Ecco che
Giovanni ci spiega con chiarezza e semplicità la ragione per cui troviamo in
giro tanti credenti tristi e almeno apparentemente infelici... lui stesso
condivide la sua esperienza di Cristo, quell'esperienza vitale che rende la
testimonianza vivace e credibile e dice: lo faccio perché la mia gioia sia
piena. Non c'è dunque una gioia autentica che non comporti la condivisione
dell'esperienza che ognuno di noi fa di Cristo, vivo e operante nella nostra
vita. Dunque, un credente triste è uno che o non ha incontrato davvero Cristo o
non condivide con gli altri l'esperienza di questo incontro. Non dimenticando
che c'è un duplice effetto: testimoniamo perché siate in comunione con noi (e
quindi con il Padre, il Figlio e lo Spirito) e perché la nostra gioia sia
piena. Il mondo infatti non ha bisogno di maestri che trasmettano i saperi più o meno sofisticati, ma di testimoni appassionati, che trasmettano la loro esperienza di Dio, ciò che noi abbiamo udito, veduto, che conteplammo, che le nostre mani toccarono. Condivisione quindi significa vantaggi per tutti. Condivisione significa volare alto, come Giovanni, non a caso chiamato "aquila". Condivisione significa più gioia e meno tristezza per i
credenti in Cristo e per coloro che incontrano la loro testimonianza!
Lo sapevi che sei l'infinito? Si, l'infinito, edizione limitata! Qui troverai e, spero, condividerai, tutto ciò che Dio depone nel nostro cuore!
venerdì 27 dicembre 2019
venerdì 20 dicembre 2019
i segni di una nascita
Lc 2,12
Oggi mi piace condividere con voi la rielaborazione di una riflessione che ho ascoltato, sui simboli
del Natale.
Nella Scirttura c'è una grande attenzione ai segni. Per quanto riguarda il racconto della nascita di Gesù, gli evangelisti si muovono diversamente l'uno dall'altro. Ma oggi ci soffermiamo principalmente sul Vangelo di Luca e in parte di Matteo. Ci sono segni "classici" che noi conosciamo, di Natale. Poi ci sono quei segni che Dio usa al di là dei canali che noi ci aspettiamo. Così accade nella nostra vita e nei racconti dei Vangeli. Luca ci parla di un decreto. Il decreto è stimolo per Giuseppe per muoversi, mettersi in cammino. Verso dove? Verso Betlemme... che è il posto più dimenticato e deriso, un paesino qualsiasi, che fa ridere a tutti, il più piccolo capoluogo di Giuda. Ecco un canale allora inaspettato: l'umiltà. Una nullità che diventa luogo di un importante decreto e dopo, della nascita di Gesù. Ecco la nostra chiamata: non solo tenere gli occhi ben aperti, ma saperci girare come il gufo, a 360°, i segni di Dio sono da tutte le parti. In questa piccola realtà povera, non c'è spazio per il Signore. Dunque Maria e Giuseppe si ritrovano sul retro di una casa: grotta o capanna che sia. E' come i nostri garage in cui teniamo di tutto, in cui deponiamo qualsiasi cosa, che non ci sta più altrove... (e intanto la macchina non ci sta per cui la teniamo in strada ;-)). Ecco, è uno spazio del disordine, della confusione, in cui è difficile trovare un senso... E' lì che viene Gesù: nel tuo, nel mo disordine. Lui viene in questo garage della mia vita.
Qual è il garage della tua vita, quel disordine in cui farlo entrare?
Maria, dopo il parto, per forza di cose doveva fermarsi, per fare i suoi 40 giorni di purificazione, la quarantena. Così avveniva fino a non molti anni fa anche da noi. I battesimi si facevano senza la madre, che non doveva uscire. Giuseppe l'avrà risistemato, quel retrocasa, in 40 giorni, per la ua famiglia, no? Allora a noi conviene che Gesù nasca nel nostro disordine... perché lo rimette un po' a posto.
C'è poi un segno per i pastori: la mangiatoia. Betlemme significa casa del pane. Tutto ciò ci rimanda al cibo che Gesù si fa. I pastori vengono ad adorare, ad-orare, significa "portare alla bocca". Vengono nella casa del Pane, alla mangiatoia, per nutrirsi. I pastori mangiano già questo Pane, che noi riceveremo poi in Eucarestia. E' Lui che prepara se stesso come cibo per noi. Noi di solito ci esauriamo nei preparativi più svariati, anche del cibo natalizio, ma ci ricordiamo che Lui è il vero cibo? Ma dobbiamo muoverci come loro: senza indugio. Alle volte noi non riusciamo a riconoscere il dono ricevuto, come quelle persone che vincono a superenalotto e la schedina se la sono dimenticati in qualche taschino e... non sanno nemmeno di aver vinto. Vale anche per il dono della fede. Dobbiamo essere svegli e reagire senza indugio, altrimenti perdiamo il dono, la strada. Maria, Giuseppe, pastori, magi, sono tutti persone che si muovono alla svelta.
L'Evangelista Matteo ci parla anche del segno della stella. E' quella che sta sopra le teste di tutti. Gli angeli che annunciano il Natale, vanno solo dai pastori? Sono schiere di angeli... forse provano ad andare anche da altre categorie... ma forse trovano gente che crede di essere "già imparata", di conoscere le Scritture, di non aver tempo ecc. I pastori invece sono umili, occupati in una cosa sola e liberi nel cuore. Possono accogliere. E noi? Se siamo già pieni di cose, di pensieri, di saperi, rischiamo che il Natale ci scivoli addosso...
I magi non erano re e non erano tre. Erano astrologi, non erano poveri, portano doni da ricchi. Erano persone abbienti e intelligenti. Tuttavia anche loro erano umili! Hanno visto una stella che era per loro sconosciuta, si sono messi in movimento per scoprire il suo mistero. Uno scienziato, se crede di essere già arrivato, allo stesso momento smette di essere uno scienziato, perché non è più in ricerca. Vale anche per noi cristiani. Se siamo già arrivati, non abbiamo bisogno di Dio, non abbiamo bisogno del Natale. Non così per i Magi. La stella è indicazione: essa si ferma sulla capanna. La stella è un ammasso di gas, emana la luce come risultato delle quantità di energie liberate nei movimenti che si susseguono all'interno del suo nucleo. La stella che si muove, si ferma sopra la capanna, perché ha trovato la fonte vera della luce. Gesù è venuto a portare il fuoco. Se noi non abbiamo il fuoco dentro, saremo sempre in cerca della luce altrui, da riflettere. E finché ci dicono "bravo", staremo a brillare, ma quel giorno in cui non avremo conferme umane, saremo oscurità. La luce di Cristo dona la luce al tuo nucleo. La stella cometa si ferma al "distributore di energia", da dove attingere. Natale è tempo per fermarci davanti al Mistero per ricaricarci. Si, perché noi dobbiamo ardere. Nessuno guarda fisso il sole, ma tutti godiamo della sua luce. Sia il sole che una semplice candela, per illuminare e produrre il calore, si deve consumare. Anche tu. E non dire: Dio mi sta chiedendo troppo, perché se Lui ti chiede, ti darà Lui stesso l'energia e la luce per rispondere alle sue richieste.
Ecco che la Chiesa oggi forse non è chiamata a valutarsi a partire dai numeri, ma dall'intensità del calore che rilascia. Cosa brucia dentro di me? Cosa mi muove? Il voler apparire ad altri oppure l'amore di Dio che ha amato il mondo così tanto che ha fatto diventare il suo Figlio, bambino? E mentre ci muoviamo, perché l'amore suo ci brucia dentro, non dimentichiamo una cosa. La macchina dal motore più potente è quella che sa anche rallentare, darsi una regolata e, quando occorre aspettare e accompagnare qualcuno che va più lento. I piccoli motori non lo sanno fare: quando il loro bruciare non produce il movimento, si annientano con il proprio calore e la propria energia, implodendo. Noi siamo chiamati a Natale e sempre, ad essere motori grandi, capaci di grandi movimenti, ma anche di rallentare il passo, per andare insieme.
Oggi mi piace condividere con voi la rielaborazione di una riflessione che ho ascoltato, sui simboli
del Natale.
Nella Scirttura c'è una grande attenzione ai segni. Per quanto riguarda il racconto della nascita di Gesù, gli evangelisti si muovono diversamente l'uno dall'altro. Ma oggi ci soffermiamo principalmente sul Vangelo di Luca e in parte di Matteo. Ci sono segni "classici" che noi conosciamo, di Natale. Poi ci sono quei segni che Dio usa al di là dei canali che noi ci aspettiamo. Così accade nella nostra vita e nei racconti dei Vangeli. Luca ci parla di un decreto. Il decreto è stimolo per Giuseppe per muoversi, mettersi in cammino. Verso dove? Verso Betlemme... che è il posto più dimenticato e deriso, un paesino qualsiasi, che fa ridere a tutti, il più piccolo capoluogo di Giuda. Ecco un canale allora inaspettato: l'umiltà. Una nullità che diventa luogo di un importante decreto e dopo, della nascita di Gesù. Ecco la nostra chiamata: non solo tenere gli occhi ben aperti, ma saperci girare come il gufo, a 360°, i segni di Dio sono da tutte le parti. In questa piccola realtà povera, non c'è spazio per il Signore. Dunque Maria e Giuseppe si ritrovano sul retro di una casa: grotta o capanna che sia. E' come i nostri garage in cui teniamo di tutto, in cui deponiamo qualsiasi cosa, che non ci sta più altrove... (e intanto la macchina non ci sta per cui la teniamo in strada ;-)). Ecco, è uno spazio del disordine, della confusione, in cui è difficile trovare un senso... E' lì che viene Gesù: nel tuo, nel mo disordine. Lui viene in questo garage della mia vita.
Qual è il garage della tua vita, quel disordine in cui farlo entrare?
Maria, dopo il parto, per forza di cose doveva fermarsi, per fare i suoi 40 giorni di purificazione, la quarantena. Così avveniva fino a non molti anni fa anche da noi. I battesimi si facevano senza la madre, che non doveva uscire. Giuseppe l'avrà risistemato, quel retrocasa, in 40 giorni, per la ua famiglia, no? Allora a noi conviene che Gesù nasca nel nostro disordine... perché lo rimette un po' a posto.
C'è poi un segno per i pastori: la mangiatoia. Betlemme significa casa del pane. Tutto ciò ci rimanda al cibo che Gesù si fa. I pastori vengono ad adorare, ad-orare, significa "portare alla bocca". Vengono nella casa del Pane, alla mangiatoia, per nutrirsi. I pastori mangiano già questo Pane, che noi riceveremo poi in Eucarestia. E' Lui che prepara se stesso come cibo per noi. Noi di solito ci esauriamo nei preparativi più svariati, anche del cibo natalizio, ma ci ricordiamo che Lui è il vero cibo? Ma dobbiamo muoverci come loro: senza indugio. Alle volte noi non riusciamo a riconoscere il dono ricevuto, come quelle persone che vincono a superenalotto e la schedina se la sono dimenticati in qualche taschino e... non sanno nemmeno di aver vinto. Vale anche per il dono della fede. Dobbiamo essere svegli e reagire senza indugio, altrimenti perdiamo il dono, la strada. Maria, Giuseppe, pastori, magi, sono tutti persone che si muovono alla svelta.
L'Evangelista Matteo ci parla anche del segno della stella. E' quella che sta sopra le teste di tutti. Gli angeli che annunciano il Natale, vanno solo dai pastori? Sono schiere di angeli... forse provano ad andare anche da altre categorie... ma forse trovano gente che crede di essere "già imparata", di conoscere le Scritture, di non aver tempo ecc. I pastori invece sono umili, occupati in una cosa sola e liberi nel cuore. Possono accogliere. E noi? Se siamo già pieni di cose, di pensieri, di saperi, rischiamo che il Natale ci scivoli addosso...
I magi non erano re e non erano tre. Erano astrologi, non erano poveri, portano doni da ricchi. Erano persone abbienti e intelligenti. Tuttavia anche loro erano umili! Hanno visto una stella che era per loro sconosciuta, si sono messi in movimento per scoprire il suo mistero. Uno scienziato, se crede di essere già arrivato, allo stesso momento smette di essere uno scienziato, perché non è più in ricerca. Vale anche per noi cristiani. Se siamo già arrivati, non abbiamo bisogno di Dio, non abbiamo bisogno del Natale. Non così per i Magi. La stella è indicazione: essa si ferma sulla capanna. La stella è un ammasso di gas, emana la luce come risultato delle quantità di energie liberate nei movimenti che si susseguono all'interno del suo nucleo. La stella che si muove, si ferma sopra la capanna, perché ha trovato la fonte vera della luce. Gesù è venuto a portare il fuoco. Se noi non abbiamo il fuoco dentro, saremo sempre in cerca della luce altrui, da riflettere. E finché ci dicono "bravo", staremo a brillare, ma quel giorno in cui non avremo conferme umane, saremo oscurità. La luce di Cristo dona la luce al tuo nucleo. La stella cometa si ferma al "distributore di energia", da dove attingere. Natale è tempo per fermarci davanti al Mistero per ricaricarci. Si, perché noi dobbiamo ardere. Nessuno guarda fisso il sole, ma tutti godiamo della sua luce. Sia il sole che una semplice candela, per illuminare e produrre il calore, si deve consumare. Anche tu. E non dire: Dio mi sta chiedendo troppo, perché se Lui ti chiede, ti darà Lui stesso l'energia e la luce per rispondere alle sue richieste.
Ecco che la Chiesa oggi forse non è chiamata a valutarsi a partire dai numeri, ma dall'intensità del calore che rilascia. Cosa brucia dentro di me? Cosa mi muove? Il voler apparire ad altri oppure l'amore di Dio che ha amato il mondo così tanto che ha fatto diventare il suo Figlio, bambino? E mentre ci muoviamo, perché l'amore suo ci brucia dentro, non dimentichiamo una cosa. La macchina dal motore più potente è quella che sa anche rallentare, darsi una regolata e, quando occorre aspettare e accompagnare qualcuno che va più lento. I piccoli motori non lo sanno fare: quando il loro bruciare non produce il movimento, si annientano con il proprio calore e la propria energia, implodendo. Noi siamo chiamati a Natale e sempre, ad essere motori grandi, capaci di grandi movimenti, ma anche di rallentare il passo, per andare insieme.
mercoledì 18 dicembre 2019
il trasgressivo
Gesù sarà un trasgressivo e di
questo lo accuseranno. Ma intanto c'è Giuseppe, padre e non padre...provocato a
trasgredire dall'inizio della vita del figlio di Dio. Non si può negare che
Giuseppe, uomo giusto, va contro le prescrizioni della Torah. Ma non è
immediato capire che invece Egli entra proprio nel cuore di Dio e per questo
rimane giusto, anche se contro la legge. E proprio in questo apre pure la
strada a Gesù, quello che, secondo alcuni, sarà il grande trasgressore (da buon
figlio di suo padre!!!). L'arte del vivere... andare fino in fondo, scegliere
la fatica di scendere nelle profondità del cuore di Dio, piuttosto che
accettare le sicurezze delle leggi umane che, per quanto sia doveroso rispettarle,
non vanno mai messe al centro a prescindere dalla persona umana, essa stessa
messa al centro da Dio, proprio in questi giorni in cui Lui si incarna.
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martedì 19 novembre 2019
la nostra folla quotidiana
Ieri ero in un aeroporto e vi ho trascorso una buona parte della giornata... in questi contesti, osservando i volti, vedendo i transiti, ascoltando le varie lingue, mi domando sempre, se sono favorevoli per incontrare il Signore, che c'è anche lì, oltre ogni vero o presunto ostacolo. O meglio, la domanda è se siamo disponibili ad incontrarlo. Poi facevo questa riflessione, ricordandomi di Zaccheo...
Ci
sembra tante volte di non riuscire a vedere il Signore a causa della "folla" costante nella nostra vita...persone, cose, impegni, avvenimenti, frastuoni, doveri: tutto ciò
affolla la nostra esistenza in modo tale che l'unica soluzione che ci sembra utile è
quella di fuggire salendo su un albero e sperando di vedere da lì Dio. E Dio lo
sa. Non appena si presenta vivo e vero, immediatamente ci riporta giù, in mezzo
alla nostra folla, affinché noi impariamo che vivere e creare le condizioni di
accoglienza di Lui, significa guardare in faccia la nostra folla, darle delle
dimensioni, saperla gestire...sapere dove bisogna dare la propria metà e dove
restituire. Affinché la vita sia più leggera, non occorre innalzarsi al di
sopra di ciò che ce la riempie, ma saperci mettere proprio lì in mezzo, per
scorgere in ogni cosa l'armonia, che è dimora del Signore che si ferma nella
nostra casa.
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giovedì 14 novembre 2019
i caldomorbidi
Le relazioni mutano. Questo ci entusiasma, ci spaventa oppure lo consideriamo naturale? Senz'altro ci può essere in ogni caso d'aiuto, questa favola che mi piace riportare qui sotto.
C'era una volta un luogo, molto, molto, molto tempo fa, dove vivevano delle persone felici. Fra queste persone felici ce n'erano due che si chiamavano Luca e Vera. Luca e Vera vivevano con i loro due figli Elisa e Marco. Per poter comprendere quanto erano felici, dobbiamo spiegare come erano solite andare le cose in quel tempo e in quel luogo. Vedete, in quei giorni felici, quando un bimbo nasceva trovava nella sua culla, posto vicino a dove appoggiava il suo pancino, un piccolo, soffice e caldo sacchetto morbido. E, quando il bambino infilava la sua manina nel sacchetto, poteva sempre estrarne un… "caldomorbido". I caldomorbidi in quel tempo erano abbondantissimi e molto richiesti perché, in qualunque momento una persona ne sentisse il bisogno, poteva prenderne uno e subito si sentiva calda e morbida a lungo. Se, per qualche motivo, la gente non avesse ricevuto con una certa regolarità dei caldomorbidi, avrebbe corso il rischio di contrarre una strana e rara malattia. Era una malattia che partiva dalla spina dorsale e che lentamente portava la persona ad incurvarsi, ad appassire e poi a morirne. In quei giorni era molto facile procurarsi i caldomorbidi: se qualcuno li chiedeva, trovava sempre qualcun altro che li dava volentieri. Quando uno, cercando nel suo sacchetto, tirava fuori un caldomorbido, questo aveva la dimensione di un piccolo pugno di bambina ed un colore caldo e tenero. E subito, vedendo la luce del giorno, questo sorrideva e sbocciava in un grande e vellutato caldomorbido. E quando era posto sulla spalla di una persona, o sulla testa, o sul petto, e veniva accarezzato, piano piano si scioglieva, entrava nella pelle e subito la persona si sentiva bene e per lungo tempo. La gente a quel tempo si frequentava molto e si scambiava reciprocamente caldomorbidi. Naturalmente questi erano sempre gratis ed averne a sufficienza non era mai un problema. Come dicevamo poc'anzi, con tutta questa abbondanza di caldomorbidi, in questo paese tutti erano felici e contenti, caldi e morbidi per la gran parte del tempo. Ma, un brutto giorno, una strega cattiva che viveva da quelle parti si arrabbiò, perché, essendo tutti così felici e contenti, nessuno comprava le sue pozioni e i suoi unguenti. La strega, che era molto intelligente, studiò un piano diabolico. Una bella mattina di primavera, mentre Vera giocava serena in un prato con i bambini, avvicinò Luca e gli sussurrò all'orecchio: "Guarda Luca, guarda Vera come sta sprecando tutti i caldomorbidi che ha, dandoli a Elisa. Sai, se Elisa se li prende tutti, può darsi che, a lungo andare, non ne rimangano più per te". Luca rimase a lungo soprappensiero. Poi si voltò verso la strega e disse: "Intendi dire che può succedere di non trovare più caldomorbidi nel nostro sacchetto tutte le volte che li cercheremo?". E la strega rispose: "Proprio così. Quando saranno finiti, saranno finiti. E non ne avrete assolutamente più". Detto questo volò via, sghignazzando fra sé.
Luca fu molto colpito da quanto aveva detto la strega e da quel momento cominciò ad osservare e a ricordare tutti i momenti in cui Vera dava caldomorbidi a qualcun altro. Di lì in poi divenne timoroso e turbato, perché gli piacevano i caldomorbidi di Vera e non voleva proprio rimanere senza. E pensava pure che Vera non facesse una cosa buona a dare tutti quei caldomorbidi ai bambini e alle altre persone. Cosi cominciò ad intristirsi tutte le volte che vedeva Vera elargire un caldomorbido a qualcun altro. E poiché Vera gli voleva molto bene, essa smise dì offrire così spesso caldomorbidi agli altri, riservandoli invece per lui. I bambini, vedendo questo, cominciarono naturalmente a pensare che fosse una cattiva cosa dar via caldomorbidi a chiunque e in qualsiasi momento venissero richiesti o si desiderasse farlo e, piano piano, senza quasi nemmeno accorgersene, diventarono sempre più timorosi di perdere qualcosa. Così anch'essi divennero più esigenti. Tennero d'occhio i loro genitori e, quando vedevano che uno di loro donava un caldomorbido all'altro, anche loro impararono a intristirsi. Anche i loro genitori se ne scambiavano sempre di meno e di nascosto, perché così pensavano che non li avrebbero fatti soffrire. Sappiamo bene come sono contagiosi i timori. Infatti, ben presto queste paure si sparsero in tutto il paese e sempre meno si scambiarono caldomorbidi. Nonostante ciò le persone potevano comunque sempre trovare un caldomorbido nel loro sacchetto tutte le volte che lo cercavano, ma essi cominciarono a estrarne sempre meno, diventando nel contempo sempre più avari. Presto la gente cominciò a sentire mancanza di caldomorbidi e, di conseguenza, a sentire meno caldo e meno morbido. Poi qualcuno di loro cominciò ad incurvarsi e ad appassire e talvolta persino a morire. Quella malattia, dovuta alla mancanza dì caldomorbidi, che prima della venuta della strega era molto rara, ora colpiva sempre più spesso. E sempre di più la gente andava ora dalla strega per comprare pozioni e unguenti, ma, nonostante ciò, non aveva l'aria di star meglio. Orbene, la situazione stava diventando di giorno in giorno più seria. A pensarci bene la strega cattiva in realtà non desiderava che la gente morisse (infatti pare che i morti non comprino balsami e pozioni), così cominciò a studiare un nuovo piano. Fece distribuire gratuitamente a ciascuno un sacchetto in tutto simile a quello dei caldomorbidi, ma questo era freddo mentre l'altro era caldo. Dentro il sacchetto della strega infatti c'erano i "freddoruvidi". Questi freddoruvidi non facevano sentire la gente calda e morbida ma fredda e scontrosa. Comunque fosse, i freddoruvidi un effetto ce l'avevano: impedivano infatti che la schiena della gente si incurvasse più di tanto e, anche se sgradevoli, servivano a tenere in vita gli abitanti di quel paese che una volta era stato felice. Così tutte le volte che qualcuno diceva: "Desidero un caldomorbido", la gente, arrabbiata e spaventata per il loro rarefarsi, rispondeva: "Non ti posso dare un caldomorbido, vuoi un freddoruvido?". E, a volte, capitava persino che due persone a passeggio insieme pensavano che avrebbero potuto scambiarsi dei caldomorbidi, ma una o l'altra delle due, aspettando che fosse l'altra ad offrirglielo, finiva poi per cambiare idea, e si scambiavano dei freddoruvidi. Stando così le cose, ormai sempre meno gente moriva di quella malattia, ma un sacco di persone erano sempre infelici e sentivano molto freddo e molto ruvido. E' inutile dire che questo fu un periodo d'oro per gli affari della strega. La situazione peggiorava ogni giorno. I caldomorbidi, che una volta erano disponibili come l'aria, divennero merce di grande valore e questo fece sì che la gente fosse disposta ad ogni sorta di cose pur di averne. In certi casi i caldomorbidi venivano estorti con l'inganno, in altri con violenza e, quando ciò avveniva, succedeva una cosa strana: questi non sorridevano più, sbocciavano poco e diventavano scuri. Prima che la strega facesse la sua apparizione la gente era solita trovarsi in gruppi di tre o di quattro o anche di cinque persone senza minimamente preoccuparsi di chi fosse a dare i caldomorbidi. Dopo la venuta della strega la gente cominciò a tenere per sé tutti i propri caldomorbidi, e a darli al massimo ad un'altra persona. Qualche volta succedeva che quelli che davano a persone esterne dei caldomorbidi si sentivano in colpa perché pensavano che il proprio partner molto probabilmente ne sarebbe stato dispiaciuto e geloso. E quelli che non avevano trovato un partner sufficientemente generoso andavano a comprare i loro caldomorbidi e questo gli costava molte ore di lavoro per racimolare il denaro. Un altro fatto sorprendente ancora succedeva. Alcune persone prendevano i freddoruvidi, che si trovavano facilmente e gratuitamente, li camuffavano ad arte con un'apparenza piacevole e morbida e li spacciavano per caldomorbidi. Questi caldomorbidi contraffatti venivano chiamati caldomorbidi di plastica e finirono per procurare guai ulteriori. Per esempio, quando due persone si volevano scambiare reciprocamente dei caldomorbidi pensavano, è ovvio, che si sarebbero sentiti bene, ma, in realtà, nulla cambiava e continuavano a sentirsi come prima e forse anche un pochino peggio. Ma, poiché pensavano in buona fede di essersi scambiati dei caldomorbidi genuini, rimanevano molto confusi e disorientati, non comprendendo che il loro freddo e le loro sensazioni sgradevoli erano in realtà il risultato dell'essersi scambiati caldomorbidi di plastica. Così la situazione si aggravava di giorno in giorno. I caldomorbidi erano sempre più rari e, a volte, anche guardati con sospetto, perché si confondevano con quelli di plastica, contraffatti. I freddoruvidi erano abbondanti e sgradevoli e tutti pareva volessero regalarli agli altri. C'era molta tristezza, paura e diffidenza e tutto questo era iniziato con la venuta della strega, che aveva convinto le persone che, a forza di scambiarsi caldomorbidi, un giorno non lontano avrebbe avuto la sorpresa di scoprire che erano finiti. Passò ancora del tempo e, un giorno, una donna florida e graziosa, nata sotto il segno dell'Acquario, giunse in quel paese sfortunato, portando il suo sorriso limpido e cordiale. Non aveva mai sentito parlare della strega cattiva e non nutriva alcun timore che i suoi caldomorbidi finissero. Li dava liberamente, anche quando non erano richiesti. Molti la disapprovavano perché pensavano che fosse sconveniente per i bambini vedere queste cose e temevano per la loro educazione Ma essa ai bambini piacque molto, tanto che la circondavano in ogni momento. E anche loro cominciarono a provare gusto nel dare agli altri caldomorbidi quando gliene veniva voglia. I benpensanti corsero ben presto ai ripari facendo approvare una legge per proteggere i bambini da un uso spregiudicato di caldomorbidi. Secondo questa legge era un crimine punibile dare caldomorbidi ad altri che non alle persone per cui si avesse avuto una licenza. E, per maggiore garanzia, queste licenze di darsi caldomorbidi si potevano avere per una sola persona e spesso duravano tutta la vita. Molti bambini comunque fecero finta di non conoscere la legge e, in barba a questa, continuarono a dare ad altri caldomorbidi quando ne avevano voglia o quando qualcuno glieli chiedeva. E, poiché c'erano molti, molti bambini - così tanti forse quanto i benpensanti - cominciò ad apparire chiaro che la cosa era molto difficile da contenere. A questo punto sarebbe interessante sapere come andò a finire. Riuscì la forza della legge e dell'ordine a fermare i bambini? Oppure furono invece i benpensanti a scendere a patti? E Luca e Vera, ricordando i giorni felici dove non c'era limite di caldomorbidi, ricominciarono a donarli ancora liberamente? La ribellione serpeggiava ovunque nel paese e probabilmente toccò anche il luogo dove vivete. Se voi volete (e io sono sicuro che voi lo volete), potete unirvi a loro a offrire e a chiedere caldomorbidi e, in questo modo, diventare autonomi e sani senza più il rischio che la vostra schiena si ripieghi per la sofferenza e rischi di raggrinzirsi.
Claude Steiner, 1969
sabato 2 novembre 2019
passaggi
2 novembre cos'è? È il giorno dei morti, ovviamente. Oggi riflettevo su cosa dovesse significare questo... Stiamo ricordando coloro che fisicamente non sono più qui in mezzo a noi. E li chiamiamo "morti"... ma è un nome appropriato? Delle volte quando siamo stanchi, noi diciamo che siamo "morti", quando ci arriva una notizia inaspettata, negativa, diciamo che per un momento "siamo morti" al sentirla. Se ci guardiamo bene in giro (e forse anche dentro di noi, chissà), noi scopriamo che ci sono tante persone morte, eppure viventi. Sì, perché nel loro cuore, nella loro vita, hanno seppellito qualcosa, l'hanno messo a tacere, abbandonando la speranza. Al di là di questa triste condizione in cui versano molte persone, mi stavo domandando: ma sono davvero "morti", quelli che noi festeggiamo oggi? Non è per caso meglio chiamarli "viventi in eternità", o al limite "defunti", cioè quelli che semplicemente hanno compiuto qui la loro parte e sono passati altrove?
Mi hanno sempre colpita molto quelle necropoli antiche, in cui quando si va a visitarle, nelle tombe si trovano gli scheletri con delle stoviglie o comunque oggetti utili per la vita quotidiana. Sebbene non cristiane, le civiltà antiche consideravano normale, che la vita di una persona non finiva qui, che quella che per noi è la fine, per loro era solo un passaggio naturale in un'altra dimensione mentre l'esistenza di una persona continuava altrove. Ecco perché avevano bisogno di questi oggetti, per potersene servire laddove andavano. Penso allora che oggi dovremmo semplicemente ricordare i defunti, quelli che sono andati altrove, che non vediamo qui accanto a noi, ma non morti... In fondo sappiamo che siamo di passaggio e il passaggio non significa solo la fine, ma anche un nuovo inizio, sempre.
domenica 13 ottobre 2019
i miracoli da notare
Lc 17,11-19
Alle volte noi chiediamo. Chiediamo con forza e insistenza. Chiediamo ciò che si sembra indispensabile. Ma la risposta che riceviamo alla nostra richiesta, non è quella che volevamo o che ci saremmo aspettati. Ed ecco che ci sentiamo "rimandati" e dentro di noi avvertiamo la delusione. E in questo essere di nuovo "fregati", a un certo punto, in cui non ce l'aspettiamo, avviene il miracolo. Ma delle volte siamo così concentrati sulla nostra delusione oppure sull'assurdità di aver ricevuto una risposta che non era quel che volevamo, che non ci accorgiamo del miracolo. Non vuole essere un giudizio. Capita che la vita ci dà delle risposte che ci risultano assurde e che richiedono da noi molte energie umane e spirituali, oltre che spesso anche mentali, perché vogliamo comprendere bene l'assurdità. Ma mentre leggiamo queste parole sappiamo già che l'assurdità è assurdità proprio perché non rientra negli schemi valutativi della nostra mente e spesso in noi deve scattare la fiducia. Ed è proprio la fiducia, che coltivata diventa sentimento di accettazione, di abbandono e, perché no, anche di ammirazione, che ci permette di attraversare le assurdità della vita. L'abbandono poi fa entrare l'opera di Dio nella nostra vita e genera dunque l'ammirazione per la sua opera. Esattamente ciò che nel Vangelo di oggi succede all'unico guarito che torna indietro per ringraziare. Lui, per strada, si è accorto che era avvenuto il miracolo, anche se separandosi in quel momento da Gesù, non si erano visti guariti. Ed era uno straniero, secondo quanto dice Gesù. Forse la sua "stranezza" o/e "estraneità" stava proprio anche in questo: nel fatto che lui non ha seguito degli schemi interpretativi rispetto a quello che stava accadendo, ma ha conservato un modo di vivere gli attimi, che troppo spesso a noi è estraneo. Ha tenuto gli occhi e il cuore aperto. Dall'essersi accorto del miracolo, allo scaturire della gratitudine, è stato un attimo. E una cosa è certa. Molti miracoli nella nostra vita arrivano, ma ci sfuggono perché non rientrano nei nostri schemi. Una chiamata ci accomuna, allora: quella alla gratitudine, che quando si sprigiona nel cuore, non ha paura di nulla, nemmeno di "tornare indietro" per ringraziare. Forse gli altri non hanno saputo recepire il dono, perché non è arrivato "quando volevano loro"? O forse ritornare al luogo della propria lebbra (anche da guariti), fa paura? Non lo sappiamo esattamente di loro. Ma possiamo senza dubbio cercare nella nostra vita quei luoghi in cui ancora non entra la gratitudine e non ci accorgiamo del miracolo.
venerdì 11 ottobre 2019
martedì 24 settembre 2019
chi è dentro, chi è fuori?
Lc 8,19-21
Una delle cose peggiori che possono succedere quando tu stai in compagnia. Arrivano i tuoi e ti richiamano, ti vogliono tirare fuori. Peggio ancora: non entrano ma mandano qualcuno a chiamarti. Forse un po' di rabbia e scocciatura ci sta. Ma Gesù sembra che non si lasci scomporre da queste possibili istintive reazioni. Fa direttamente una mossa che da un lato potrebbe sconvolgere di più, dall'altro lato svela la sua estrema libertà interiore che si manifesta proprio nel fatto che lui non si altera. In queste situazioni, noi ci arrabbiamo perché ci sentiamo trascinati o vincolati da dei legami, giustamente, avendo a che fare con i nostri familiari. Il punto è restare, come Gesù, dentro e dentro di sé. Se dentro di te c'è la sufficiente sicurezza, quella buona, che non è sfacciataggine, tu non ti scomponi, ma rimani dentro, presente a te stesso, anche quando da fuori ti richiamano, rifacendosi ai legami più legittimi di questo mondo. I legami sono fatti per la vita e non la vita per i legami. L'uomo è un essere sociale per poter vivere ha bisogno dell'altro, ma non di dipendere morbosamente dall'altro. Chi è "dentro", come Gesù, vede quali sono le relazioni più vitali, quelle appunto che coinvolgono interiormente, all'ascolto di una Parola che dà vita. Le voci da "fuori", che sono lì, pronte addirittura a dirti che sei tu quello pazzo e "quello fuori", sì, forse danno un po' fastidio, dispiacciono, ma non sconvolgono la vita vera. L'amore non sta infatti nel fermarsi fuori a richiamare. Il vero legame è quando tu hai coraggio di entrare dentro la vita del fratello, non in quello che tu pensi che egli sia, ma in quello che egli davvero è. E questo significa davvero sapersi mettere in ascolto di quella Parola, che lo abita.
Una delle cose peggiori che possono succedere quando tu stai in compagnia. Arrivano i tuoi e ti richiamano, ti vogliono tirare fuori. Peggio ancora: non entrano ma mandano qualcuno a chiamarti. Forse un po' di rabbia e scocciatura ci sta. Ma Gesù sembra che non si lasci scomporre da queste possibili istintive reazioni. Fa direttamente una mossa che da un lato potrebbe sconvolgere di più, dall'altro lato svela la sua estrema libertà interiore che si manifesta proprio nel fatto che lui non si altera. In queste situazioni, noi ci arrabbiamo perché ci sentiamo trascinati o vincolati da dei legami, giustamente, avendo a che fare con i nostri familiari. Il punto è restare, come Gesù, dentro e dentro di sé. Se dentro di te c'è la sufficiente sicurezza, quella buona, che non è sfacciataggine, tu non ti scomponi, ma rimani dentro, presente a te stesso, anche quando da fuori ti richiamano, rifacendosi ai legami più legittimi di questo mondo. I legami sono fatti per la vita e non la vita per i legami. L'uomo è un essere sociale per poter vivere ha bisogno dell'altro, ma non di dipendere morbosamente dall'altro. Chi è "dentro", come Gesù, vede quali sono le relazioni più vitali, quelle appunto che coinvolgono interiormente, all'ascolto di una Parola che dà vita. Le voci da "fuori", che sono lì, pronte addirittura a dirti che sei tu quello pazzo e "quello fuori", sì, forse danno un po' fastidio, dispiacciono, ma non sconvolgono la vita vera. L'amore non sta infatti nel fermarsi fuori a richiamare. Il vero legame è quando tu hai coraggio di entrare dentro la vita del fratello, non in quello che tu pensi che egli sia, ma in quello che egli davvero è. E questo significa davvero sapersi mettere in ascolto di quella Parola, che lo abita.
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domenica 1 settembre 2019
brutte figure a tavola
Che brutta figura! Certo, quando tu inviti un personaggio di un certo spessore a casa tua... magari sperando in fondo di attirare la gente, di fare la figura di chi è importante o coraggioso e poi la fine è come quella del capitolo 14 di Luca, vangeli di questi giorni, insomma... Il fariseo che ha organizzato il banchetto, chissà in fondo cosa sperava... Forse pensava che invitando Gesù, avrebbe fatto un gesto clamoroso, forse voleva essere trasgressivo, mostrare che non ha paura di invitare uno che viene contrastato. Forse invece era curioso e voleva vedere se la gente accorreva. Forse voleva intrappolare Gesù, mettendogli davanti l'idropico... Qualsiasi cosa non alberghi nel suo cuore, certamente non si aspetta il risultato che viene. Gesù da quando entra per il banchetto, osserva e commenta... eh insomma, i commenti non sono esattamente quelli che uno si aspetterebbe... Infine: "quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici...". Ecco cosa sta succedendo. Il fariseo invita un personaggio importante... ma non sa, che lui non solo non ricambierà in nessun modo, con nessun tipo di soddisfazione, ma che lui è proprio il primo di quei poveri da invitare, gratuitamente, anche se "non sanno come comportarsi". Perché questo sembra far vedere Gesù: fa commenti inopportuni, fa fare brutte figure al fariseo. Ebbene, così funziona lui.
Noi pensiamo che facendo figura di quelli che sono "vicini a Dio", cioè quelli "di chiesa", ci mettiamo "al sicuro", eppure è proprio al contrario.
Invitarlo nella propria casa, al proprio banchetto, significa essere decisi e disponibili ad essere disturbati, a mettersi in discussione per primi. Mangiare con lui, non significa condividere con lui il nostro cibo, ma accorgersi che dobbiamo condividere noi il cibo che egli ci offre. E il suo cibo è fare la volontà del Padre. E queste, lo sappiamo, sono cose che non vanno di moda, e non servono certamente per conservare la buona faccia e per fare la bella figura. Buon appetito, dunque a noi, al banchetto imbandito da Lui, per noi, poveri, che riceveremo tanto, gratuitamente.
lunedì 19 agosto 2019
sabato 17 agosto 2019
domanda e/o risposta
Lo scarto del tempo tra la domanda e la risposta: ecco lo spazio per la fiducia. E diventa spazio tanto più sacro, quanto più coltivi la memoria di questa domanda (nella logica del ricordare: ripassare dalle parti del cuore). E diventa tanto più profondo quanto più permetti che l'attesa diventi fonte di felicità nella tua vita. Perché l'attesa è già un punto d'arrivo, concepito ma non ancora nato. Si nutre di fiducia per crescere. Tu forse attendi che nasca come una risposta certa, una scelta sicura. Ma quando avrai atteso, nell'abbandono, verrà il tempo e mi dirai: non sono certo, sono felice; non sono sicuro ma il mio amore ha finalmente una forma.
sabato 1 giugno 2019
la forza delle domande
"Chiedete ed otrerrete" mi fa pensare oggi a una cosa che continuamente accade nella vita. La capacità di domandare è la virtù di chi non si sente arrivato. Quante volte ci siamo vergognati di porre le domande, quando bisognava farle? Quanti disagi a volte ne conseguirono? Quanto più semplice sarebbe la nostra vita, se non dovessimo fare sempre la figura di chi già sa. Come se porre le domande fosse una cosa che sminuisce la nostra umanità. Ebbene, chi non chiede, rischia di cadere in una specie di presunzione, delle volte senza nemmeno accorgersene. Ma un conto è presumere rispetto al propri sapere: quando ci sembra che sappiamo tanto su tanti argomenti (e può essere anche vero). Invece un'altra cosa è quando noi presumiamo di ciò che risiede nelle persone con cui entriamo in relazione. E' lì che si giocano tante cose. Si feriscono le persone, si attribuisce a loro qualcosa (o più cose) che non esistono. Si, essere capaci di domandare la ragione di ciò che l'altro, dunque diverso da me, compie, richiede coraggio... e richiede ancora più coraggio ascoltare la risposta quando arriva. Inutile porre i quesiti se si ha già dentro la risposta. Aveva ragione la grande Alda Merini quando diceva che la semplicità è la raffinatezza della profondità. Infatti, è molto più semplice e semplificante, porre le domande. Ed è frutto del desiderio di andare in profondità della vita, di ascoltare profondamente l'altro. E questo significa non essere arrivati e non sentirsi tali. Essere semplici, appunto, bisognosi di alzare la mano e chiedere. Forse per questo il Vangelo di oggi ci dice di mettersi d'accordo per strada con l'avversario... perché è più semplice e immediato che non andare da un giudice. Occorre abbandonare la vergogna di non sapere, la rigidità che risulta a volte un silenzioso giudice. Tornare come bambini, sempre desiderosi di conoscere, sempre fiduciosi, forti delle loro domande... "perché la nostra gioia sia oiena".
mercoledì 17 aprile 2019
sono proprio io
Mt 16,14-25
Se guardiamo bene la nostra vita, anche quella molto quotidiana, di solito quando succede qualcosa che "non va", e lo notiamo, senza sapere chi ne è l'artefice, la domanda che scatta immediatamente è: "chi l'ha fatto?" Come se fosse così estremamente importante trovare sempre il colpevole. Come se stessimo sempre a dire: io ho notato questa cosa fatta male e ora la faccio pagare a chi l'ha fatta. Come se nella nostra natura fosse in qualche maniera scritto in profondità, che occorre punire il "peccatore", altrimenti non si espia il peccato. E' sempre la logica dell'incapacità di separare il peccato dal peccatore. In fondo è una logica che viene superata nella Pasqua.
Forte e impressionante la domanda che oggi si pongono i discepoli riuniti nel Cenacolo.
Forte soprattutto proprio perché già comincia a rovesciare questa logica. All'annuncio del tradimento, i discepoli cominciano immediatamente a rivolgere la domanda a loro stessi: "sono forse io?". Quindi non più: "chi sarà?", oppure "sarà sicuramente...", ma il rovesciamento a 180°. L'ammissione della possibilità che sia proprio io quel che tradisce. E quindi, secondo la logica della legge del taglione, sono io a dover pagare. E poi la Pasqua porta un ulteriore rovesciamento: sì, sei proprio tu colui che tradisce, ma non devi pagare, perché paga il tradito. Ed è proprio per questo che puoi ammetterlo, puoi dirlo, guardando il tuo proprio riflesso e scorgendo in esso i tratti della misericordia, grazie alla quale vivi. Puoi dirlo forte a te stesso e poi anche agli altri: sì, sono proprio io. Cerco di non tradire, ma tradisco e sono perdonato. Perché anche nella notte del mio peccato, nell'oscuro sentimento di essere nudo e disprezzato per la mia debolezza, risplende un abbraccio nuovo. E il Risorto mi avvolge nella Risurrezione.
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mercoledì 10 aprile 2019
un nome, non una garanzia
Gv 8,31-42
L'appartenenza ad un gruppo sempre porta in sé una dose di senso di sicurezza, una sorta di garanzia. Questo accade per eccellenza in una famiglia. Di certo ognuno di noi ha sentito svariate volte, come si associano gli atteggiamenti, i comportamenti, le doti, i difetti ecc, ad un cognome o ad un paese. Delle volte in negativo, altre volte in positivo.
Così anche i Giudei del Vangelo di oggi. Al mimo accenno di Gesù, su una possibilità di cambiamento, la negano immediatamente a partire dall'appartenenza ad una discendenza. Essere "quelli di Abramo", significa non essere mai stati schiavi. Sono pericolose convinzioni e false sicurezze. E' vero e certo che un qualsiasi gruppo di appartenenza deve dare un certo senso di sicurezza e protezione, tuttavia un'identità individuale non si può nascondere dietro un'identità collettiva. Il "grado di schiavitù" o di libertà, non dipende dal nome che portiamo. Certamente alcuni atteggiamenti che si perpetuano nelle famiglie di generazione in generazione, possono determinare notevolmente la vita di un discendente ma mai definitivamente. Un nome non è mai una garanzia. Oppure può esserlo solo nelle circostanze molto circoscritte. Gesù ci tiene di ricordarlo. La libertà o la schiavitù si gioca dentro di noi, nelle nostre decisioni, nelle conseguenti azioni, nella capacità di cambiamento. Anche quando ci qualifichiamo come figli di Dio, non siamo automaticamente esenti dal peccato, o dalla debolezza. Piuttosto ci identifichiamo con coloro che sono stati chiamati alla libertà e, consapevoli di questo, ad essa aspirano. E proprio per questo motivo, sono in grado di accettare che tanti passi ancora restano da fare verso la vera libertà dei figli di Dio. Che non siamo mai arrivati. E che, se qualcuno ce lo fa notare, non è necessariamente per sminuirci, ma forse semplicemente per spronarci nel cammino, e scegliere di non nasconderci più dietro una responsabilità collettiva, ma assumere quella più alta e gratificante, quella personale.
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martedì 9 aprile 2019
da un'altra prospettiva
Gv 8,21-30
Continua il discorso di Gesù. Continua anche l'incredulità e l'ostinazione di chi non vuole o non può credere in Lui.
E allora scatta la considerazione sul punto di vista da cui guardare le cose. Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete...
Hai mai guardato la stessa persona prima dal basso e poi dall'alto (oppure vice versa)? O meglio ancora: mettendo ben a fuoco cosa succede quando cambiamo la posizione verso la persona, dal punto di vista fisico, pensiamo ora allo sguardo interiore. Hai mai cambiato la posizione verso qualcuno, interiormente? Ti è capitato di guardare (forse anche inconsapevolmente) qualcuno dall'alto verso il basso per un lungo tempo, con la poca voglia di avvicinarti a lui o di "degnarlo" di uno sguardo diverso rispetto al solito? Ti è mai venuto in mente che forse proprio quella persona, che guardi un po' dall'alto, magari non tanto o non solo per antipatia ma anche per la tua personale insicurezza, che non vuoi esternare (come fu nel caso di farisei che, insicuri sulla persona di Gesù, preferivano coglierlo in fallo e/o comunque ostinarsi nel non volersi avvicinare alla sua "posizione"), potrebbe essere qualcos'altro, rispetto a quello che tu pensi? Beh, se hai questa esperienza, sai allora che le parole di Gesù sono sacrosante. Solo quando cambiamo la prospettiva, quando "innalziamo" la persona, purtroppo spesso esattamente come fu fatto a Lui, messo in croce, riusciamo a vedere la sua grandezza. Questo può succedere nelle circostanze della vita o semplicemente perché anche noi ci mettiamo in croce a vicenda. Ma poi finalmente abbiamo modo di guardare l'altro dal basso, da una nuova prospettiva... forse si presenta finalmente quell'occasione in cui siamo noi quelli piccoli, quelli più indifesi o perché ci rendiamo conto che abbiamo messo in croce qualcuno, o perché vediamo una grandezza che prima non eravamo in grado di percepire. Dunque, può essere un compito interessante per questi ultimi giorni della Quaresima: cambiare la prospettiva, assumere un'altra posizione, e questo significa: permettere ai nostri occhi di vedere qualcosa, che prima non sono stati capaci di scorgere.
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lunedì 8 aprile 2019
reggersi da soli
Gv 8,12-20
Oggi mi viene da fare una riflessione "girata di 180°" rispetto a ciò che dicevamo qualche giorno fa. Osservavamo Gesù che non pretendeva che si credesse solo nella sua testimonianza, ma diceva di avere altri testimoni. Oggi punta invece sulle parole che Egli stessi dice di sé, e sul Padre, che purtroppo coloro che lo ascoltano, non vedono e non riescono a percepire. Bene, vediamo quante volte nella nostra vita, specie parlano di noi stessi, diciamo "ti giuro che..." e "puoi chiedere a...". Insomma a tutti i costi cerchiamo di convincere le persone che sono attorno a noi che una cosa, un evento, una nostra caratteristica, davvero sono come noi le presentiamo. Certamente nella vita serve delle volte farlo. E di solito lo facciamo nei confronti delle persone a cui ci teniamo. E fin qui comunque è tutto normale. Il problema comincia, quando a noi crolla il mondo solo perché le persone non ci credono. Quando d'istinto cominciamo a fare di tutto e a cercare di convincere, magari spendendo forze, tempo, energie, rincorrendo le persone a cui dobbiamo provare qualcosa... solo per avere l'approvazione. E Gesù dice: "anche se io do testimonianza a me stesso, la mia testimonianza è vera". E basta. Le frasi che pronuncia dopo, non sono per nulla volte a convincere i farisei della sua veridicità, anzi, sembra che la distanza tra lui e chi ascolta si stia anche allungando.
Eh sì. Bisogna imparare da lui a reggersi da soli. Certo, siamo esseri in relazione, abbiamo bisogno di curarle ecc. Tuttavia siamo anche soli davanti a Dio, che ci vede per quel che siamo e solo Lui ci vede nella nostra verità. Perché rincorriamo le persone e cerchiamo a tutti i costi la loro approvazione? Forse perché spesso non sappiamo reggerci in piedi da soli e cerchiamo un bastone, cioé una persona che ci regga la vita, che ci dia il ritorno del suo valore. E non ci ricordiamo più che valiamo solo perché esistiamo... Quando ci viene da giurare e da voler convincere qualcuno di qualche cosa, invece di corrergli dietro, forse potremmo fermarci, prendere un bel respiro profondo e dirci: "ma cosa mi cambia, se non mi crede?" Forse scopriremmo che in fondo non ci cambia nulla, che il nostro valore resta lo stesso perché siamo sempre amati, anche quando il rifiuto di qualcuno momentaneamente ci ferisce. Forse anche questo è un passettino verso la libertà interiore: sapere che i legami sono necessari, ma che devono essere sani e che in ogni amore ci vuole anche la giusta distanza, quel respiro appunto, che ci permetta di assaporare lo sguardo d'amore sempre rivolto su di noi al di là del fatto che riceviamo le approvazioni o meno. Questo significa in fin dei conti amare, relazionarsi, ma non essere dipendenti. Questo ci apre alle relazioni libere e all'amore di Dio.
domenica 7 aprile 2019
sotto i riflettori
La nostra fragilità. L'argomento che puntualmente sfuggiamo o, se lo affrontiamo, è quasi sempre con quella scomodità nel cuore, per doverci ammettere imperfetti. Questa condizione della nostra vita ci parla di un deficit, di un vuoto da colmare. Basta guardare già le prime battute dell’odierno brano di Giovanni.
La folla va dietro a Gesù: qualcosa che le manca. Ma improvvisamente, il nostro sguardo si sposta ad una donna, sola, ferita nel centro più profondo dell’essere umano. È un’adultera, colei che svende il suo corpo, permettendo che venga ferito nella sua capacità di amare. Ed ora questa piaga viene messa lì, al centro, davanti a tutti, senza scrupoli per essere usata per mettere alla prova Dio stesso. Gli scribi e i farisei volendo cogliere in fallo Gesù, non si accorgono però che gli danno in questa maniera l’occasione per mostrarsi esattamente per quello che Egli è, Misericordia. Il tutto, coperto accuratamente dalle prescrizioni della legge, quasi fosse una copertina dorata, che copre però sotto dei complicati meccanismi che nel loro intento, dovrebbero nascondere il loro peccato, palesando quello della donna.
Gesù non dà retta alla loro domanda “a trabocchetto”. Gli esegeti ci direbbero che il suo dito che scrive per terra, è quello della mano di Dio che crea e che ora ri-crea la vita ferita dell’adultera. Ma, cercando di guardare la scena dal punto di vista umano, sembra che Gesù fa questo gesto, per sminuire l’imbarazzo della donna, già tanto umiliata. Lui, Dio, l’unico senza peccato, resta con lo sguardo fisso per terra: anche lui si sente umiliato e prova vergogna. Alza gli occhi solo a loro e risponde con un interrogativo, destinato a restare senza risposta esplicita.
Il Signore accende così un riflettore che illumina tutti gli angoli dell’umanità dei protagonisti. Qualcuno ne resta illuminato, anche se fa male, come ad esempio la donna. Qualcuno invece scappa, sfugge la luce.
Il gesto di condannare l’altro resta sempre sintomo della mancanza della misericordia che non vale solo per il prossimo, ma in fondo vale anche per se stessi. I farisei e gli scribi condannano l’adultera e in seguito condannano se stessi, scappando dalla luce che gli ha appena rivelato la verità sulla loro fragilità. E non regge nessuna Legge.
E infine: colei che non scappa, non viene giudicata da Dio, ma diviene oggetto della sua misericordia. Si svela l’incapacità del male, davanti alla grandezza della misericordia divina. “Nessuno ti ha condannata”: perché in primis non sei condannata da Dio. Chi vuole evitare la luce, si condanna da solo. E non può più sentire le parole di incoraggiamento che liberano definitivamente dalla pretesa di perfezione: “non peccare più”, cioè non autocondannarti più, perché c’è un Amore più grande, che fa sì che la tua debolezza non scompaia, ma sia per sempre amata e per questo redenta.
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venerdì 5 aprile 2019
sprigionare la libertà
Gv 7,1-2.10.25-30
Una lezione di libertà dietro all'altra, nel brano di oggi. Se ci pensiamo, esistono delle persone che non hanno paura di parlare apertamente e, sebbene la verità faccia male, non gli viene detto né fatto nulla. E, di solito queste persone, riprendendo il pensiero di ieri, non hanno bisogno di urlare, non intimidiscono per essere ascoltate. Semplicemente parlano. E la veridicità delle loro parole, fa effetto da sé. Vi siete mai domandati, perché alcuni quando aprono bocca, vengono subito contestati e schiacciati e altri no? Saranno probabilmente i modi, utilizzati a lungo dalle persone, che creano un certo tipo di effetto. Non c'è niente da fare, aveva ragione quella persona che disse che possiamo sentirci veramente liberi di essere quello che siamo, solo in presenza delle persone veramente libere dentro. E quando accade questo, non ci sono più barriere, ci si può dire quello che si pensa e quello che si è, sia che si tratti di contatto "a quattro occhi", sia quando c'è una grande quantità di gente. Sei veramente te stesso quando non ti senti giudicato, né condannato per la tua possibile fragilità ecc.
Ma la domanda sul comportamento di Gesù oggi va oltre. Chi è Lui? Beh, si dicono: se è veramente l'inviato di Dio, allora sì capisce, bisogna ascoltarlo. E' proprio così: tu ascolti o meno una persona in base all'importanza che le dai. Ma, tornando a ciò che abbiamo appena detto: dai importanza alla persona presso la quale ti senti stimato per quello che sei.
E ancora un altro gradino di libertà, ci propone Gesù. Sapendo cosa pensano su di lui, punta proprio lì. Ha proprio quel coraggio che le persone libere hanno, di dire: bene, visto che le cose sono contorte e complicate, quando chiuse all'interno delle menti umane, portiamole alla luce, in modo che si semplifichino e siano limpide. Questo poi, a chi non ha realmente sperimentato il suo amore e la sua presenza liberatoria, suona scomodo, perché colpisce in quel qualcosa che doveva rimanere oscuro e non essere manifesto. Dunque cercano di fargli uno sgambetto. E non ci riescono.
La libertà e la verità vanno a braccetto. Non conoscono le barriere delle contorsioni mentali, dei sospetti inutili, delle intuizioni non verificate. Sono semplici e luminose e "si riproducono" velocemente in quanti sono disposti ad uscire allo scoperto. A noi la scelta.
mercoledì 3 aprile 2019
tutto diventa giovane [4]
Cristo vive! No, non sono auguri pasquali in anticipo. Sono le prime parole dell'appena uscita esortazione apostolica.
Non l'ho ancora letta tutta... (299 paragrafi fanno un po' paura :D ). Ma leggo le prime frasi. E queste sono per me già una buona novella.
Cristo vive! Egli è la nostra speranza, e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che rivolgo a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!
Cristo vive! Egli è la nostra speranza, e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che rivolgo a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!
Non sono sicura di appartenere ancora alla categoria dei giovani cristiani. Strano pensare che Gesù, quando è morto aveva più o meno la mia età. So che vorrei che queste parole siano per me, proprio perché tutto ciò che viene toccato da Dio, ringiovanisce e non c'è più bel desiderio di quello di essere toccati da Lui, e ricolmati della sua Vita. Lui infatti non vuole la morte del peccatore ma che EGLI VIVA! Credo sia una bellissima notizia, a questo punto del cammino quaresimale.
Sono molto curiosa delle cose che ci suggerisce Francesco per conservare sempre un cuore giovane, aperto e pronto a collaborare al disegno della salvezza. Conoscendo il nostro Papa, saranno di certo delle indicazioni molto concrete, che toccano da vicino la nostra vita.
Buona lettura a noi, allora. La prospettiva è meravigliosa: arrivare alla ennesima Pasqua della nostra vita, con il pensiero di poter ringiovanire ancora una volta, perché sebbene sia vero che gli anni passano, è altrettanto vero che la vita si rinnova, proprio con la Risurrezione di Cristo. A noi la voglia di rispondere al dono di questa Vita! A noi scegliere di essere giovani, donne e uomini della Risurrezione.
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tale padre tale figlio
Gv 5,17-30
Dunque come è questa storia? Chi è più importante padre o figlio? Credo sia chiara la risposta. Ma! C'è un "ma". E' chiaro che nella relazione padre-figlio c'è sempre una nota di ovvia superiorità e inferiorità. Questa posizione tuttavia ha una ragion d'essere solo fino a un certo punto della vita e della "carriera" di padre e di quella relativa di figlio. Per quanto restino per sempre legati, viene il momento in cui tutti e due si incontrano "allo stesso livello" della vita. Il padre deve accettare che il figlio ormai è cresciuto. Qualsiasi scelta farà, giusta o sbagliata, sarà la sua. Il genitore può dare un consiglio ma non si può sostituire al figlio (sebbene il figlio sia naturalmente portato a riprodurre i suoi errori) e non può continuare a guardarlo "dall'alto". Altrettanto il figlio deve assumersi responsabilmente la sua crescita e iniziare a vivere camminando con le proprie gambe non dare al padre l'occasione di continuare a trattarlo come un bambino. Dunque Gesù cosa vuole dire quando dice: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare il Padre? Suona un po' come se Gesù fosse dipendente dal Padre, alla maniera di un uomo immaturo? Fermo restando ciò che abbiamo detto sopra: cioè che riprodurre i gesti buoni e meno buoni dei genitori, è un meccanismo psicologico "normale", qui però si stratta di qualcosa di più. Il Padre infatti ama il Figlio. Ecco il primo elemento essenziale: l'amore. E quello, lo sappiamo, libera, altrimenti non sarebbe amore. Il Padre... gli ha dato il potere di giudicare: Dio rispetta la natura umana del Figlio e lo lascia "libero" di giudicare, anche se il legame è tale da far sì che il giudizio dei due sia sempre lo stesso.
Dunque come è questa storia? Chi è più importante padre o figlio? Credo sia chiara la risposta. Ma! C'è un "ma". E' chiaro che nella relazione padre-figlio c'è sempre una nota di ovvia superiorità e inferiorità. Questa posizione tuttavia ha una ragion d'essere solo fino a un certo punto della vita e della "carriera" di padre e di quella relativa di figlio. Per quanto restino per sempre legati, viene il momento in cui tutti e due si incontrano "allo stesso livello" della vita. Il padre deve accettare che il figlio ormai è cresciuto. Qualsiasi scelta farà, giusta o sbagliata, sarà la sua. Il genitore può dare un consiglio ma non si può sostituire al figlio (sebbene il figlio sia naturalmente portato a riprodurre i suoi errori) e non può continuare a guardarlo "dall'alto". Altrettanto il figlio deve assumersi responsabilmente la sua crescita e iniziare a vivere camminando con le proprie gambe non dare al padre l'occasione di continuare a trattarlo come un bambino. Dunque Gesù cosa vuole dire quando dice: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare il Padre? Suona un po' come se Gesù fosse dipendente dal Padre, alla maniera di un uomo immaturo? Fermo restando ciò che abbiamo detto sopra: cioè che riprodurre i gesti buoni e meno buoni dei genitori, è un meccanismo psicologico "normale", qui però si stratta di qualcosa di più. Il Padre infatti ama il Figlio. Ecco il primo elemento essenziale: l'amore. E quello, lo sappiamo, libera, altrimenti non sarebbe amore. Il Padre... gli ha dato il potere di giudicare: Dio rispetta la natura umana del Figlio e lo lascia "libero" di giudicare, anche se il legame è tale da far sì che il giudizio dei due sia sempre lo stesso.
Fa pensare, che Dio operi con due categorie umane: amore e libertà, nel parlare del legame intratrinitario tra due persone della Trinità. Ma proprio amore e libertà sono due nomi dello Spirito. E questo fa pensare ancora di più. Per quanto non saremo mai capaci di scrutare e comprendere a fondo queste relazioni tra i Tre (come li chiamava beata Elisabetta della Trinità), pare che ogni valore umano delle relazioni familiari venga risaltato oggi dalla Parola di Dio. Figlio generato dal Padre, ma uguale a Lui, non dominato da lui. Figlio come persona indipendente, eppure legato dall'essenza del bene al Padre.
Forse può essere uno spunto buono per riflettere su come viviamo, nella nostra età adulta, le relazioni genitori-figli.
lunedì 25 marzo 2019
la libertà del SI
La Festa del SI
Una gravidanza come tante inattese di tutti i giorni in tutto il mondo. Gli stessi sentimenti di una qualsiasi donna che all’improvviso si scopre invasa. O peggio ancora: tu non conosci l’uomo. Nessuna, nemmeno una minima probabilità. È l’ora di trasformare invasione in inabitazione. In fondo ad invadere è solo la presenza del Signore presso di Lei. Nel suo racconto Luca usa tutti gli altri verbi detti dall’angelo al futuro: concepirai, darai alla luce, chiamerai, lo Spirito scenderà…Forse umanamente parlando sarebbe stato più facile se lui avesse pronunciato tutte queste cose al presente. Detto, fatto. Nulla da decidere, nulla da valutare. Forse da donna d’Israele del tempo, non era nemmeno abituata a decidere o ad avere diritto di dire qualcosa, ma piuttosto era abituata a sottomettersi. Non c’era nulla da intuire, perché le cose venivano stabilite dagli uomini o dalla Legge e andava bene ciò che emergeva da queste due fonti. Ora invece non c’è un uomo. Non lo conosce. E non c’è la Legge. Sta arrivando un bambino senza che si fossero adempiuti tutti i passaggi necessari per la creazione di una famiglia e la nascita di un figlio.
Tempo della massima espressione della libertà dell’uomo, data dall’intuizione che viene dallo Spirito che abita l’umano. Il passaggio dall’osservanza alla libertà genera Dio nel mondo. In punta dei piedi e con la massima cautela, nell’attento ascolto di ciò che muove interiormente. È discernimento delle voci che risuonano dentro, discernimento che per sempre cambierà le sorti dell’uomo. Lasciati dunque guidare da quelle intuizioni bambine, che nessun genitore al mondo mai può trasmettere al proprio figlio. Esse appartengono al tuo essere Figlia di Dio e ad una relazione unica, irripetibile, con la misteriosa voce di Colui che ama e ti rende feconda in tenera età. Esse ti porteranno dietro alla voce dell’amore che non inganna. E tutto si giocherà nel tuo piccolo cuore, per quel piccolo piano salvifico che nella sua immanenza si nasconde in ogni piccolo frammento della vita del mondo.
Ed eccoti ancella e portatrice dell’eternità, per sempre. Per sempre madre e serva. Un incontro stupefacente, il tuo, con il divino. Il piccolo si mescola con il grande, anzi con la grandezza. Non perdi nulla della tua piccolezza, assumendo tutta la grandezza. Fai entrare la grandezza nella piccolezza, l’infinito tra le pareti di un grembo. L’angelo se ne può andare. Ha compiuto la sua missione: affidare il suo Signore all’intuizione di una ragazza madre.
giovedì 21 marzo 2019
tornare all'Unico importante [3]
Proseguendo la nostra riflessione quaresimale...
Per fortuna capita nella vita quel momento in cui le visioni ideali di noi stessi e degli altri, costruite con l'enorme dispendio delle nostre energie, crollano. E' il momento della conversione e del ritorno al Dio vero. Si allontana rapidamente l'immagine del Dio sui piedistalli, perché quando manca la terra sotto i piedi, all'improvviso cominciamo ad invocare la vicinanza di Dio, lo vogliamo concretamente agente nella nostra esistenza, cominciamo a fidarci. Avremo bisogno del tempo, per ritornare a sentirci bene con noi stessi, e ovviamente con Lui pure, una volta che il cuore comincerà a sentirsi bisognoso e perciò contenitore per la misericordia.
Fino a quando cercavamo con le nostre sole forze arrivare in fondo ad ogni cosa, ricoprendoci le spalle con il mantello di supereroe, pronto per salvare il mondo, non eravamo disposti a ricevere le cure del Creatore. Avevamo un'idea per la nostra vita e una visione precisa della nostra realtà, Mentre Lui, pazientemente attendeva l'occasione per prenderci per mano e portare sulle vie da Lui preparate. Sarebbe bello imparare come l'amore di Dio è sempre sorprendente. E che non ci deluderà mai, se siamo disposti ad accogliere l'imprevisto.
Questo potrebbe risultare talvolta difficile, soprattutto se per lunghi anni abbiamo tenuto la nostra vita ben stretta in pugno e se questo infine ci ha fatto sentire soli. Impareremo a fidarci di Dio, lasciando il controllo nelle sue mani, senza irrigidirci sui nostri schemi, Perché camminare sulle sue vie, non di rado comporta l'insicurezza e tanti punti interrogativi. Ma così in fin dei conti può finalmente morire il nostro vecchio modo di essere, e nasce l'uomo nuovo. Un parto è sempre un'esperienza difficile, per cui il percorso non è semplice. Ma grazie ad esso torneremo ad essere albero che porta frutti (cf. Mt 7, 16-20).
Quando infatti prendiamo coscienza e non abbiamo paura della nostra piccolezza, Dio ci rende capaci di costruire non più su noi stessi, ma sulla Roccia che è lui.
La Quaresima è allora per noi quel tempo in cui, al termine potremo forse dire con più forza e consapevolezza: ripongo tutta la mia fiducia nel Signore, mi fido sempre della sua Parola.
[continua]
mercoledì 20 marzo 2019
uomo, non Dio [2]
Ci siamo fermati nella prima riflessione dicendo che possiamo costruire le vere relazioni solo svelando il nostro vero io.
Dobbiamo ricordarci che allacciare i rapporti porta con sé un certo rischio, quello di aggrapparci poi alle persone e cercare in loro il compimento dei nostri desideri. Diventiamo dipendenti dagli altri, forse delle volte senza accorgerci che li cerchiamo per colmare le nostre lacune. Se non abbiamo un forte e costruttivo legame con Cristo, sarà senz'altro faticoso instaurare delle sane relazioni con le persone. Nessuno vive per andare incontro ai nostri bisogni. Come nessuno potrà mai dirci cosa è meglio per noi e come scoprire i nostri desideri più profondi. Ovviamente possiamo e dobbiamo ascoltare i consigli che ci vengono dati, ma sempre ricordandoci che essi provengono da un'esperienza individuale della vita di quella persona. Possono servire a noi, ma la responsabilità per la nostra vita, resta sempre personale e come tale, sta nelle nostre mani. Ognuno di noi, infatti ha una sensibilità e un vissuto differente. Di certo vale anche al contrario: non posso esigere che una persona si comporti in quel modo che per me è stato utile nella vita, perché è la persona stessa che, in fin dei conti, deve decidere cosa è bene per lei. Posso aiutarla, ma mai esigere che faccia ciò che dico, altrimenti limito la sua libertà.
Ci dobbiamo ricordare sempre che "riempirsi di una persona", è sempre un'esperienza e, nel caso, un antidoto passeggero per le nostre tristezze e per i nostri dolori. A lungo andare questo atteggiamento porta alla profonda delusione, perché prima o poi ci accorgiamo che le persone non sono in grado di colmare certi vuoti che abbiamo dentro. Così il fatto di avere delle attese o addirittura delle pretese verso l'altro, è fonte di frustrazione soprattutto per noi stessi. Siamo capaci anche di andare avanti cercando di convincere noi stessi che va bene appoggiarsi su una persona, fino a quando non arriva la grande delusione, quando non otteniamo ciò che stiamo cercando. Capita pure, che spostiamo l'attenzione su un'altra persona, senza accorgerci dello schema che stiamo riproducendo, che ci porta di frustrazione in frustrazione. Esso ci allontana dalla vera realizzazione dei nostri desideri e, di certo anche da Dio, che, mentre dovrebbe essere al centro della nostra vita (se siamo cristiani), viene sostituito da un surrogato umano.
[continua]
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