Roba da adolescenti nel Vangelo di oggi... E i dilemmi dei genitori: fino a che punto si può lasciare un ragazzino dodicenne libero, tra le persone fidate, perché sicuri che tanto rimarrà comunque nelle vicinanze? Si può fare oppure meglio essere prudenti, perché è pur sempre un adolescente e non si sa mai cosa gli possa saltare in mente?
Ebbene, sì, Gesù pure è proprio un adolescente normale! Se ne va per i fatti suoi, perché ha interessi completamente diversi da quelli dei suoi genitori e non si pone il problema della loro preoccupazione. Deve fare quel che ha in mente. E, approfittando della fiducia dei genitori, lo fa.
Ma quel che ci insegna davvero tanto oggi nel Vangelo, è la modalità comunicativa di Giuseppe e Maria, in questa situazione. Credete che non si siano almeno un po' spazientiti o arrabbiati, per il tempo perso, per l'atto di disobbedienza, per la fiducia buttata via, per l'ansia che hanno provato, e chi ne ha più, ne metta? Cosa si fa in questa situazione? Solitamente si va e si dice al bambino discolo: "ti rendi conto quanto tu sia inaffidabile, disobbediente e ci faccia perdere tempo e pazienza?", non di rado condito con un "come ti ho fatto così ti disfo". Oppure si giustifica tutto: "vieni, amore, ora andiamo a casa, eh il nostro figlio è libero e fa quel che si sente di fare". Due estremi. Guardiamo un attimo la reazione di Maria e Giuseppe. "Restarono stupiti", beh ci sta... non sapevano come interpretare questo stare di Gesù in mezzo ai dottori del Tempio, in veste di chi insegna. Ma poi: "Figlio PERCHE' ci hai fatto questo? Ecco tuo padre ed io angosciati ti cercavamo". Una maestria comunicativa incredibile!
1. Domandare il perché: non solo con gli adolescenti, ma con tutti. Di fronte ad un evento per me incomprensibile, invece di cominciare a dare giudizi, valutazioni, colpevolizzare, addirittura interpretare i pensieri e i sentimenti dell'altro ("tu pensi che... tu mi hai fatto...."), domandare la ragione delle sue azioni. Questo significa creare un'apertura di confronto che non può che rafforzare il legame, ancora di più se anche il risultato finale non dovesse essere una piena comprensione, comunque domandare il perché significa mettersi sullo stesso piano e non "sopra" e di conseguenza costruire uno spazio di condivisione, permettere all'altro di avere le sue ragioni, che io posso non capire.
2. Comunicare i propri sentimenti: "io e tuo padre" eravamo angosciati, non "tu ci fai angosciare" o "è colpa tua se siamo in ansia". Fa molta differenza, responsabilizzarsi per i propri sentimenti. Certamente si comunica una propria reazione a un evento scatenato dall'altro, ma non gli si addossa una responsabilità che, nella maggior parte dei casi, non ha. Perché, diciamocelo, molti conflitti sono assurdi proprio perché nessuno vuole fare del male all'altro, e quindi nemmeno provocare nell'altro i sentimenti negativi. Comunicarli invece, di nuovo, ci rende partner e fa sì che segnaliamo la volontà di stare bene, per sé e per gli altri. E significa che la persona che abbiamo di fronte, non si sente colpita e non si sente in dovere di difendersi, cosa che automaticamente provoca reazione di difesa.