martedì 27 dicembre 2022

corse natalizie, corse pasquali

Gv 20,1-9

Quanto corriamo di solito quando abbiamo a che fare con un evento particolare? Se pensiamo che ormai si dice spesso che "corriamo sempre", figuriamoci, se deve succedere qualcosa di particolare, una festa, un evento per cui ci teniamo. Quante energie mettiamo nella preparazione di esso... Forse però non viene da correre o da affrettarsi, quando andiamo a trovare un caro defunto al cimitero, soprattutto se è appena scomparso. Probabilmente anzi, il cuore si sente appesantito e non sappiamo, dal punto di vista emotivo, cosa può comportare una tale visita. In effetti, nemmeno Maria di Magdala corre al mattino verso il sepolcro (perlomeno non da quanto vi riferisce Giovanni). Invece comincia a muovere le gambe, quando non trova più il corpo di Gesù. Ecco che comincia a correre. Cercava un morto ed egli non c'è. Si interrompe una depressa quiete delle giornate lunghe e insopportabili dopo la morte di una cara persona. Si interrompe bruscamente e succedono delle cose strane. Il lutto è lì, già iniziato, la persona umana vive anche dal punto di vista psicologico il suo processo di accoglienza e di riconciliazione con una grave mancanza. Ed improvvisamente: si corre! La tomba è aperta, il corpo non c'è. Sconcerto, confusione, disperazione, insicurezza: tutti questi sentimenti fanno sì che si corre, si cerca aiuto. Appare una necessità quasi fisiologica di condividere questo fatto con gli altri, immediatamente, affinché ci si aiuti nella lettura del fatto. Ma gli altri hanno bisogno di vedere anche loro, per poter procedere ad una valutazione. Quindi probabilmente non è che Pietro e Giovanni non credono alla donna che li precede al sepolcro, è che hanno proprio bisogno di prendere le loro misure, o meglio, affrontare di persona il dato di fatto, per poi poter procedere a dargli un nome. Corre Giovanni: snello, veloce, davanti al sepolcro frena e viene sopraffatto dallo sconcerto. Corre Pietro: più lento, arriva dopo, ma senza indugio entra nella tomba e costata fino in fondo il fatto che Gesù non è più lì! Corrono i pensieri, i sentimenti, saltano fuori i ricordi, le parole udite: il Maestro aveva parlato del fatto che sarebbe risorto. E non si sa come calmarsi. Non ci sono punti di riferimento. Se anche aveva detto che sarebbe risorto, non si capisce cosa significhi, non ne esiste nessuna esperienza. Si va, si torna al e dal sepolcro, c'è chi si ferma e chi se ne va. Il NUOVO che improvvisamente entra nella storia, nella vita di ognuno dei "corridori"... sconvolti da questa novità. 
E a noi, quanto ci fa correre il Natale, la Pasqua? Lasciamo da parte finalmente tutte le frenesie di preparazione alle feste, le scadenze ecc. Quanto ci smuove interiormente, l'andare incontro al Signore appena nato e poi risorto? 

sabato 3 dicembre 2022

fino in fondo


Mt 9,35 - 10,1.6-8


Mi commuove il "fare fino in fondo" di Dio... la folla che si raduna attorno a Gesù è composta in gran parte dai malati di ogni genere. Questo per lui significa: tanto "lavoro". E credo che, una volta guariti, loro non si aspettavano nulla di più, perché lo stupore e la gioia della guarigione certamente non permetteva loro di pensare ad altro...
Eppure... Gesù va fino in fondo: loro non sono più malati, ora sono sani, ma ancora commuovono il cuore di Lui... e quindi decide di sfamarli. Ecco il nostro Dio che cura l'anima e il corpo, che ama l'uomo nella sua totalità!

giovedì 24 novembre 2022

l'esatto contrario

 


Lc 21,20-28

Ancora una volta, all'avvicinarsi dell'Avvento, ci troviamo davanti ad una parola che ci descrive la cosiddetta "fine del mondo". Un brano quello di oggi, composto di 8 corposi versetti che più avanti andiamo nella lettura, più può crearci ancora condizionamento e anche spavento. Come se il tempo che si apre davanti a noi dovesse essere qualcosa di terrificante. E poi... arriviamo all'ultima frase: risollevate il capo perché la vostra liberazione è vicina. E si comincia subito a respirare non solo il vero significato della fine del mondo, ma anche il vero significato del tempo dell'attesa della venuta del Signore. E' tempo di sconvolgimenti, di sensazione che il tempo cronologico si sta stringendo. Siamo verso la fine dell'anno, sta iniziando l'inverno, in molti siamo stanchi, l'Avvento porta una nota di nostalgia. Ma tutto questo acquista un significato nuovo, quando guardiamo proprio verso la fine. Nascerà ancora il Salvatore, la Vita ancora si rinnoverà, la nostra liberazione si incarna in un bambino. Non è così terribile allora la fine del mondo né la fine dell'anno, quando nel cuore vogliamo coltivare il calore di questa vita rinnovata e di questa indelebile promessa: promessa della salvezza e della felicità. Collocare il cuore nell'ottica dell'Avvento significa sfidare il colore viola che sovrasta anche le nostre liturgie. Il viola non più tristezza, ma inizio del rinnovamento, un viola che si confonde a un certo punto con il rosa e che arriva al bianco. Un colore che in molti leghiamo alla tristezza e malinconia, si rovescia nel suo opposto, nel bianco, non solo purezza, ma nel bianco che significa quel "nulla" che dona spazio al Tutto. Il Tutto che viene con Cristo, che quando viene, viene sempre per ridonarci la vita e la libertà! 



lunedì 21 novembre 2022

la Presentabile


Presentazione di Maria

Ed eccoti qua, in mezzo al tuo popolo, piccola cercatrice di Dio, anelante alla venuta del Messia. Ti presenti, disponibile alla ricerca, consacrata all'anelito. Fai il tuo passo in avanti per presentarti, tendi l'orecchio. Eccoti qua, discepola e futura madre, l'ascolto che genera. Ancora non lo sai, che la disponibilità all'anelito, che la tua ricerca, diventerà carne. Fanciulla, incosciente della grandezza dell'amore, che Lui nutre per te. Ti presenti, a mani vuote, pulite, genuine. Ti presenti e io sento: ecco tua Madre. Eccoti qua, grande cercatrice di Dio, strada del Messia. Madre senza confini.

venerdì 18 novembre 2022

...e tu cosa vendi?

Lc 19, 45-48 

E' naturale e normale l'esperienza del limite nella nostra vita. Siamo limitati ed ogni cosa che viviamo e compiamo, ha un suo limite. Questo non significa che le cose non vadano compiute fino in fondo. Forse però occorrerebbe chiarire cosa significhi questo fino in fondo. Non è il mio obiettivo certamente, fare delle considerazioni filosofiche su cosa intanto sia per noi il "fondo" delle cose, dei vissuti. Tuttavia la nostra tendenza ad andare sempre oltre (che in fondo è l'essenza del nostro tendere verso Dio), alle volte ci fa dei brutti scherzi e, appunto, dimentichiamo che non siamo "onni-" (potenti, presenti, scienti ecc.ecc.). Come quelle magliette con la scritta: Dio c'è, ma non sei tu, rilassati. Ecco, difatti possono esserci due esiti quando ci accorgiamo che siamo molto più limitati forse anche di quanto pensavamo... il primo è la capacità dell'abbandono, appunto, un rilassarsi, fiduciosi in Dio. Però potrebbe esserci anche una specie di depressione: quella grandezza che pensavo di essere, all'improvviso crolla. Perché si è oltrepassato un qualcosa di invalicabile e ora sono cavoli amari. 
Così i venditori al Tempio. Non è vero che erano lì illegittimamente. Loro dovevano stare lì, anzi, dovevano anche vendere lì e guadagnarsi la vita lì. Ma sono andati oltre quello che era loro permesso. Hanno approfittato dello spazio donato loro, per farne un mercato, probabilmente fatto anche della concorrenza, della "pubblicità" dei propri "prodotti". Dallo spazio sacro che fa convivere le dimensioni normali e importanti della vita umana, è diventato spazio di chi si approfitta dei poveri, di chi semplicemente chiede ciò che non gli è lecito chiedere. Insomma all'improvviso si sono messi al posto di Dio. E, chi arrivava al Tempio, doveva dipendere in qualche maniera dai loro capricci... del resto sono meccanismi che conosciamo molto bene, inutile spendere altre parole su questo. 
La domanda che mi resta nel cuore, riguarda invece ciò che a questi comportamenti esterni, corrisponde nell'uomo interiormente. Il Tempio di Dio, con tutti i suoi atri e cortili, siamo noi, è la persona , è la complessità dell'essere umano. Quale privilegio e fortuna, pensare che queste parole, che i discepoli si sono ricordati, vedendo Gesù furioso, vanno attribuite ad ognuno di noi! "Lo zelo per la tua casa mi divora"! E' Dio stesso che è divorato dallo zelo per ognuno di noi, per la dimora che ha dentro di noi! E' quel famoso Dio geloso della sua creatura! Venga ancora Gesù a rovesciare qualche bancarella alla quale sfruttiamo noi stessi e gli altri, a partire dai nostri atteggiamenti o dalle nostre abitudini interiori. Ma sarebbe anche bello, sapersi fare spesso un giro per il nostro "mercato interiore" e vedere cosa realmente noi "vendiamo": sono cose necessarie per il culto di Dio, cose che gli danno il primo posto nella nostra vita? Oppure abbiamo spesso da offrire qualche cosa di esageratamente "chiassoso" e pesante, che mette in primo piano noi e non Lui? Dunque, domandiamoci: e tu, cosa vendi? Sapendo, che più spazio c'è per Dio, più ce ne sarà per i fratelli.

domenica 13 novembre 2022

im-previsto

Lc 21,5-19

Hai presente quando ti prepari scrupolosamente ad affrontare una questione difficile, un colloquio importante, quando devi affrontare un dialogo faticoso... diventiamo tutti matematici allora. Mappe concettuali nella nostra mente, per avere soluzione ad ogni possibile mossa dell'"avversario", ore trascorse a studiare tutti i possibili risvolti e soprattutto: ansia... ansia e ancora ansia! Voglia di controllo e consapevolezza che non sarà mai possibile fino in fondo. In ogni angolo una possibile minaccia. Infine: stanchezza, tensione, nervosismo, ecc ecc. E tutto questo, fino alla data già stabilita! Figuriamoci come dovrebbe allora essere la nostra vita, in mezzo a tutto ciò che "ci minaccia" potenzialmente tutti i giorni e che è imprevisto! 
Occorre scegliere: prepararsi e stare in pace, sapendo che non siamo padroni degli avvenimenti, oppure angosciarci, spesse volte fin troppo, per cose che poi potrebbero anche risultare molto meno tragiche di quanto pensiamo. Andiamo a vedere cosa ne dice Gesù. Preavvisa i suoi discepoli dei pericoli cui vanno incontro. Ma dice pure di non farsi dei film mentali, preparandosi la difesa prima, ma piuttosto perseverare nel fidarci di Lui. Cosa c'entra allora la testimonianza in tutto ciò? Lo spazio per la testimonianza si trova laddove noi non siamo preparati, perché finalmente si rivela la potenza di Dio, secondo la logica paolina tutto posso in Colui che mi dà la forza (Fil 4,13). Finalmente sappiamo bene che siamo disarmati di fronte a certe situazioni e "pericoli" e che se non ci fidiamo e non ci affidiamo, non ne caveremo i piedi. E finalmente possiamo accettare pure la possibilità di fallimento, quella che non viene ammessa né accettata quando si studia con tanto dispendio energetico il "piano di battaglia". Questo ovviamente non significa che non dobbiamo attrezzarci per la vita, ma significa che riconosciamo che il nostro attrezzo più prezioso e indispensabile è la grazia di Dio. Non è facile in mezzo ai continui messaggi sull'autonomia e autosufficienza, oppure di fronte alla sempre più diffusa bassa autostima, che ci porta a pensare che non valiamo e non sappiamo nulla, per cui dobbiamo vivere nell'apprensione, cosa che ci porta necessariamente alla debolezza e alla fragilità. Il Signore ci pone davanti la nostra vulnerabilità, non per deprimerci o per farci vivere nel terrore, ma per dirci chiaro e forte, che nonostante questa, possiamo vincere nella vita, perché ciò che manca a noi, umanamente parlando, è spazio della sua azione, della testimonianza, è fiducia e affidamento. A noi la scelta del debole e limitato "previsto" umano o del divino "im-previsto". 




domenica 6 novembre 2022

punti di riferimento

Lc 20,27-38

Funziona così e non può essere diversamente. Finché siamo su questa terra, cerchiamo e cercheremo sempre dei punti di riferimento umani, secondo i quali definire noi stessi. E' un processo normale. Ogni persona, che lo voglia o meno, fa riferimento con se stessa ai propri genitori, siamo sempre figli, genitori, sposi, zii, amici, conoscenti, nemici, collaboratori ecc, di qualcuno. Da qui parte l'interrogativo dei sadducei, che, sebbene furbo e fortemente risonante della loro opposizione verso le novità proposte da Gesù, fa comunque parte del patrimonio antropologico di ogni essere umano. In questo preciso caso possiamo intuire qualche nota di convenzioni e di abitudini che fanno di persone, cose. Ad esempio il fatto che una moglie passi quasi come una macchina da un fratello all'altro, in funzione dell'eredità che deve essere data al primo dei fratelli. E ancora, sempre come se fosse una cosa: a chi apparterrà nell'eternità?
Ed ecco che la risposta di Gesù non è solo il voler distogliere chi lo interroga, dalla logica di legami terreni. E' anche il far vedere che nell'eternità decadono tutti i rischi provenienti dalla reciproca appartenenza degli esseri umani. Rischi, appunto, quali: reificazione, uso, dipendenza, strumentalizzazione tra le persone, quelle cose che producono comunque totalmente o parzialmente, la morte dell'essere umano a quello che è davvero. Perché se io, se tu, siamo usati dai nostri simili, non siamo più uguali a loro, non siamo più davvero uomini e donne, ma veniamo trattati come oggetti. E spesso rispondiamo diventando oggetti, appunto. Il Signore ci dice invece che l'eternità è fatta di un solo punto di riferimento, a fronte dei tanti, terreni. Il Riferimento per eccellenza: l'amore totalizzante e liberante per sempre di Dio, che fa sì che non abbiamo di fatto più bisogno gli uni degli altri, perché Dio finalmente è tutto in tutti e così tutti ci ritroviamo a vivere dello stesso eterno Amore. 

giovedì 3 novembre 2022

l'inversione della storia

 


Lc 15,1-10

Sempre più spesso (e il tempo della pandemia ne ha un suo merito), quando si torna alla parabola del Vangelo di oggi, si dice che non è assolutamente più così come la racconta Gesù, nella nostra Chiesa. Che abbiamo a che fare con una sorta di inversione di racconti. Il Signore chiede ad ognuno di noi, di metterci nei panni del pastore e di dire se avrebbe il coraggio di lasciare 99 pecore e di andare a cercare quell'unica perduta. Ma noi ci guardiamo e diciamo: oggi dove sono le 99 pecore che sono "dentro il recinto"? Scherzando possiamo dire che Papa Francesco ha tirato fuori le pecore dal recinto, da quando ha detto che la Chiesa è in uscita. Ma in realtà la domanda è seria e lo è anche la risposta. Effettivamente oggi le pecore perdute, sono 99, mentre dentro ne resta 1 sola, in proporzione. Dunque cosa occorre fare? Rimanere in un intimo cuore a cuore con l'unica pecora, per salvare almeno lei? No invece! Tanto più il pastore deve odorare di pecore, per prestare sempre l'espressione da Papa Francesco, cioè deve immischiarsi nella folla, per stare con le 99 in tutto ciò che la loro quotidianità "lontana dal recinto", comporta. E allora che facciamo? Lasciamo l'unica poveretta sola e abbandonata, lei che è stata fedele (e qui il tutto comincia ad assomigliare alla parabola del figliol prodigo, che segue)? Ma assolutamente no! Proprio quest'unica pecora, curata dentro il recinto, ora è chiamata ad essere missionaria, ora più che mai! Ora finalmente il suo essere stata dentro al recinto, ha un senso pieno: ella si mette alla sequela del Pastore che va a incontrare le 99 e lo fa con lui. Ecco dunque la nostra "parabola invertita", perché uscire dal recinto e andare a portare la Buona Notizia ci dà gioia!!!

mercoledì 12 ottobre 2022

le energie sprecate

 

 


Lc 11,42-46

Ti immagini, con tutte le tasse che abbiamo già da pagare, una persona che se ne inventa di altre, pur di assecondare il modo di agire di chi sulle tasse ci guadagna (lo stato in primis)? Assurdo, vero? Eppure, questo erano i farisei e così vengono presentati da Gesù nel Vangelo di oggi. Pagavano le tasse pure dalle erbacce spontanee che crescevano vicino alle loro case, tipo menta, ruta e altre erbe. Dovevano farsi vedere scrupolosi e osservanti. Dovevano essere impeccabili e anzi, fare molto di più degli altri, per essere considerati i migliori. Forse qualcuno di noi ha avuto dei compagni di scuola così: che non solo studiavano quel che veniva chiesto ma anche di più del programma, per aggraziarsi l'insegnante ed essere suo pupillo. Il prezzo di tutto ciò? Certo, c'è un prezzo. Nel caso del secchione della classe, è il distanziamento dai suoi compagni, nel caso dei farisei una tale perdita di energie, da non essere più in grado di valutare lucidamente la realtà. I primi posti nelle sinagoghe, le tasse in più, il doversi far vedere nelle piazze, fare di tutto per autoconvincersi che "sono nel giusto". Tante, tantissime energie sprecate in cose completamente inutili, fino al punto da essere elettrici e tirare fuori la rabbia non appena toccati sul punto sensibile. Sappiamo bene che proprio così funziona con le nostre energie vitali. Se ne usiamo a dismisura e in più nelle cose inutili, diventiamo inavvicinabili e ipersensibili. Nessuno più può toccarci, perché "attenzione, morde". Al tirar fuori la verità, da parte di Gesù, improvvisamente sono offesi anche i dottori della Legge, evidentemente anch'essi toccati in profondità. Dio è infatti così. Ogni volta che ci sentiamo istintivamente "offesi", toccati dentro negativamente, dall'affermazione di qualcuno su di noi, possiamo pensare che forse Dio si sta affacciando alla nostra vita per metterci in discussione. Starà poi a noi pensare quanta importanza dare a questo fastidio che sentiamo nel cuore e quanto sia centrata un'osservazione ma... di solito non conviene negare subito, perché andando fino in fondo si scoprono varie cose su se stessi. Si scopre spesso appunto, che si spreca tante energie dietro a cose non essenziali, dietro alle apparenze inutili, rincorrendo qualche perfezione che non soltanto non siamo, ma nemmeno siamo chiamati ad essere. Ne vale davvero la pena?




domenica 9 ottobre 2022

tornati, perché grati

Lc 17,11-19
 

Si è mai sentito che coltivare il sentimento di gratitudine ci facesse tornare indietro...? Siamo abituati al fatto che la gratitudine ci fa andare avanti, diventa un motore non indifferente per la nostra esistenza. E invece sì, può e a tratti deve aiutarci a tornare indietro, come avrebbero dovuto fare i lebbrosi del Vangelo di oggi. La riconoscenza è un sentimento tale da farci vivere il presente condito dalla memoria del passato, più o meno prossimo, in cui si è riversata la grazia di Dio. Non significa vivere nel passato, ma significa saper tornare sempre indietro "per rendere lode a Dio" come sottolinea oggi Gesù nel Vangelo. La guarigione iniziata nel momento della grazia, si compie gradualmente nella capacità costante di "rimuginare" con la memoria del cuore il bene ricevuto. È come si ripete in varie circostanze: "Il Signore che ha iniziato in te la sua opera buona, la porti al compimento". Possiamo imparare a vivere oggi dicendoci: questo sono oggi perché ieri il Signore mi ha fatto questo miracolo. Ecco perché tornare: senza il ritorno grato non si va avanti, perché la grazia ha bisogno di essere “rimuginata” perché possa colmare la nostra vita quotidiana anche nei momenti di fatica.


lunedì 5 settembre 2022

una ripicca santa


Lc 6,6-11

La ripicca è quell'atteggiamento che noi di solito attribuiamo alle persone immature, che non vogliono crescere, che non sanno lasciar andare le cose... Di certo capita a ciascuno di noi di voler fare qualcosa per ripicca, e, sebbene magari dopo non lo facciamo, non possiamo dire che alle volte non ce ne venga la voglia. 
Sarebbe interessante invece domandarci, quante volte ci permettiamo di compiere una ripicca "santa". Molte sono le intuizioni del bene da compiere nella nostra vita, nelle nostre storie. Alcune di loro le respingiamo sin da subito, perché sappiamo che potrebbero essere interpretate male, potremmo essere oggetto di pensieri negativi di qualcuno che, alle volte appunto le occasioni di fare del bene ci sfuggono perché "chissà cosa direbbe la gente" oppure perché consuetudini sociali non ci permettono quella creatività nel fare il bene, che è propria dello Spirito che vuole animare la nostra vita. Gesù nel Vangelo di oggi si trova esattamente in una di queste situazioni. Ha tutti gli occhi puntati su di lui: trasgredirà la legge del sabato o no? Improvvisamente al centro non è più il bene, la vita di un uomo, ma la legge. E tutto deve ruotare attorno ad essa, se anche questo dovesse significare che un uomo resta infermo, quando lo si poteva aiutare. Come se nei nostri tempi qualcuno non dovesse essere soccorso di domenica, perché giorno di riposo... Gesù conosce i pensieri del loro cuore. Sa che comunque cercheranno di trovare un modo per accusarlo e in qualche maniera facilita loro questo malvagio compito che si sono dati da soli. E lo fa, perché al centro della sua attenzione c'è l'uomo con la mano paralizzata, l'uomo che ha bisogno. Lo fa per una sorta di santa ripicca: fa il bene nonostante il divieto. La sua è una logica completamente diversa: il bene è legge suprema, l'amore, non c'è bisogno di pensarci, di chiedere permessi... il bene lo si fa senza tanto chiacchierare, quando il bisogno è così palese davanti agli occhi. Perché l'incarnazione di Dio è avvenuta esattamente a questo scopo: far vedere che l'uomo è importante, che è prezioso più di ogni regola e comando. A noi la decisione di farci il coraggio nel perseguire il bene al di là di ogni cosa, in questa logica di una ripicca santa, senza badare a ciò che gli altri diranno, sicuri della benedizione di Dio.






 

lunedì 29 agosto 2022

libertà o prigionia?

Mc 6,17-29

Conosciamo tutti quella stretta allo stomaco, quando all'improvviso ci accorgiamo che ci manca l'aria della vera libertà. Fingersi Dio promettendo qualsiasi cosa... porta alla schiavitù di ritrovarsi incastrati in tante richieste e promesse e non poter fare nulla. E in una profonda tristezza, come quella di Erode. Si, anche a Giovanni Battista è mancato il respiro... per mano di Erode... ma lui fino alla fine aveva respirato a polmoni pieni la libertà di chi ha il coraggio di chiamare le cose per nome. Di rischiare la propria pelle sapendo che si è veramente liberi e viventi solo quando si ha qualcosa di prezioso per cui donare la propria vita. 

sabato 20 agosto 2022

tra il dire e il fare

Mt 23,1-12

Vi siete mai chiesti perché ci sono alcuni insegnanti esigenti amati dagli alunni e che ottengono i risultati con loro, e altri altrettanto esigenti che non riescono nel loro lavoro? Annessa a questo ci potrebbe essere la domanda: meglio essere esigenti o indulgenti, nell'impegno educativo? Dipende da quanto sono impegnati gli alunni, da quanto hanno la voglia di essere educati/formati? Tornando alla prima domanda: la stessa enfasi, la stessa alta considerazione di ciò che si vuole trasmettere... eppure risultati così differenti... Credo che ognuno di noi ha avuto modo di sperimentare la differenza tra chi educa con passione propria di quelle persone che non soltanto sanno delle cose, ma le hanno vissute, masticate e personalizzate e poi le propongono, e chi usa tante parole e non comunica una vita vissuta in quel che verbalizza. Un'enorme differenza. Un educatore che trasmette le cose attraversate dal suo vissuto, è testimone, è leader si potrebbe dire, è colui che per primo si è sporcato le mani, spesso tra fatiche e umiliazioni, per poter dopo esigere dagli altri. Al contrario quel sedicente educatore che si mette lì e chiede cose impossibili, perché un abisso separa ciò che egli esige e ciò che realmente sa definire in termini di "coerenza di vita". 
Esattamente la stessa differenza tra il dire e il fare del Vangelo di oggi. Fate quel che vi dicono ma non imitateli. Pessimi capi. Sanno comandare ma non sanno vivere. In questi casi vale appunto solo quello: saper riconoscere il valore di quello che dicono e separarlo dalla loro vita concreta. Non cadere nella trappola della ripicca: non lo fa? allora non lo faccio nemmeno io. Ricordiamoci la responsabilità per la propria vita, che ognuno ha nelle sue mani. E allora forse così si spezza la catena di incoerenze... Se io faccio invece di obiettare sempre, intanto bado a me stesso, alla mia coerenza, e poi imparo, mi faccio esperienza e posso in seguito diventare un leader, uno che trasmette davvero la vita. E' vero che tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Ma di mezzo ci può essere il camminare e l'accettare. Perché resterà sempre vero che parlare dell'incoerenza altrui, non aiuta alla nostra. Mentre concentrarci su quella nostra, può far crescere noi, gli altri, coloro a cui saremo testimoni, il mondo. Essere dunque esigenti con noi stessi, farà di noi dei possibili testimoni esigenti, che avranno successo nel trasmettere esperienze di vita, di fede... A noi il coraggio di scegliere. 

giovedì 11 agosto 2022

490 = ∞



Mt 18,21-19,1

Un argomento difficile da trattare, quello del perdono. Penso che ognuno di noi ha un'esperienza o passata o anche in atto, di un perdono difficile. Difficile da dare oppure da accogliere, quando siamo noi i "colpevoli". Metto tra virgolette la parola colpevoli, perché mi sembra che prima di dichiarare la colpa di una persona, occorre ponderare bene le cose. Molte volte il danno compiuto è oggettivo, ma la colpevolezza non c'è, almeno da un punto di vista morale. Molte cose che noi prendiamo come torto, non erano o non sono intenzionali... ed è qui la motivazione per la quale Gesù ci dice di perdonare 70 volte 7, cioè sempre. Forse anche questa è un'esperienza che nella nostra vita abbiamo fatto: subire la rabbia altrui, la mancanza di perdono e non sapere nemmeno dove è stato lo sbaglio. Quante volte succede che colui che si sente offeso ha ricevuto un'offesa non intenzionale e non vuole chiarire, ma solo fa subire le vendetta emotiva... è una forma di prevaricazione sull'altro. Io ti punisco o con il mio silenzio o con il rifiuto di chiarimenti. Ed è sofferenza talvolta feroce per chi presumibilmente ha sbagliato. Crea infatti un rapporto impari una situazione di asimmetria schiacciante. Un po' simile a quella dei due servi del re. In realtà loro dovrebbero essere alla pari. Sono colleghi. L'unica cosa è che uno è debitore del padrone e l'altro è debitore del collega. Ma come mai, succede così, che dopo l'esperienza di perdono, uno non va a perdonare a volta sua? Ecco, dipende tutto da come noi ci rapportiamo alla richiesta di perdono. Io chiedo di essere perdonato perché ho un debito/ho sbagliato e so che questo non è corretto, oppure lo chiedo, prostrandomi (abbassandomi appunto davanti ad altro), perché ho paura di essere punito? Nel secondo caso il frutto spesse volte è la rabbia, tenuta dentro. Mi abbasso senza realmente sentire nel cuore la necessità di questa richiesta, ma per non perdere negli occhi dell'altro. Mi abbasso "falsamente", senza umiltà, ma solo umiliandomi. Quando ci si umilia per paura, il frutto inevitabilmente poi è rabbia, perché il sentimento è quello di inferiorità che poi non viene affrontato, ma solo sfogato. Ecco quindi che, per non sentirsi più quello inferiore, si va e si costringe qualcun altro a mettersi in posizione di abbassamento rispetto a noi. E' una forma di bullismo, indubbiamente. Perché le persone che non si sentono inferiori e non hanno paura dei propri sbagli, non si umiliano, ma ammettono la propria colpa/debito, in piedi, alla pari. Sono umano e sbaglio come tutti gli umani. Ma chi non lo sa fare, andrà a schiacciare gli altri, per sentirsi "meglio", vedendosi superiore a qualcun altro. Finisce sempre male. Se non finisce come nel caso del servo spietato, finisce con un sentimento di "marcio", dentro. La superiorità di questo genere, non ripaga, è una trappola per se stessi. Faccio pagare per i miei errori a qualcun altro, per restare impeccabile ai miei propri occhi. Ma dentro so di non esserlo. Ecco perché la mancanza di perdono è un torto fatto a se stessi. Ecco perché perdonare 70 volte 7, significa liberare se stessi, riequilibrare il rapporto con l'altro, portarlo alla pari e vivere da adulti, dandoci una mano, permettendoci a vicenda di sbagliare e di essere amati e considerati lo stesso.

martedì 26 luglio 2022

per tutti, per uno solo

Mt 13,36-43

Arriviamo oggi a quel momento del capitolo 13 del Vangelo di Matteo, in cui Gesù ha finito di parlare alla folla e si ritira in una casa. A questa casa hanno l'accesso solo i suoi discepoli e lì viene spiegato a loro, su richiesta il significato di una parabola. Mi colpisce questo fatto. Varie parabole per le folle, racconti delle similitudini per far capire come funziona il Regno dei cieli. Poi il momento di riposo e di intimità, di una profonda comprensione. Indubbiamente, Dio parla a tutti, parla anche alla folla, spiega, concretamente anche negli eventi della storia, le sue "logiche". Poi però viene il momento in cui soffermarsi su ciò che da Lui viene detto. E questo richiede tempo con Lui, intimità, ricerca personale e disponibilità del cuore a lasciarci lavorare e, alle volte, anche ferire, dalla Parola. Nella folla tutto viene ascoltato con più facilità, c'è confusione, molte cose si perdono, la Parola riesce a penetrare solo fino a un certo punto. In più, le parole che sentiamo, se per caso scomode, possono essere allontanate senza sforzo. Il vero lavorio di crescita è in solitudine della "casa", dove chiedere al Signore, allo Spirito di spiegarci la Parola ascoltata. E allora Egli, avendo la nostra attenzione o anche solo la buona volontà di comprendere, di stare con Lui, di trascorrere del tempo con Lui, può illuminare la nostra vita. Perché le parole sono per le folle, per tutti. ma la Parola è per uno solo: per te.

domenica 17 luglio 2022

sia fatta la...mia volontà

Lc 10,38-42

Ed eccoci in una nuova puntata in cui ci si mettere a dare addosso alla povera Marta, casalinga disperata...
No, non esattamente. Certo avremo letto e meditato questo Vangelo tantissime volte. E probabilmente ogni volta ci viene il latte alle ginocchia a sentirla ripetere che insomma è sempre lei a dover fare tutto e nessuno le dà una mano per adempiere ai doveri della casa. 
Mi sembra che ci siano due cose interessanti da vedere in questo brano.
Il primo è una dinamica che ricorre spessissimo nella nostra vita. Ci sono quelle persone, molto attive, con un certo spirito del darsi da fare, che inizialmente sono sempre entusiaste e credono tanto in quel che fanno. Ma che, col passar del tempo, per qualche motivo più o meno misterioso, si ritrovano ad affrontare da sole tutte le faccende. 
Queste persone le si riconosce proprio dall'atteggiamento di Marta: se non lo faccio io, non lo fa nessuno. Non si fermano a riflettere sul perché di una tale situazione. Anzi, danno la colpa agli altri, dicendo che sono gli altri che non sanno lavorare insieme, ma scaricano su di loro tutti i compiti. Mentre senza accorgersene, piano piano, attraverso l'attivismo e l'accentramento su di sé di ogni cosa, si ritrovano a lavorare da sole. E' un problema ricorrente nelle persone che esigono che si stia al loro ritmo. Della serie: o me lo fai ora o guarda, me lo posso fare pure benissimo da solo. Magari un messaggio così, non necessariamente verbalizzato così. E la risposta arriva prestissimo, anche questa non verbale. Uno si ritrova a fare tutto da solo, è stanco, scoraggiato, offeso, la colpa è di tutto il mondo e il bene non viene costruite.
Ecco, appunto, il bene... perché in questo brano si parla proprio di un bene o di "due beni" da compiere. Capita spessissimo che noi siamo convinti nel fare certe cose. Decidiamo noi un bene da farsi, ci mettiamo in moto...eventualmente informiamo Dio, anche nella preghiera, delle belle cose che abbiamo deciso di fare. Non ci viene il dubbio che forse le belle cose, dovremmo prima consultarle con il Signore, per capire con più chiarezza quale è il bene da compiere, quello vero, quello che corrisponde al momento presente, quello che, impregnato di carità, detta ciò che è da farsi non secondo le nostre belle fantasie, ma secondo le vere esigenze che ci si presentano in base a ciò che vediamo attorno a noi. Mi raccomando, attorno, non solo dentro di noi. Perché dentro di noi ci sono tanti desideri di bene, ma un bene può purtroppo essere anche egoistico. Voler fare una cosa a tutti i costi, perché si è deciso così, è come rovesciare quella parte del Padre Nostro che parla della volontà da compiere e dire: sia fatta la mia volontà...insomma, è un bene quello che desidero! Si, cara Marta, è un bene, ma è un bene attinente alla situazione in cui ti trovi, oppure è un bene minore, proprio perché non proporzionato al momento? Vedi di fare quel bene maggiore, che consiste necessariamente nel mettersi per primo ai piedi del Maestro, per sentire la sua parola, ciò che vuole Lui. Allora la forza centripeta di un bene compiuto "perché io ritengo che vada bene così", si trasforma in quella centrifuga, quella che sa, che da sola non può far nulla e che, mettendo Dio al centro, guarda a Lui e distribuisce gli incarichi, per una comunione sempre più profonda e fondata.

martedì 5 luglio 2022

mi basta quel che hai

Mt 9,32-38

Ricordati come ti senti, quando per la prima volta entri in una casa nuova, finora sconosciuta. Finché conosci chi la abita, è ancora relativamente facile fare un passo a destra piuttosto che a sinistra. Quando invece non conosci bene i padroni di casa, c'è sempre quell'elemento di imbarazzo, che, sebbene sia "correttezza", perché ci è stato insegnato di non invadere un luogo che non conosciamo, certamente ci crea un po' di insicurezza nel momento in cui entriamo in una casa che attende conforto e una presenza pacifica. Di solito ci aspettiamo l'accoglienza da parte di chi apre la porta...ma ci sono anche quelle volte in cui l'accoglienza entra in un ambiente con chi entra da fuori. Perché lì c'è una messe ma non ci sono gli operai. E non si tratta certamente di andare carichi di belle parole o con la pretesa di aggiustare chissà che cosa. Andare incontro all'uomo invece, in un atteggiamento di fratellanza, significa precisamente ciò che il Signore dice due volte nello stesso brano di oggi, ma raccontato dall'evangelista Luca: mangiando e bevendo ciò che egli ha (Lc 10,1-9).  C'è un significato profondo in queste espressioni. Essa infatti significa avvicinarci gli uni agli altri con quella semplicità, che Alda Merini chiama "raffinatezza della profondità". Accolgo ciò che tu sei, non pretendo di più o altro; anzi, vado disarmato, non portando nessun bagaglio eccessivo, facendomi recipiente per quello che tu vuoi donarmi anche o forse soprattutto quando ciò che tu sei non mi è familiare e non mi mette a mio agio, perché ancora non lo conosco. Quando qualcuno ci fa entrare nella sua casa, cioè di sostare presso di lui, è una delle grazie più grandi che possiamo ricevere. Camminare gratuitamente sul pavimento e toccare le pareti della casa del cuore di un fratello, sentire e accogliere il mondo che è in lui...quale privilegio e quale compito! 



giovedì 30 giugno 2022

prima il fare, poi il dire

Mt 9,1-8

Vi siete mai domandati come nasce una ricetta, diciamo culinaria? E' chiaro che viene prima la sperimentazione, il fare e spesso anche il ri-fare e quando l'autore decide che è cosa buona, ecco che scrive la ricetta. E' un fenomeno in cui il fare viene prima della formulazione, delle istruzioni. Prima fare, in silenzio, assicurarsi di aver appreso, di essere capace di fare una determinata cosa. Poi parlare, proclamare, pubblicizzare, spiegare, insegnare. L'esatto procedimento di Gesù. E se oggi Egli pone una domanda che può sembrare assurda, è frutto proprio di questo suo modo di procedere. Cosa è più facile dire: "ti sono perdonati i tuoi peccati" o "alzati e cammina"? Lui può fare questa domanda, assurda al primo colpo d'occhio, perché oltre a poter dire, egli può farlo. Può perdonare i peccati e può far camminare i paralitici. Due cose impossibili per noi, che però ci possono far riflettere sulla proporzione tra le parole che diciamo e ciò che effettivamente facciamo. E ci può insegnare che non siamo chiamati a fare di tutto, ma solo ciò che è in nostro potere. Allora, dopo aver conosciuto noi stessi, le nostre possibilità, i limiti, le forze, possiamo parlare delle cose da fare, perché le nostre parole saranno coerenti con ciò che facciamo. E ci sarà un surplus: parleremo nell'umiltà di chi non si crede onnipotente, ma solo servo e cooperante con tutti gli altri uomini, alla costruzione del mondo. Prima fare, misurare le proprie possibilità, poi definire. Così la vita sarà anche più coerente e tutto ciò contribuirà certamente al nostro benessere. 

giovedì 16 giugno 2022

poche parole

Mt 6,7-15

Penso che ciascuno di noi ha sperimentato quel tipo di amicizia, in cui non c'è bisogno di tante parole, anzi, bastano poche parole chiare, e il resto può anche essere silenzio. E' una sorta di culla, in cui la nostra vita respira e può sbocciare. Molte volte le persone non sanno come stare davanti al Signore, pensano di dover parlare, fare, produrre... si frustrano magari, perché si ritrovano piccole davanti a Lui...  Gesù nel Vangelo di oggi ci insegna proprio questa grande verità: e cioè che non c'è bisogno di tante parole, ma solo di quelle che mantengono il riconoscimento di ciò che l'altro è per noi. Ci dice di pregare Dio con semplicità, chiamandolo Padre nostro. Infatti pregare non è altro che stare in relazione con Lui e questo spesso non richiede tanti raggiri di parole e pensieri. E' un silenzio legittimo, quello tra te e Lui. E' un guardarsi reciprocamente, che apporta molto di più alla tuta vita interiore che non la continua produzione di parole o concetti, anche i più belli. E' stare nel braccio del Padre, al sicuro, al caldo, tanto da potersi persino addormentare, in massima fiducia e abbandono. Possa questo silenzio o questa preghiera semplice di figli, avvolgerci ogni tanto, per permetterci di respirare la sua presenza semplice e vivificante. 

martedì 31 maggio 2022

sudata, sporca e gonfia

Lc 1,39-45
Non temere, lo Spirito scenderà,
ancora rimbombano
nelle orecchie le parole, 
nelle vene il sangue
batte allo stesso ritmo del cammino

La sua ombra stenderà, 
attraverso le montagne,
alla loro ombra.
Il refrigerio dell’anima
e del corpo nel cammino.
Il bambino nascerà
Il grembo che pian piano 
si curva, si riempie,
fa rallentare per amore 
il cammino.
Figlio dell’Altissimo, 
come è possibile?
Non conosco il mistero...
è ormai giunto il termine del cammino

Elisabetta, il mio battito, lo scalciare del precursore.
La mia ombra, refrigerio, maternità condivisa.
Il bambino, mio, suo, del mondo.
Io, Madre del suo Signore

Sudata, sporca e gonfia dello Spirito.

domenica 22 maggio 2022

l'educatore

Gv 14,21-26

L'evangelista Giovanni continua, raccontandoci i gesti e le parole di Gesù, prima della discesa dello Spirito Santo. Sono parole e gesti preparatori... preparatori a cosa però? Gesù indubbiamente si pone nel ruolo dell'educatore, colui che spiega, parla, dice le cose anche nei minimi particolari, risponde alle domande. Molte di quelle parole che dice, saranno comprensibili solo dopo la discesa dello Spirito. A ciascuno di noi è capitato, da piccoli ma forse anche da grandi... forse sta capitando anche ora, che vengono dette a noi delle parole che non sono chiare. comprensibili, non ci dicono nulla, quasi quasi. Ma ci viene anche detto di avere fiducia. Ed è qui il grande passo. Avere fiducia, che anche ciò che non sta camminando secondo le nostre logiche, anche ciò che non comprendiamo con la nostra piccola mente, è opera di un grande educatore. E che la vita, se vogliamo imparare, verificherà il messaggio che ci viene trasmesso. Gesù ha detto chiaro: lo Spirito vi ricorderà queste parole. Certo, lo Spirito porta luce proprio su ciò che non ci è chiaro in questo momento. E allora sorge spontanea la domanda: quanto quotidianamente invochiamo la sua presenza sulla nostra vita? Quanto chiediamo il suo aiuto, sapendo che è necessario e integra la nostra comprensione delle cose? Sì, Dio da sempre è un grande educatore, sa tirare fuori da noi un senso profondo, se noi ci lasciamo guidare dal Paraclito. Ma possiamo anche essere certi, che egli, come il vasaio che dà la forma alla sua opera, proprio come in questa foto, saprà arginare ciò che, sbordando, sarebbe oltre le nostre forze. Perché veniamo plasmati, ad un'opera precisa, spesso senza capire che forma prenderemo, ma senz'altro sicuri tra le sue mani. 

sabato 14 maggio 2022

mai 'na gioia... piena

Gv 15,9-11
Mai 'na gioia... si continua a ripetere spesso in questo tempo, soprattutto tra i giovani. Ed è già una cosa importante, se sappiamo esprimere questa fondamentale mancanza. Tuttavia ci piace cogliere qualsiasi occasione per divertirci, per stare insieme, per lo svago (tutto giustissimo e legittimo). Ecco, bisognerebbe probabilmente leggere profondamente nel cuore, che tipo di effetto ci fanno questi momenti di "evasione", per capire come realmente viviamo e quindi come mai così spesso sentiamo che davvero non c'è mai una gioia, una soddisfazione. Potremmo forse scoprire, che mentre noi cerchiamo 'na gioia, questa è perfettamente inutile da rincorrere, quando non c'è di fondo 'na gioia piena oppure la Gioia. Può sembrare tragico, forse sorprendente, ma è "purtroppo" vero. E riguarda tutti gli ambiti della nostra vita, in primis quello spirituale. E' esattamente questo il meccanismo: andiamo vagando, cercando, inseguendo cose contingenti, acchiappando di qua e di là, tappando i buchi, intervenendo sulle urgenze... e quello di cui dovremmo essere più convinti e a cui dovremmo essere più legati, ci scappa. Appunto, quello che ci porta la gioia vera, sfugge dalle nostre mani, dai nostri cuori. Solo quando noi siamo pienamente convinti che la gioia vera non viene dal riempirci il cuore e il tempo di "cose", che possono essere materiali, che possono essere eventi, che possono essere relazioni senza significato, che possono essere piccole soddisfazioni o (da fare attenzione!!!) emozioni passeggere, anche quelle che noi leghiamo alla nostra vita spirituale, allora comincia la profondità. Quando noi siamo pienamente convinti che la gioia vera e duratura ci viene dal mistero di Cristo morto e risorto per noi, allora noi cominciamo a chiedere il Padre di riempirci la vita con la vita del Figlio. E questo significa la fine del gioco della farfalla che salta da un fiore all'altro, laddove in quel preciso momento troviamo più profumo e più nettare, che comunque tra un minuto saranno già esauriti e non ce ne ricorderemo manco più. Ma questa, senza pretendere la perfezione e l'inamovibile stabilità da nessuno, è attitudine del cuore che ha incontrato Cristo. Ed è allora che il mai 'na gioia, di una vita apparentemente fatta di routine e senza grandi slanci, diventa la pienezza di Gioia. E non si va a cercare altro, che non soddisfa pienamente il cuore, perché il cuore, anche quando afflitto, è già colmo.




martedì 10 maggio 2022

incertezza

Gv 10,22-30

Ho visto una volta un film di fantascienza che mi ha fatto riflettere tanto. Un astronauta stava partendo per lo spazio, convinto che in esso potesse restare quanto vuole e che era sufficientemente addestrato, per restare a lungo senza il contatto con la Terra. La conclusione del film invece faceva capire quanto egli, come ogni uomo del resto, fosse attaccato alla Terra, alla sua appartenenza a questo mondo. Mi è venuto in mente questo film oggi mentre leggevo il brano odierno del Vangelo. Fino a quando ci terrai nell'incertezza? La domanda riguarda lo stato d'animo di quanti aspettavano il Messia e volevano sapere se era veramente Gesù. Farei una controdomanda... Fino a quando starete nell'incertezza? Fino a quando siamo capaci di stare anche noi nell'incertezza? Il film a cui accennavo prima, ci fa vedere una grande verità della vita umana: non siamo fatti per essere appesi nell'aria, che la si pensi fisicamente: come navigazione sopra la terra oppure addirittura nello spazio, sia inteso come realtà psichica/spirituale. Fisicamente parlando, abbiamo la forza della gravità, che ci attira verso un qualcosa che ci sostiene, una certezza, una possibilità di toccare coi piedi per terra. Di fatto, non abbiamo le ali per sostenerci nell'aria. E' motivo per cui molte persone hanno paura dei voli aerei. Non è una condizione normale per un essere umano. Eppure... è proprio l'aereo che ci dice che dentro di noi, anche se non siamo fatti per vivere nell'incertezza, c'è la voglia di navigare, di sorvolare, di oltrepassare. Cioé di fare questo salto che ci fa staccare dalla certezza, per andare a finire in un terreno sconosciuto, in cui però speriamo di trovare un'altra certezza. Ma, lo sappiamo, il salto si deve fare! Anche se ci mette alla prova. Ebbene, sì, proprio come Gesù mette alla prova i Giudei. Infatti egli già ha detto loro la verità e gli ha proposto le nuove certezze, tuttavia loro non sono ancora disposti a fare il salto. Stanno ancora inchiodati alla loro comfort zone e aspettano che qualcuno dia loro un'assoluta certezza, senza che loro si smuovano. Ecco ciò che viene chiesto a noi: non di vivere nell'aria con l'angoscia di vivere qualcosa di scomodo. Ma di scorgere nell'incertezza che alle volte la nostra vita attraversa (e qui ci possiamo mettere tutti gli eventi della storia presente), orizzonti nuovi, possibilità di inoltrarci in cerca del nuovo, anche se questo momentaneamente dovesse crearci timore. Non dunque sconfiggere l'incertezza, ma farne una risorsa. 







domenica 24 aprile 2022

gemelli diversi

Gv 20,19-31 

Ed eccoci oggi alla domenica della Misericordia in cui ci vengono raccontate ancora le apparizioni del Risorto. Questa volta siamo di nuovo faccia a faccia con Tommaso, di cui possiamo pensare che forse non era proprio l'unico a non credere prima di vedere... Oggi, se ci soffermiamo sulla sua persona, potremmo scoprire che l'evangelista Giovanni ci vuole suggerire proprio questo. L'autore del quarto Vangelo è famoso proprio per questa sua capacità di raccontare, descrivere, impregnando il suo testo di significati più profondi, doppi sensi (o anche tripli), ma in positivo. Ed ecco che il nome del protagonista ha un significato molto importante. Tommaso, dal greco, significa infatti "gemello", Dìdimo. Noi lo vediamo spesso come questa figura "isolata" su cui si posano i riflettori in uno dei Vangeli postpasquali, proprio perché lui viene chiamato per nome e perché a lui Gesù appare per ultimo. Il gemello. Di chi? Noi non sappiamo nulla di certo, sull'esistenza di un suo fratello gemello. E' gemello nostro, Tommaso. Assomigliamo tanto a lui, quando non ci piace essere informati per ultimi e vogliamo delle prove chiare. Suonano quasi come ripicca le parole di Tommaso quando dice che finché non vede i segni della passione, non crede. Solo che dopo, quando Gesù si presenta pure a lui, perde un attimo la parola. E' gemello nostro quando restiamo a bocca aperta, scoprendo che ciò che secondo noi e dentro di noi è impossibile, diventa possibile. E' gemello nostro quando infine, lascia che quella pace che Gesù porta con il suo saluto, entri dentro di lui e ne sia frutto il riconoscimento del Risorto, che sgorga dalla sua bocca. 
Sì, perché Tommaso è anche gemello del Signore. La confessione della fede che sgorga dalle parole del Gemello, denota una sorta di apice di quello che ci si poteva aspettare dopo la risurrezione: MIO Signore e MIO Dio. Tommaso ci parla di una relazione personale, intima, del resto da altri brani del Vangelo noi sappiamo quanto entusiasmo c'era nel cuore di lui, nei confronti della vita e della missione di Gesù (Gv 11,16: andiamo anche noi a morire con lui!). Già in precedenza si capiva allora come Tommaso aveva gli occhi fissi sul Signore, premessa eccellente per diventare "il suo gemello". Spiritualmente succede proprio così: più si guarda, si imita, si fanno propri i sentimenti di una persona, più le si assomiglia. E in questo brano che leggiamo oggi, Tommaso lo conferma istantaneamente e abbondantemente. E anche se si tratta di essere sempre gemelli diversi... diversi perché da una parte di certo non siamo Dio ma diversi, perché Dio stesso ci ha creati unici; tuttavia è la vocazione di ciascuno di noi. Poter dire "mio Signore" e assomigliare sempre di più a Lui. 

lunedì 18 aprile 2022

un guadagno facile

Mt 28,8-15

Impressionante leggere nel Vangelo di oggi, come la diceria sul furto del corpo di Gesù, stia continuando fino ai nostri tempi. E fa anche molto riflettere, se vogliamo soffermarci sul meccanismo che sottosta a questo racconto. Inventarsi di sana pianta una spiegazione laddove la spiegazione non è conosciuta. Perché? Perché inventarsi delle cose e non dire secondo la verità "non sappiamo cosa sia successo"? 
C'è sempre un guadagno facile, dietro una pronta spiegazione e non stiamo parlando solo della spiegazione della scomparsa del corpo di Gesù dalla tomba. Nel brano di Matteo vediamo il guadagno nella più semplice e immediata delle sue forme: il denaro. Una spiegazione falsa, comprata per soldi. Ma, se guardiamo bene la nostra vita, troveremo molti altri tipi di guadagni dietro queste tipologie di situazioni. Quante volte si cerca e si trova una spiegazione, falsa, solo ed esclusivamente per guadagnare a livello affettivo. Il noto meccanismo: se io saprò dare la risposta subito e prontamente, l'altro mi stimerà, mi vedrà, mi noterà, mi raccomanderà agli altri, mi farò una buona fama... Facciamo mille giri mentali, per calcolare le reazioni, calcolare la quantità di attenzione che riceveremo... Ci vendiamo non per soldi, ma per affetti, per anche la minima dose del senso di valore, che non sappiamo darci da soli, ma mendichiamo dagli altri, anche a costo di bugie. Delle volte siamo così affannati dietro questi facili guadagni, che non ci rendiamo conto che certe "dicerie" si perpetuano e perdurano nel tempo. E nel caso in cui di mezzo non c'è il denaro,  continuiamo a costruire le nostre relazioni sul falso. Corriamo dietro alle richieste degli altri, anche quando non siamo realmente capaci di rispondere, per un motivo o per un altro, e perdiamo infine la nostra dignità, facendo finta di essere altro di quel che siamo, non riconoscendo il nostro proprio limite ma soprattutto non dandoci la possibilità di essere amati per quel che siamo e per quel che possiamo dare. Accontentiamo per avere in cambio i riconoscimenti. Certamente questo succede, perché in fondo non amiamo noi stessi, non sappiamo stare da soli con noi stessi e sentirci amati da Dio. Forse questa Pasqua può essere principio di liberazione da ogni legame malato. Come Cristo ha spezzato i lacci della morte, così anche noi possiamo decidere di abbandonare ciò che ci lega in una maniera malsana alle persone, alle cose... e che in fondo è una forma di morte.  Sono quelle cose in cui prima cominciamo a credere noi stessi, perché il ritorno che ne riceviamo ci condiziona. Rinunciamo ai guadagni facili e alle "dicerie" che ci sono nella nostra vita. Potremo così darci vita "da soli", prendendo in mano la nostra esistenza e lasciandoci amare da Dio e da chi ci accetta così come siamo. 

venerdì 8 aprile 2022

tra il dire e il fare

Gv 10,31-42

Siamo abituati ad affermare che tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. E le nostre relazioni spesso sono condizionate da questo principio: ci lamentiamo che tutti predicano bene ma razzolano male... sicuramente abbiamo ragione! Ma... parliamone... o meglio "taciamone"! Gesù nel Vangelo di oggi pone davanti ai Giudei le proprie opere, del resto non fatte per esaltare se stesso, ma, come dice lui, da parte del Padre. Dunque, viene da pensare che non bastano nemmeno le opere a noi, umani, quando abbiamo deciso che "la persona è sbagliata" e da eliminare dalla circolazione. C'è un detto in polacco, che recita: quando vuoi percuotere il cane, il bastone te lo trovi. Cioè: non è un problema trovare il mezzo, quando il tuo obiettivo è ben centrato. Sia nel bene che, purtroppo, anche nel male. Sono alcuni giorni che la Parola ci presenta Gesù che cerca di svelare la sua identità, ancorata nella persona del Padre. Ma, appunto, affinché non sia solo una predica, Egli accompagna le sue parole con le buone opere, anzi, direi che spesso prima di parlare, lui fa e dopo eventualmente spiega. Ma in ogni caso, questo non convince coloro che trovano scandalosa la sua affermazione di identità. Ma è proprio lì che l'uomo ci casca. Perché attraverso questa capacità di raccogliere le pietre per lapidare la persona che con semplicità ci svela la propria identità (dunque: si rende vulnerabile davanti a noi, si spoglia delle maschere, e tutto ciò che l'uscire allo scoperto può comportare), noi ci qualifichiamo. Gesù conferma la sua identità di Figlio del Padre, con le sue opere di bene. I giudei con la loro bella collezione di pietre per lapidarlo, confermano la loro identità. Due conclusioni si possono trarre da questo brano, oggi. Una, è quella di cui sopra, sempre valida: meglio operare il bene in silenzio, che parlare del bene e operare altro. Il bene infatti, in silenzio, grida per se stesso. Lo stesso silenzio poi, potrebbe servirci per un'altra cosa: per valutare, se, anche laddove ci fosse una vera e propria incoerenza tra le parole e le opere, siamo capaci di cercare e trovare il bene, e vedere le persone a partire da esso? Oppure nel silenzio, che poi è apparente nel nostro cuore, raccogliamo le pietre, che, prima o poi, verranno scaricate addosso al fratello? 

domenica 3 aprile 2022

responsabile per me, responsabile per tutti

Gv 8,1-11

In questi giorni si parla tanto della responsabilità. All'improvviso abbiamo un esempio chiaro e forte di quanto la responsabilità personale non sia più un fatto tanto personale, ma si estenda su tutti. E' sempre stato così, ma forse in generale come esseri umani, abbiamo un po' perso nel tempo questa consapevolezza. Senso di condivisione, dell'aver bisogno dell'altro, del sapere di non poter sopravvivere senza l'aiuto dell'altro, o, come disse il Papa, che nessuno si salva da solo... tutto ciò, con l'avvento o meglio con un certo utilizzo del benessere dominante, si è smarrito. Siamo bravi a guardare e coltivare il nostro giardino, ma all'occorrenza a guardare quello dell'altro, non appena vi spunta quella che noi interpretiamo come zizzania o qualche cosa che minaccia la nostra incolumità. Ed eccola, la nostra zizzania del Vangelo di oggi: l'adultera. Peccatrice. Senza dubbio. Ma, guarda caso, il suo peccato non è un peccato di quelli invisibili, compiuti al di là degli sguardi degli altri. Al suo peccato ha partecipato anche qualcun altro. Ma nessuno lo guarda e lo accusa. Insomma la colpa sta solo da una parte. Però il giudizio è della folla. Manca la responsabilità dell'uomo, con cui la donna ha compiuto l'adulterio. Ma non solo. Ci sono tutti quegli occhi rivolti all'esterno, a lei, per giudicarla ma... non troppo. Cioè loro vedono che lei ha peccato. Tuttavia siccome vogliono mettere alla prova Gesù, non applicano la legge che conoscono, ma chiedono a lui di dare la sua risposta. Qualsiasi cosa egli non dica, comunque potranno rigirarlo contro di lui. E' il classico esempio di come il peccato porti con sé il peccato, di come il male viene strumentalizzato per un altro male. Insomma... la domanda che mi viene alla fine è questa: ma dov'è in tutto ciò la responsabilità personale? E penso a Giuseppe... che avrebbe ripudiato Maria, se avesse applicato alla lettera la legge... ma si è preso la responsabilità personale per colei che era parte di lui. E penso agli accusatori, che non stanno dentro il loro cuore ma puntano il dito. E penso alla donna che si ritrova da sola con tutto il peso della colpa. E penso all'uomo che ha abusato di lei, il quale semplicemente sparisce. Sono tutti giochi di responsabilità. Allora ci potremmo chiedere anche noi oggi, come viviamo la nostra responsabilità personale. Perché il benessere e la pace per tutti cominciano con la responsabilità personale di ognuno. Infatti, l'unica persona su cui noi abbiamo davvero il "potere" siamo noi stessi. Se tutti partiamo oggi da questo principio, senza voler cambiare o salvare il mondo, senza accorgercene, cambieremo il mondo e parteciperemo all'opera della salvezza, che Dio sta compiendo, nonostante tutto, nella sua fedeltà.  





mercoledì 16 marzo 2022

all inclusive

Mt 20, 17-28 

Alle volte ci sembra di essere furbi... Facciamo i nostri calcoli e sappiamo che, dai, un po' di fatica e poi nel pacchetto completo, di solito alla fatica segue un piccolo o grande successo, una ricompensa. In effetti, di solito si verifica questo nella nostra vita. Poi però ci sono occasioni speciali, quando non si sa nulla, o perlomeno non fino in fondo. Mentre scrivo penso anche, perché no, all'emergenza che ancora stiamo vivendo: apertura, ma cautela, fatica ad integrare le due, ancora molte volte paura... e anche la guerra... non sappiamo fino a quando, quali le conseguenze, ecc. Sì, è un'occasione speciale, quella che riguarda la dimensione della fede, cosiddetta "cieca". Forse invece non è cieca, ma semplicemente ha una vista superiore. Vede quello che si definisce di solito come "già e non ancora". La fede sta proprio qui: non ho più certezze e continuo a fidarmi. Un'occasione eccellente, quella del Vangelo di oggi, per Giacomo e Giovanni... La mamma intercede (pausa per un sorriso) per loro un pacchetto sicuro. Stare alla destra e alla sinistra del Signore, nel Regno. Si sa, la mamma è per assicurarsi che i figli abbiano un futuro, il migliore dei possibili. E i figli, alla domanda di Gesù, sono pure disposti alla fatica, a bere il suo calice, per avere i posticini buoni. Invece: sorpresa! Il calice è assicurato, ma il posticino no. Che si fa? Si torna dalla mamma per ripensare e trovare un'alternativa, oppure ci si fida? Perché la prima preoccupazione per tutti noi è quella di DARE la vita. Darla per e agli altri e darla anche per e a noi stessi, le due dimensioni vanno insieme. E questo si fa solo fidandoci, camminando nella fede. 
E allora torniamo in noi stessi, per tornare verso gli altri. E possa ogni periodo duro, difficile, rispecchiare proprio questa nostra fede, che sa STARE, come Maria stava ai piedi della Croce, e nella fiducia che, in questo pacchetto c'è anche la Risurrezione, anche quando non ci è dato di sapere i tempi e le modalità. 

mercoledì 2 marzo 2022

bruciare per l'essenziale


Solo quel che arde diviene cenere.
Sacra è la cenere.
Tu mi sfiorasti e io divenni cenere.
Il mio io, il mio essere divenne cenere, consumato da te.
Così dice l'amante e il credente.
Tu mi sfiorasti. Io sono sacro.
Non io ma la mia cenere è sacra.
(Pär Lagerkvist)


Probabilmente quest'anno le ceneri a cui pensiamo sono quelle delle esplosioni, ceneri di posti distrutti, purtroppo anche delle vite scomparse in pochi secondi... Voglio pensare che siano vite donate, donate non per l'odio ma per amore ai fratelli. E che siano conseguenza di un fuoco interiore, fuoco che arde per la pace. 
Dunque, il tempo della Quaresima non può essere che tempo di ardere! Nati dall'ardore dell'amore di Dio che altrimenti non si poteva esprimere che nel creare l'uomo per amore, diciamo nella liturgia che torneremo ceneri. Si, così siamo in questa Quaresima: sospesi tra la nascita e la morte, cioè la rinascita della risurrezione. La vita si contrae tutta in questi 40 giorni. E vediamo chiaramente come reagiamo al concentrato dell'amore, che quando sfiora, incenerisce. Si, perché nello spazio tra la nascita e la rinascita, quello che speriamo per tutto il mondo, messo alla prova col fuoco, è che evapori tutto ciò che non ha significato...e resti l'amore. Camminiamo consapevoli della sacralità dell'esito di questo processo! Facciamo evaporare ogni voglia di vendetta... inceneriamo ogni divisione. Resti l'amore. 

domenica 27 febbraio 2022

per vedere meglio

 


Lc 6,39-45

E' tutta colpa dell'occhio... Infatti esso vede al di fuori di noi e non guarda dentro. Quindi è colpa sua. Guardo il fratello e vedo subito dove ha sbagliato, cosa ha da correggere, quante volte ha peccato, anzi, vedo pure cose che lui stesso pensa, senza che egli manco lo sappia! Sono cose molto comuni nelle nostre relazioni interpersonali. E non sono solo attitudini. Noi interiormente ci sentiamo proprio autorizzati a guardare attentamente, per "vedere meglio" ciò che l'altro ha o è. E, la cosa più simpatica di tutte, ci crediamo davvero di sapere cosa l'altro è. Piccolo particolare: spesso nelle relazioni andiamo avanti così, relazionandoci con l'immagine della persona che abbiamo dentro, non con la persona reale che abbiamo davanti, che è tutta e in ogni momento di nuovo, da ricevere, da conoscere e da accogliere di nuovo. In questo modo spesso alcune relazioni si sgretolano. Perché crediamo di vedere la pagliuzza nell'occhio dell'altro e siamo convinti che egli non se la toglierà mai (ah, eventualmente con il nostro aiuto, ma guarda caso, questo aiuto non lo vuole!). 
C'è un metodo sicuro invece, per vedere meglio. E' quello di toglierci la trave che sta nel nostro occhio, e che ci autorizza a dare giudizi, a dire affermazioni incastranti sugli altri. Perché è proprio così. La trave la si mette per chiudere, per assicurare, per sostenere un qualcosa già posto. E' la trave nel nostro occhio che intrappola le persone dentro il nostro sguardo. Mentre a noi quotidianamente è richiesto di avvicinarci sempre di più allo sguardo di Dio. E qual è questo sguardo? Fino in fondo non lo sapremo su questa terra, ma sappiamo una cosa certa: egli vede l'uomo e non la pagliuzza o la trave. Egli vede una sua creatura, alla quale ha dato la libertà e la bellezza. Egli sa sorprendersi di fronte a questa bellezza e sa farla prevalere su tutti i difetti che la creatura può avere. Per questo fatichiamo nella relazione con Dio, perché entrare in rapporto con lui e vivere questo rapporto, richiede la flessibilità, richiede l'abbandono degli schemi, proprio perché Lui non è uno schema e non vive di incastri. Mentre noi nei rapporti con gli altri sappiamo persino trovare degli incastri, talvolta disfunzionali, per permanere nella relazione. Invece Dio ci insegna, che per vedere meglio occorre prima liberare il proprio occhio, renderlo pronto alle costanti sorprese. Un occhio così è l'occhio semplice, sgombro, ricettivo e liberante. E' occhio che Dio ci vuole regalare.