciò che saremo, se lo seguiremo. Se andremo dietro a Lui, per andare avanti nella vita vera.

giovedì 27 agosto 2020

olio extra-vergini

Mt 25,1-13

Ogni volta che lo si legge, il Vangelo di oggi suscita qualche perplessità o al limite si presta a qualche distorsione...
'Ste disgraziate di vergini che avevano la scorta dell'olio, non potevano condividerlo con quelle poverette a cui ne era mancato??? Non sarebbe stato un gesto di fraternità, di gioia condivisa, di aiuto fraterno, di accompagnamento reciproco incontro al Signore? Boh... Perché viene lodato l'atteggiamento di quelle che si tengono il loro olio e non ne danno ad altre? 
Occorre andare al nocciolo della questione. Fondamentalmente non ci sono differenze tra le prime 5 e le altre 5. Nessuna differenza, tranne quel piccolo vasetto d'olio, riserva di sostanza che è substrato per l'incontro vitale con lo Sposo. Mentre penso a questa scena, mi viene inevitabile in mente la frase di san Massimiliano Kolbe, che diceva che la sorgente della felicità sta dentro l'uomo, non fuori, un po' alludendo a ciò che già Agostino, cui festa ricorre oggi, diceva Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.
Proprio per questo le 5 vergini stolte non possono incontrare lo Sposo. O meglio, non si danno da sole la possibilità di vederlo, di vivere con Lui, perché non hanno l'olio. L'olio è quella felicità dell'incontro costante con Lui, che non dipende dai nostri compagni di viaggio, di chi si trova accanto a me in questo momento, chiunque esso sia, anche l'amico più grande. E' qualcosa che sgorga dalla mia intimità e che mi tiene attaccato a Dio e grato per ogni occasione per incontrarlo. Ora se uno ha trovato dentro di sé questa felicità, non può dimenticarsi l'olio. E non può nemmeno pretenderlo dagli altri. Perché tutto ciò che umanamente preteso dall'altro, finisce presto e distorce quella che è la felicità stessa, cioé una condizione permanente sia nella gioia del momento, sia nella tristezza. Come dire: non potevano veramente le vergini stolte "spremere" le loro colleghe (ed estrarre da loro l'olio, per dire così, farne un olio extra-vergini) per attingere da loro. Sarebbe fare parassiti sulla felicità altrui, credendo che questa possa venire da fuori. Si, la gioia contagia, la felicità pure, per cui io vedendo una persona felice posso andare alla scoperta di felicità, ma quella viene sempre dal di dentro di me.

martedì 25 agosto 2020

quanto vedi?

Mt 23,23-26

In questi giorni ascoltiamo il racconto di Matteo di quanto Gesù si incavolava con i farisei e gli scribi. Bisogna ammetterlo: gliele dice proprio tutte, in faccia, e non come filosofie e come sue teorie, ma a partire dai fatti, dalle loro azioni quotidiane. Guide cieche, questo è il nome con cui li chiama. Terribile come affermazione. Perché se una guida è cieca e ha accanto a sé persone che si fidano di essa... si tratta ovviamente di una cecità strana. Non è detto che sia una totale cecità interiore. La domanda da porre loro è: quanto realmente vedi? Perché se tu non vedi te stesso e la tua incoerenza, quanto chiaramente potrai vedere nell'altro? Oppure se tu vedi in superficie, quanto sei realmente una guida? Ci viene comunque in aiuto il santo di oggi: Agostino. Avido ricercatore di Dio, dopo la conversione, inquieto ricercatore di felicità, da sempre. Questa ricerca lo porta a passare dalla superficie in profondità. In effetti, egli stesso dice: hai brillato e la tua luce ha vinto la mia cecità. Così, Agostino, quando elogia il creato, dice che la sua bellezza porta al Creatore: se ti allieta la bellezza, cosa è più bello di colui che ha fatto le creature? 
Ecco una guida che ci vede. Una guida che oltre a ciò che è in superficie, percepibile anche con gli occhi del corpo, vede Dio. Una guida che ha vissuto prima la propria trasformazione interiore, che ha accolto la Luce, per poter guidare gli altri, come sant'Agostino fa con noi fino ad oggi. Che con molte delle sue affermazioni rovescia la nostra prospettiva e fa esattamente ciò che Gesù oggi ci chiede: ci porta a guardare e controllare l'interno del bicchiere e non solo l'esterno ed, eventualmente pulirlo. 
Da ricordare che questo discorso non vale solo per le cosiddette "guide spirituali" o in generale per le persone chiamate ad essere a capo di qualcosa... tutti noi, essendo in relazione, possiamo essere per l'altro o guida o pietra d'inciampo. O portarlo in profondità o portarlo (o mantenerlo) in superficie. A noi la scelta per noi stessi che poi diventerà scelta per la qualità del nostro stare con gli altri. 

venerdì 21 agosto 2020

una partita a tre


Mt 22,34-40

Avete mai giocato una partita, ad esempio di calcio, a tre squadre? Forse capita, giocando due squadre alla volta, come nelle qualificazioni dei campionati ecc. Ma la differenza sta nel fatto che in questo caso si sa contro chi si gioca. Nel Vangelo di oggi abbiamo una competizione a tre, ma non del tutto consapevole. Il brano si apre con il richiamo del fatto che Gesù, con un suo intervento, ha chiuso la bocca ai sadducei. Dunque, 1-0 per Gesù. Ora ci provano i farisei. Lo fanno contro Gesù o contro i sadducei? Sappiamo delle differenze tra le due sette, farisei e sadducei, sappiamo della competizione. Ma sappiamo pure che Gesù stava scomodo a tutt'e due i gruppi. E, come spesso in questi casi, quando c'è un nemico comune, ci si unisce. Triste, se pensiamo che è il male che diventa il collante tra loro. Ma, ecco che l'attacco dei farisei viene respinto e sembra che Gesù gli stia facendo un gol. Ma non basta: è Lui che riprende in mano la situazione, nei versi seguenti. E non solo conferma che è Lui quello vincente, ma aggiunge un altro gol. 
Ora tutto questo discorso "sportivo" a cosa ci serve? A pensare che la nostra vita di fede e di relazione con Dio, non è un gioco, in cui qualcuno deve arrivare a un risultato, quasi fare un gol a Dio e costringerlo a giocare a nostro favore. I farisei e i sadducei si inventano delle strategie, per far sbagliare a Gesù, per coglierlo in fallo. Dimenticano che la moneta di Gesù è la gratuità ed è precisamente per questo che lui riconduce il tutto ad un'unica fonte e culmine, che è l'amore. D'altronde è proprio per questo che i due schieramenti si trovano confusi e disorientati: è un risultato che non conoscevano. Sono stati sconfitti da uno che non ci è stato al loro gioco, non conosceva le loro regole e i loro schemi. In poche parole sono stati sconfitti dall'amore gratuito, cosa che ora ancora non comprendono, ma comprenderanno più avanti, quando questo "ingenuo" non sfuggirà nemmeno dalla croce, per dar loro prova di questo amore, che disarma tutto e tutti, che abbatte le competizioni, che rende tutti fratelli, livellando le differenze, che innescano appunto i meccanismi competitivi. Questa partita a tre finisce con la vittoria dell'amore e lascia interdetto il desiderio di dominare. Al di là del fatto che lo capiscano o no, è una partita vincente per tutti. 
 

mercoledì 19 agosto 2020

il coraggio di domandare

 



Mt 20,1-16

Fa sorridere il brano del Vangelo di oggi, perché somiglia tanto, ma tantissimo alle scene della nostra vita quotidiana. Litigi, malcontenti, rabbie, ecc, solo perché qualcuno ha ricevuto quanto noi, mentre "non lo meritava". Ci sono tanti padri, signori e padroni che sono autorizzati a fare delle loro cose ciò che piace a loro, e distribuiscono come pare a loro. E non stiamo parlando di certo del lavoro retribuito, del denaro in senso stretto. Le relazioni umane hanno una loro moneta ed è l'affetto. Nello stabilirsi di una relazione, col tempo si stabilisce anche uno scambio, una quantità delle espressioni di affetto che dipendono da tante e tanto complesse dinamiche personali e interpersonali. Eppure spesso scatta il senso di essere trattati ingiustamente, perché qualcuno dedica a noi meno attenzione, tempo, affetto (almeno per come giudichiamo noi), che ad altri. Questo sentimento in sé non è negativo, è ovvio che la nostra vita funziona per affetti e che vogliamo essere amati e saperlo. E' ovvio che domandiamo amore e ce lo aspettiamo. O forse è proprio qui il punto su cui riflettere? Il non sentirsi visti e amati da qualcuno, specie se scatta nel paragonare le proprie relazioni con quelle instaurate dagli altri, spesso è risultato di un errore di fondo. La domanda, per correggere l'errore, è: quanto coraggio ho di dimostrarmi bisognoso di affetto e di chiedere un certo tipo di relazioni? Quanto siamo realmente capaci di dialogare sulle relazioni che instauriamo, dirci i lati deboli e i lati forti di esse? Quanto invece silenziosamente aspettiamo che ci venga dato quel che ci aspettiamo noi, senza dire nulla, per poi borbottare, perché non riceviamo quel che ci aspettiamo o perché "gli altri prendono di più anche se non lo meritano"? Ognuno di noi ha esigenze relazionali diverse, ma nessuno di noi ha il diritto di esigere che l'altro indovini i suoi bisogni. Perché la vita è fatta esattamente così: alle volte di indovina, altre volte no. In più l'eccessivo dover indovinare, la poca chiarezza, porta alle dipendenze tra persone. Ognuno di noi invece, nel dispensare l'affetto, è libero di far come crede meglio per sé e per gli altri, specie finché nessuno gli comunica dei bisogni particolari. Cercare l'affetto e averne bisogno è cosa normale, finché non è infantile o esclusivista. 
Occorrono due cose: il coraggio di domandare,  e la libertà interiore di accettare la risposta libera dell'altro. Queste due portano al dialogo e alla crescita di qualsiasi relazione. Oggi il Signore ci insegna che le nostre misure non solo non sono le sue, ma che non sono nemmeno quelle degli altri. Lui non risparmia mai sull'amore, ma ne dona a ciascuno individualmente, perché non ci ama come massa, ma come singole persone, vestendoci in ogni momento della sua misericordia che è generosità e chiarezza. Possiamo anche noi crescere per essere sempre più simili a Lui: amando tutti, senza discriminare nessuno. Le due facce della medaglia vanno insieme: il primo è lo sforzo di essere come Dio, per non negare l'amore a nessuno, ma trattare ogni nostro prossimo con l'attenzione che chiede e che fa bene alla relazione; il secondo è il coraggio di domandare, per la nostra relazione personale, senza fare paragoni con gli altri. 

lunedì 17 agosto 2020

la vera domanda del cercatore

Mt 19, 16-22

L'esito dell'episodio che oggi ci racconta l'evangelista Matteo, sia piuttosto triste e noi siamo sempre abituati a vederlo a partire da quello che il giovane in questione NON ha fatto/capito/compiuto ecc. Tuttavia c'è una luce a mio avviso molto importante in questo brano, quella luce che è arrivata in realtà ad illuminare la vita del ragazzo. E' la seconda domanda che egli pone. E' la verbalizzazione di quello che veramente "disturba" la sua esistenza. Non è la questione del "fare qualcosa di buono". Infatti Gesù risponde con molta immediatezza e senza scendere nei particolari. E subito dopo arriva la vera domanda "che altro mi manca?".
Quando tu percepisci, nella tua ricerca, una mancanza che non sai ben definire, non è detto che tu debba farti dei viaggi mentali o degli sforzi di introspezione per ottenere la risposta.  Questo sarebbe rimanere sempre al livello: "io mi chiedo cosa devo fare". Il salto in più, salto di qualità della tua domanda invece è quando tu chiedi a Lui cos'è che realmente ti manca. Lui ti darà la risposta, come fece con il giovane ricco. Oppure... potresti scoprire che è Lui la risposta...

sabato 15 agosto 2020

donna tutta intera

Il bambino sussulta nel corpo di Maria, la sua anima magnifica Dio... E' la festa dell'Assunta... ma è anche festa della donna tutta intera, perché sia l'anima che il corpo di Maria sono quella bellezza che è desiderio di Dio...
Chiediamo la grazia, soprattutto per le donne, di vivere la propria corporeità come evento più bello e più celebrativo dello spirito, nella comprensione che l'uomo è un'unità meravigliosa!

venerdì 14 agosto 2020

creare senza limiti

Oggi è la festa di san Massimiliano Kolbe. E mentre nel mio cuore ripercorro il suo messaggio pieno di vitalità e di amore a Dio e al mondo mi viene in mente un episodio di parecchi anni fa. In un campo estivo con i giovani che seguono la spiritualità di Kolbe, oppure che si vogliono accostare ad essa, dopo la giornata dedicata al transito del Santo di Auschwitz, una giovane, cui ero animatrice allora, andò in crisi. Abbiamo trascorso quasi tutta la notte a parlare, perché improvvisamente a lei parve assurdo il gesto estremo di amore compiuto da Massimiliano quel giorno in cui si offrì per morire a posto di un padre di famiglia. La giovane continuava a ripetere che ha un grosso dubbio: che forse lui era stremato dal dolore e in questa maniera voleva farla finita ed era il modo più "consone" a quelle condizioni. Continuava anche a chiedermi come potessi essere convinta che non era così. Quel che non comprendeva era il passaggio di cui Giovanni Paolo II ha gridato scandendo le parole, nell'omelia della canonizzazione di Kolbe, che egli non morì ma diede la vita. Un passaggio fondamentale che non è avvenuto solo in quel momento della sua vita, ma che ha accompagnato tutta la sua esistenza, mentre faceva esperienza, come disse lui stesso, che solo l'amore crea. Morire dunque, riflettevamo quella notte con la ragazza dubbiosa, significa interrompere, significa annientare, cancellare, significa non essere più. Mentre dare la vita significa il massimo della libertà umana: prendere in mano la propria vita e farne un regalo all'altro, cioé continuare a vivere, nel dono, essere ed esserci ancora. E anche noi, quella notte eravamo lì a chiacchierare su queste cose importanti, proprio come frutto della sua vita donata. Solo l'amore poteva spingere Kolbe a fare ciò che fece. Tanto da creare una "novità" inaudita, da avere coraggio di uscire dalle file dei prigionieri, senza la paura di perdere la vita all'istante, come sarebbe dovuto succedere, dato che nessuno di loro poteva fare nemmeno un cenno. Tante sono le testimonianze sugli ultimi giorni di Massimiliano nella cella del bunker della fame, tanti i testimoni della vita che egli irraggiava anche in quelle condizioni della massima umiliazione dell'umanità. Lui ha amato ed ha creato fino all'ultimo. La sua vita donata a Dio quotidianamente e donata ad Auschwitz, fece nascere altre vite, tante altre, diede un senso a molti di noi, che cerchiamo nel nostro piccolo, di seguirlo. Dio stesso si preoccupò affinché il suo creare non trovasse limite nella sua vita terrena, ma che potesse continuare a creare anche nel momento della morte e molto, molto dopo. Ho capito, mi disse infine la ragazza, la differenza tra volerla fare finita e il dono che fece di sé padre Kolbe. La differenza sta nell'amore. Il risultato apparentemente è lo stesso, ma dai frutti si riconosce quanto abbia amato. Sì, anche questa è creatività, perché contribuisce alla diffusione della vita nel mondo. 
Abbiamo dormito solo due ore, quella notte. Ma lei si è svegliata con un nuovo senso di libertà nel cuore. Con la consapevolezza che l'opera creatrice di Dio che ama, non ha barriere. E che davvero, l'amore che crea va molto oltre ciò che possiamo immaginare. E compie tutto ciò che vuole.

martedì 11 agosto 2020

il luogo di fuga

 


Mt 18,1-5.10.12-14

 Oggi la mia attenzione viene ancora attratta dal pastore che lascia le pecore per andare a cercare l'unica smarrita. Dove si dirige il Signore, quando va in cerca della pecora che si è persa? A pensarci bene, ho impressione che lui già sappia dove andare a recuperarla, perché conosce perfettamente i nostri luoghi di fuga, gli spazi dello smarrimento dei nostri cuori... quindi di nuovo ci è maestro nel farci capire quali debbano essere i nostri rapporti: solo la conoscenza profonda accompagnata dal rispetto della persona che vive accanto a noi, ci spinge ad andarle dietro quando si smarrisce, perché l'amore verso chi si smarrisce ci spinge... e vice versa. Ci dia dunque il Signore il dono di questa conoscenza, che fa di noi strumenti della sua misericordia, persone pronte ad andare e a lasciare tutto ciò che, secondo una logica sarebbe assurdo lasciare, per amore, quello vero, quello che lascia andare e che è pronto a "riportare al gregge", quando ce n'è bisogno.

sabato 8 agosto 2020

sempre la stessa storia

 Mt 17,14-20

Una reazione tanto simpatica, quella di Gesù nel Vangelo di oggi, tanto umana e tanto conosciuta a ciascuno di noi. "Fino a quando dovrò sopportarvi?" Un Gesù scocciato insomma. Certo la scocciatura espressa con il linguaggio diverso da quello che quotidianamente usiamo noi, ma il senso resta lo stesso. Portatelo qui, ci devo per forza pensare io perché voi non ce la potete fare. E quindi la domanda che sorge è: ma poteva Gesù esigere dai suoi discepoli che facessero un miracolo? Dio davvero esige questo da noi? Probabilmente la risposta ciascuno di noi può trovarla da solo. Ciò che il Signore chiede ad ognuno di noi, in termini di fede, può essere diverso, perché ogni cammino è diverso e non ce ne sono due uguali. Ma la mancanza di fede che fa sì che non cresciamo, non avanziamo nel nostro cammino e solo continuiamo sullo stesso piano, che prima o poi, diventa piatto, è un ritornello ricorrente a cui corrispondono appunto le parole di oggi di Gesù. Uffa! Ma perché non fai quello sforzo di fede in più, che potrebbe cambiare la qualità della tua vita? La fede infatti non è l'andare in chiesa o il dire determinate preghiere, ma è la capacità di affidarsi completamente a Dio, quando le cose sembrano irragionevoli. E continuare a camminare, senza lasciarci portare dall'autocommiserazione, senza sederci per strada con la scusa di non riuscire perché "non capiamo". La guarigione, la liberazione dal demonio, nel caso del Vangelo di oggi, è un atto di fede. Non è magia, ma è fiducia, non sono formule da recitare, ma il cuore che si abbandona. Ecco perché, paradossalmente, la reazione di Gesù non è solo o non è tanto un rimprovero, quando un promemoria. Senza di Lui non possiamo far nulla. La fede è relazione con Lui, è capacità di ricorrere a Lui in necessità. E non potremo mai fare a meno di questa relazione. Anche perché questa relazione è quella che porta guarigione all'altro. Se ci fidiamo solo di noi stessi, ci indeboliamo e falliamo, e i miracoli non succedono. Mentre con quest'altra "storia di sempre", quella che ci fa tornare sempre a Lui, possiamo vivere nella certezza che nulla accade a caso e che, se glielo chiediamo, non saremo mai lasciati alle nostre sole forze. Ben venga allora la scocciatura che Gesù esprime, perché ci stimola a ritornare sempre a Lui! 

martedì 4 agosto 2020

lavarsi le mani, lavandosi le mani


 

Mt 15, 1-2.10-14

Si sa, bisogna sempre lavare le mani. Specie da qualche mese, siamo tutti esperti in questo, per prevenire i contagi di coronavirus... Prima di mangiare, dopo, dopo aver toccato qualsiasi cosa potenzialmente sporca, un animale qualsiasi, prima di toccare un bambino, in estate perché sudano, dopo aver fatto qualsiasi cosa con le mani, perché i batteri, i virus sono dappertutto...  finché stiamo nel normale equilibrio umano, va bene. Ma ho conosciuto una signora così ossessionata per lavare le mani, che a un certo punto aveva i palmi delle mani come un deserto screpolato, perché dal continuo contatto con l'acqua e con il sapone... le sono scomparse le ghiandole sudoripare... Morale della favola? Anche nelle buone abitudini, vale sempre il principio di sana ragione e di buon senso. Ma chiaro, se un'abitudine diventa ossessione... 
Ma è altrettanto pericoloso quando le normali abitudini, diventano leggi rigide. Quando il buon senso e la capacità di ragionare su una semplice azione quotidiana, scompaiono e prende il sopravvento l'osservanza schematica del "si fa così". E questo non solo per la pulizia delle mani. Dunque, ha ragione Gesù: non ciò che noi apprendiamo come buona abitudine, ma il modo in cui sappiamo distorcere le cose, che le rende pericolose. Ma certo, non sono solo gli apparecchi elettronici: i computer, gli smartphone, la TV, che ci offuscano la mente, che ci disattivano il cervello... C'è anche che è comodissimo lavarsi le mani dalla necessità di ragionare e responsabilizzarsi rispetto alle cose...come? Appunto lavandoci le mani. Ripetiamolo, figurativamente: sappiamo bene lavarci le mani, lavandoci le mani. Cioè ci deresponsabilizziamo, cadendo nell'automatica osservanza. Alla quale poi consegue il fatto che chi non rientra nei nostri "sacri schemi", è causa di scandalo. Ma l'umile, si sa, non si scandalizza così facilmente. Ed è certo allora che non è umile chi pretende che gli altri si sottopongano alle sue osservanze. Il momento stesso in cui uno si scandalizza, è proprio il momento dello sradicamento, come dice il Vangelo di oggi. E qui si aprono due strade: chi si scandalizza ha un'opportunità per uscire dai suoi schemi e dalle sue osservanze, oppure restare e... continuare a lavarsi le mani: dalla vita, dalla responsabilità e dal contatto con gli altri. Infatti le mani pulite e sterilizzate, sono quelle di cui Gabbani canta quando dice "mettiti in salvo dall'odore dei tuoi simili". Si, perché pur non osservando i nostri schemi e le nostre leggi, restano sempre nostri simili. A noi la scelta.

lunedì 3 agosto 2020

assenza di dubbi, assenza di fede

Mt 14,22-36
Di certo ciascuno di noi ha vissuto l'esperienza di quella sorta di "rimprovero", ricevuto da una persona per noi importante, di fronte ad un dubbio da noi espresso. "Come mai dubiti? Non ti fidi di me?" Ed è subito senso di colpa. Un misto di sentimenti che lo creano dentro di noi, di certo è frutto della relazione, di un intercorrere di reciproche attese, di giochi relazionali, di avvicinamenti e lontananze. Chissà se noi stessi o qualcuno per noi, abbiamo mai avuto il coraggio di scacciare il senso di colpa e di pensare che, se c'è il dubbio, è semplicemente perché c'è la fede, cioè nel contesto relazionale, c'è la fiducia, c'è il legame. 
Gesù fa esattamente questa domanda oggi, a Pietro, dopo averlo tirato fuori dalle acque, su cui egli aveva cominciato a camminare. L'iniziale atto di fede e di fiducia, lascia spazio alla paura, cioè al ripiegamento su se stesso, e sui limiti delle proprie possibilità, oppure su un'impossibilità... e immediatamente si sveglia la consapevolezza che senza di Lui non può nulla. Ritorna la fiducia nel Signore, viene la salvezza e arriva la fatidica domanda: perché hai dubitato? Cambierei questa domanda in: "dov'è la sorgente del tuo dubbio?" Gesù non fa la domanda per rimproverare la mancanza di fede di Pietro. Invece gli fa vedere come il ritorno a Lui è espressione di una fede che non cessa, nemmeno quando si affaccia il dubbio, frutto della debolezza umana. Se non ci fossero dubbi, significherebbe che siamo in una certezza assoluta, quella che non appartiene al nostro mondo. Se ci sono dubbi, sotto c'è la fede, anche se dovesse essere solo una scintilla. C'è. E questo basta.

domenica 2 agosto 2020

il miracolo coi piedi per terra

 
Mt 14,13-21

Il miracolo con i piedi per terra, quello del Vangelo di oggi. Perché forse ogni miracolo della nostra vita parte dalla capacità di stare coi piedi per terra. "Quanti pani avete? Andate a vedere". La domanda sulla consapevolezza, che dovrebbe tornare spesso nella nostra vita. Che cosa ho, quanto posso dare? Il Signore non chiede ai discepoli di andare a comprarne, ma solo di verificare le reali possibilità di quel momento. Così non ci chiede di dare ciò che non abbiamo, ma di essere consapevoli di ciò di cui disponiamo. Perché il miracolo avviene lì: nella progressiva e vigilante presa e "ri-presa" di coscienza di noi stessi, delle nostre risorse, nelle quali lavora la grazia. Memori che è Lui il Salvatore del mondo e non noi. E che nella sua opera ci chiede la collaborazione, ma è sempre con noi, il primo che porta avanti la storia, se deponiamo ciò che abbiamo nelle sue mani.