Gv 6,52-59
Una solennità del Corpus Domini che non dimenticheremo, per la mancanza della consueta processione. Forse un'occasione in più per confrontarci con il significato di questa giornata. Ci sarebbero ad esempio oggi alcune differenze da considerare. Tipo quella tra la fame e la voglia di mangiare qualcosa. Oppure quella tra l'abbuffarsi e il saziarsi e tra il riempirsi e il mangiare. No, non intendo fare ciò che compete ai nutrizionisti e nemmeno proporre una dieta più o meno salutare. Tuttavia è simpatico osservare le nostre abitudini alimentari, per capire come va la nostra vita. Anzi, forse potrebbe essere una nuova angolatura per guardarla. Sappiamo infatti, che il mangiare è collegato immediatamente con la nostra vita affettiva. Non a caso il primo modo per esprimere l'amore materno è nutrire il proprio figlio. Così nella vita prenatale e così dopo. Per esprimerci l'affetto reciprocamente, noi ci raduniamo attorno ad una tavola imbandita o "andiamo a prenderci qualcosa" e in questa circostanza, ci raccontiamo e ci ascoltiamo. Quando nella nostra vita ci sono degli squilibri affettivi, spesse volte li compensiamo con il mangiare o il non mangiare (dipende da altri fattori poi). Da qui poi la necessità di prendere o perdere il peso. Addirittura, quando tutto ciò diventa molto grave, oscilliamo con il nostro peso corporeo. Notate pure, che quando uno si sacrifica per l'altro, si dice che si è consumato, cioè "ha mangiato se stesso", per darsi all'altro. Oppure, in qualche modo si può dire, che l'altro l'ha consumato, perché ha usufruito delle energie dell'altro per vivere/crescere/avere l'aiuto necessario. Questo tipo di dinamica ha una doppia faccia: può parlare della bellezza della donazione reciproca o del dono che una persona fa di se stessa, oppure dell'eccesso, quando uno si dona e si "dissangua", perché non ama se stesso (che sono poi quei casi che noi chiamiamo burnout).
Di cosa parla oggi Gesù? Come può costui darci la sua carne da mangiare? chiedono giustamente i giudei. E chi gliel'ha chiesto, dal momento che è diventato chiaro che alcuni lo seguono, perché lui procura loro il cibo, lo moltiplica ecc... Fa ribrezzo al primo pensiero: non siamo mica cannibali. Ma certo, siamo in grado di succhiare la vita dagli altri, approfittandocene in varie circostanze della vita. Qui invece c'è uno che dona gratuitamente se stesso e anzi, dice che se non mangiamo la sua carne, non avremo in noi la vita. La vita, quella vera, eterna. E lo sentiamo bene, nello sperimentare le differenze di cui parlavamo all'inizio. Come mi sento quando mi sono abbuffato, perché avevo una fame da lupi, e invece quando mi sazio per lo stesso motivo? Pesantezza, incapacità di reagire, abbiocco, intorpidimento generale, "non l'avessi fatto", "da domani la dieta". E dall'altro lato, quando siamo sazi: "che bello, ho mangiato bene ma non mi sento pesante". Malessere e benessere. E sì, si tratta pure del peso. Peso che aumenta, man mano che mangiamo la sua carne. Perché peso in ebraico è kabod, è gloria. E la gloria di Dio è l'uomo vivente, quello, appunto che si sazia quotidianamente della sua carne e vive, vive per sempre. Ed è questo il peso giusto, che permette a noi di avere quelle energie, che poi servono per essere speso per amare gli altri, per condividere e accrescere in loro il peso della gloria, cioé la bellezza di vivere già in questa vita rivolti verso l'eternità. Non più chiusi nella pesantezza da indigestione dei propri giorni, non più consumati dal non-amore verso noi stessi nascosto nell'apparenza del servizio, ma viventi, sazi della sua carne, per la vita nostra e quella del mondo. Perché tu sei quel che mangi. E se mangi Lui, riempi il mondo della presenza di Dio.