giovedì 31 dicembre 2020

come finire, come iniziare?

Gv 1,1-18

Doveva essere un bellissimo ultimo dell'anno. Sia la giornata che la notte. Dopo un anno difficile almeno con qualche persona per una piccola festa o/e cenone.
Eppure... inaspettatamente: la chiusura e l'impossibilità di realizzare tutto ciò. Nel cuore il dispiacere e forse un po' di rabbia perché era tanto il desiderio, eppure la pandemia ancora vince!
La vita ci parla in tutti i suoi eventi. Siamo abituati a pianificare, fin nei minimi dettagli, fino all'ultima ora dell'anno, la nostra vita. E oggi salutiamo il 2020 con una sorta di convinta speranza, che il 2021 sarà diverso, meno sofferto, che ci permetterà di sentirci di nuovo insieme... come sarà realmente? L'importante è che non c
adiamo nell'autosufficienza, e non ci dimentichiamo che c'è Qualcuno che la nostra vita l'ha già pensata e che anche quando noi siamo impossibilitati di fare ciò che ci siamo pianificati, la vita resta bella, forse ancora di più, bella della bellezza dell'imprevedibile, cosa che può ancora accrescere in noi la speranza, ma ci aiuta a non fissarci in una maniera rigida con le nostre attese. Perché, ci ricorda oggi il brano del Vangelo di Giovanni, del Prologo, il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Ed è questo il più benedetto imprevisto della storia. Oggi, per finire l'anno così, "in bellezza", in questa bellezza, penso che la vita ci stia facendo un augurio. Vivi il 2021 con una speranza nuova, con tutti i sensi aperti a ciò che di nuovo e inaspettato ti sarà donato. Occhio alle benedizioni che arriveranno. Il cuore resti aperto, perché anche quando i nostri piani più accurati non dovessero realizzarsi, ci viene sempre dato qualche dono. Quale sarà quello del 2021? Da domani, se vorremo, cominceremo ad accorgercene.  

lunedì 28 dicembre 2020

To be or not to be


Mt 2,13-18
Quando un bambino è piccolo, noi percepiamo fortemente il suo esserci, ma ancora non tanto il suo essere...è normale perché il suo esserino deve ancora crescere e cominciare a formare ed esprimere i tratti personali, che gli faranno distinguere chiaramente dagli altri. Forse per questo, come dice il Vangelo di oggi, una madre di fronte alla scomparsa del suo figlio, sente che lui "non è più". Di fronte alla morte dei bambini, quando scompaiono tante vite piccole ed innocenti, ancora tutte in potenza, non possiamo non fare una riflessione sull'essere del nostro mondo. Privare i bambini di vita e della possibilità di crescere significa condannare il mondo al "non essere", che è molto peggio del "non esserci", cioè non rendersi presenti. Dio è colui che è e in Lui tutto esiste, anche ciò che noi volontariamente o meno, annientiamo.  E vuole che noi tutti siamo e ci siamo! A noi dunque, la decisione sul "TO BE OR NOT TO BE", nostro e quello del nostro mondo.

sabato 19 dicembre 2020

zitti per amore


Lc 1,5-25

Alle volte la nostra vita ha bisogno di essere zittita. Quando in essa si affaccia qualcosa che umanamente risulta incomprensibile, di fronte alle nostre mille argomentazioni, Dio trova il modo per zittirci. E ci fa capire chiaramente, come ha fatto con Zaccaria, che lo fa per amore. Perché il progetto più grande di noi, più bello di qualsiasi nostra capacità di immaginazione, rischia di rimanere soffocato dai nostri calcoli e dalle nostre logiche. Per questo, adesso è il tempo di tacere, finché le cose non avvengano. Forse questo vale mille volte di più nel tempo della frenesia natalizia. E non per mortificarci, ma per liberare la mente e il cuore affinché sappiano farsi spazio per l'essenziale: per accogliere Colui nel quale ogni silenzio e ogni parola acquistano il vero senso. Facciamo silenzio, dunque, perché sta per succedere un miracolo, sta per succedere di nuovo LA VITA.

giovedì 17 dicembre 2020

l'eterno tendere

Mt 1,1-17


E a quanto pare 13 tende sempre a 14... Così nella genealogia di Gesù, che è il 14esimo della terza serie. Solo resta un po' "fuori" dalle generazioni, perché non si capisce chi lo "generò" in tutto questo elenco di generanti e generati... Così per me e per te: Dio si riserva l'ultima parola sulla nostra vita, che tante volte sembra quel 13 incompiuto che tende al 14. Lui prende la nostra esistenza fuori dalla "monotonia" delle generazioni, con assoluta libertà ci vuole introdurre nel "nostro 14", attraverso la verità sulla nostra vita. Questa verità dice che chi completa è solo e sempre Lui, che in ultimo ci dona la parola della libertà, che, introdotta nella nostra vita circoscritta, ci immette nella logica del Regno di Dio in mezzo a noi.

mercoledì 16 dicembre 2020

ciò che io non sono



Lc 7,19-23
Ancora una volta Giovanni il Battista... ancora domande sull'identità. Nessuna risposta diretta da parte del nostro protagonista. Sarà perché non sa chi è davvero? Eppure sa il fatto suo, sa bene il perché di quello che fa. E questo dovrebbe farci pensare che sa anche bene chi è. Sì, le percezioni di una persona possono essere tante. 
Io non sono quello che tu pensi di me. Non sono il tuo pensiero, anche se ne dovesse risultare l'immagine più perfetta che uno possa mai desiderare. Io non ho bisogno della percezione positiva o negativa dell'altro, ma ho bisogno di essere riconosciuta per quello che sono. Questo presuppone che tu, pur avendo una percezione di me, mi lasci vivere al di fuori della tua percezione e non mi soffochi con essa. Se vuoi sapere il perché delle mie azioni, delle mie scelte, vieni, domanda e parliamone. Forse scoprirai che non sono quelle che tu pensi. Forse proprio in questo sta l'amore: che io e tu ci mettiamo in comunicazione, in discussione di fronte all'alterità, abbandonando le sicurezze dei nostri pensieri che inquadrano l'altro in ciò che egli non è. Esattamente come fa Dio, lasciandoci liberi giorno dopo giorno e amandoci così come siamo.

martedì 15 dicembre 2020

perché no? perché sì?

 




Mt 21,28-32

Ti ricordi quella volta (almeno una), in cui hai detto di Sì a una richiesta, a una persona, a cui in realtà non avevi nessuna voglia di dire di sì. E, chissà, forse non eri nemmeno costretta/o dalle circostanze (ad esempio lavorative)? Ma l'hai detto. Perché? Cosa sarebbe successo se quella volta, quando dopo quel sì, hai sofferto e hai dovuto affrontare delle situazioni che ti stavano scomode, avessi invece detto di no? Cosa avresti perso? Cosa avresti guadagnato? Quale sarebbe stato il bilancio, un possibile scenario? Moltissimi di noi vengono dalle generazioni educate a dire sempre di "sì". Siamo abituati a mettere sempre le richieste e i bisogni degli altri davanti ai nostri. I guadagni sono vari, spesso quello più forte e quello che ci paralizza dentro, è il guadagno affettivo. Se dico di "sì", mi vorranno bene, mi considereranno persona buona, educata, disponibile. Ma ti sei mai domandata/o, cosa sarebbe successo se dicessi alle volte di "no" e perdessi questa considerazione? La risposta sarà certamente personalizzata... se nel rispondere sentiamo che ci manca la terra sotto i piedi, dobbiamo seriamente domandarci dov'è l'affetto che dovremmo nutrire verso noi stessi... Sì, perché i primi a farci stare in piedi dovremmo essere noi stessi, e nello specifico caso di noi, che crediamo, la consapevolezza dell'amore di Dio, sempre presente e che ci accompagna al di là dei nostri "sì" e nostri "no". 
Il Vangelo di questa domenica ci ricorda proprio questo. Esistono nella nostra vita tanti "sì" costretti, non scelti. Il figlio che dice al padre che è disposto ad andare a lavorare nella vigna, fa esattamente questo: vuole guadagnare la considerazione, solo quello gli importa. Poi, siccome vive nella speranza di non essere scoperto, non ci va. Il suo parlare è "sì" e il suo fare è "no". E si rischia una vita schizofrenica: emotivamente impossibile da sostenere e generante delle relazioni che si basano sulle paure, sulle non trasparenze. Forse invece dobbiamo imparare di più a dare spazio a quel bambino ribelle dentro di noi, che dice di "no", quando sente che le cose non gli stanno a genio. Quando sente che ha bisogno di quel "no" per essere coerente con se stesso, per mostrarsi per quello che veramente è e non per quello che gli altri si aspettano da lui. Ecco perché i pubblicani e le prostitute passano davanti a noi nel Regno: il loro sì al Signore parte dalla consapevolezza della loro estrema miseria. Ed è questa consapevolezza che permette a ciascuno di noi di dirsi: non posso dire sempre di "sì" perché non sono Dio. Difficile... ma realizzabile! 

mercoledì 9 dicembre 2020

la rivelazione dalle crepe

Mt 11,28-30

Non so se succede anche a voi, ma io quasi ogni volta che mi metto davanti a questa Parola, comincio a guardarmi a partire dalla mia complicatezza.
Dunque: si, eh, questo brano è una benedizione per i bambini... per i poveri, per chi è più semplice di me, fragile e per questo si fa guidare dal Signore. Eh, non sono io... Hai mai avuto questi pensieri? Bene, allora oggi è quella giornata in cui tu puoi invece pensare che si, questa Parola è anche per te. Perché riconoscersi complicati e confusi, in generale diciamo, non serve, lo sappiamo fare tutti, molte volte in un tentativo di autocommiserarci, magari senza nemmeno accorgercene.
Oggi invece il Signore ci dice: guardati dentro e riconosci quella crepa, quella particolare fragilità, stanchezza, senso di oppressione, che ti rende piccolo evangelicamente parlando. Essere piccoli diventa evangelico quando sappiamo mettere a fuoco una debolezza, che ha estremo bisogno di essere  redenta ogni giorno dal Signore che ci da la vita. Ecco noi siamo lì: solo allora l'imperfezione diventa giogo dolce e leggero, quando è riconosciuta nell'amore di cui siamo colmati sempre da Dio. E allora questo Vangelo non è più solo un rimorso di coscienza o occasione per piangersi addosso, ma è gioia profonda di chi ha tante crepe, ma è sempre intero sotto lo sguardo risanante di Dio. Ed è una rivelazione, si, quella vera, perché occasione per conoscere qualcosa di più della grazia che guarisce, che altrimenti non si potrebbe accogliere. 

lunedì 7 dicembre 2020

l'Eterno per sempre in te

Una lettura del Vangelo della Solennità dell'Immacolata, in versi...

Non ti aspettavi un colpo così chiaro e così forte

Conoscevi già la sua mano, il suo tocco
ma non conoscevi te stessa.

Hai scoperto un’altra corda,
ancor più nel profondo 
della tua anima in attesa
Ancor più sensibile, ancor più toccata.

Ora non sapevi cosa stava accadendo
nella tua solitudine.
Era tenero come tocco di un’ala angelica
Era forte come l’onnipotenza
Hai scoperto di essere alla sua Presenza.
Ti sei rallegrata.

E non sapevi più se l’Ave risuonava
dentro di te o fuori.
Nella tua solitudine hai scoperto
la pienezza di grazia
Ciò che desideravi con tanto ardore,
ma non conoscevi, ora era in te.

Hai conosciuto la dolcezza 
dell’essere in pieno,
e non sapevi più se era ancora la vita
o già l’eternità...
Come il tuo saluto d’addio all’angelo: 
FIAT.

Ed è partito, ti ha lasciato,
ma non più nella solitudine.
Il tuo grembo gravido dell’Eternità
che da ora per sempre rimarrà con te.

giovedì 3 dicembre 2020

stare in piedi


 

Mt 7,21.24-27

In questo tempo difficile della pandemia, che posto dai nella tua vita alla forza della fede, quanto invece ti fidi della tua ragione? Inizio oggi con questa domanda provocatoria, perché più che mai ora succede che tutti cerchiamo di mettere insieme, usando la nostra intelligenza, i dati che ci pervengono a proposito del virus che ci opprime. E ci confondiamo, perché sentiamo tante cose contraddittorie. Sicuramente tutti sentiamo che ci manca la terra sotto i piedi e allora è qui che si apre lo spazio per la fede. E possiamo capire, guardandoci dentro, chi è veramente Dio per noi. Ce lo suggerisce pure Gesù oggi. Ci può essere chi sta in piedi proprio perché ha costruito la sua casa sulla salda roccia della fede, che è relazione con Dio, quella relazione che è per eccellenza relazione con un "partner", cioè con uno che si relazione sempre con noi nella libertà e nella reciproca fiducia. Poi c'è purtroppo chi pensa che Dio abbia bisogno di essere asservito e "comprato", cioè che bisogna "accontentarlo" per comprarsi la sua grazia. E questa purtroppo è una casa costruita sulla sabbia, perché non considera all'interno della relazione con il Signore, la propria umanità e la propria dignità. E questa casa, prima o poi, crolla. E questo semplicemente perché chi è saldo nella relazione con Dio, è saldo nella sua fede e pur soffrendo, trova in Lui la sua forza. Chi invece pensa di doversi sempre umiliare e abbassare, in realtà non è sicuro delle basi su cui ha fondato la sua vita e facilmente cade in disperazione. Ecco perché vale poco gridare a gran voce invocando il Signore, per far vedere quanto siamo devoti. Chi ha una vera relazione con Dio, intessuta del dialogo quotidiano, ovviamente grida al Signore, come succede in ogni normale relazione, ma non è un'invocazione per una conquista, perché sa di essere amato e resta saldo, al di là dei momenti più o meno difficili che possano presentarsi. Stare in piedi dunque significa avere bisogno di Dio e avere un sicuro rifugio in Lui, anche quando la nostra ragione viene vinta dall'insicurezza. Lì, in mezzo, c'è lo spazio della fede.



 

martedì 1 dicembre 2020

non solo guardare

Lc 10,21-24 

Quanto strana suona oggi la frase di Gesù, rivolta ai discepoli. Non dice infatti: Beati i vostri occhi perché vedono ciò che vedono, ma dice Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Dunque non dà per scontato che gli occhi beati siano quelli dei discepoli, ma piuttosto sottolinea la condizione di questi occhi. Facendo un gioco un po' "giovanneo", possiamo accorgerci che anche Luca usa due verbi in questa frase, in greco. La frase che abbiamo appena riportato, utilizza il verbo blepo, che indica più che altro la capacità fisica di vedere, la vista stessa. Dunque, beati quegli occhi che hanno la vista per vedere ciò che voi vedete. Come se volesse parlare di gradi diversi della vista, come è solito fare Giovanni nel suo Vangelo. Qui è beatitudine già l'avere la vista in quel contesto e in quei tempi, ed essere in grado di vedere ciò che possono vedere i discepoli. Ma la frase che segue, va già più in profondità. Molti re e profeti avrebbero voluto "vedere e conoscere" (ideîn) ciò che i discepoli guardano, ma non lo videro e non lo conobbero. Siamo ad un altro livello. Questo desiderio di profeti e re, esprime quella nostalgia profonda, che alberga il cuore di chi non ha il Figlio di Dio davanti agli occhi, di chi non è vissuto nel tempo di Gesù e non l'ha potuto vedere all'opera, e non ha potuto allora comprendere la sua opera. Dietro a questo verbo c'è non solo la vista, ma anche l'attività spirituale, una lettura più profonda di ciò che si vede. I discepoli sono privilegiati, hanno davanti agli occhi persino elementi visivi che facilitano loro la necessità di lettura più profonda di ciò che è e fa Gesù. Hanno la possibilità non solo di guardare, ma anche di vedere lì in fieri l'opera della salvezza. Molto di più questo vale per noi. Loro infatti hanno guardato per noi, hanno visto in profondità e hanno trasmesso a noi la fede nell'infinita possibilità di vedere e conoscere in profondità ciò che Dio compie nel mondo, nella storia. Come guardiamo allora la nostra quotidianità? La guardiamo solo o la scrutiamo, vivendola per conoscere in essa l'azione di Dio? Anche per noi vale la frase Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Beati siamo perché ancora di più dei discepoli abbiamo la Parola che ci illumina gli occhi, la vista, se vogliamo. A noi sta decidere cosa farcene con questa vista, già tanto carica di ciò che per noi hanno visto e hanno trasmesso coloro che nel corso dei secoli della chiesa, hanno voluto guardare e vedere.



domenica 29 novembre 2020

la nona luna piena

Il caso vuole che la prima domenica di avvento coincide con la notte prima della luna piena. Domani notte si vedrà la luna piena luminosissima. È veramente l'ultima dritta prima della nascita del Bimbo. Sappiamo infatti che i bambini nascono dopo la nona luna piena della gravidanza. Sono utili i calcoli fatti dai medici, ma la vita va in armonia con la natura, e lo sapevano bene i nostri nonni. Loro infatti non si meravigliavano se nel caso il bambino nasceva un po' in anticipo, a sorpresa. La nonna metteva in guardia la futura madre, dopo la nona luna piena. 
Ho un'amica cui figlio dovrebbe nascere a Natale quest'anno. Mi fa tenerezza vederla felice e anche tanto affaticata. Penso a Maria. Tutte e due vegliano, perché non si sa mai! Ora si gioca proprio a nascondino. Quando finalmente verrà alla luce? Ora l'attenzione della mente e del cuore, con la fatica del peso che si porta, è tutta lì, sul grembo ricurvo, ricolmo della vita nuova. Sì, è così, noi attendiamo il nuovo, qualcosa di cui meravigliarci ancora. E questo ha un suo peso e alle volte ci sentiamo affaticati, proprio come una donna verso la fine della gravidanza.  Sarà quel regalo inatteso, sarà quella presenza di una persona amata... questo è ciò che riempie in questo tempo il grembo di Maria. Il figlio di Dio, che non ha rinunciato a nulla di umano, tranne il peccato, porta in sé la storia che vivrà, i pesi e le fatiche dell’umanità, i nostri pesi, le nostre fatiche. Quando nascerà tra tre settimane, sarà vero uomo, sarà già pieno di tutto ciò che costituisce la nostra quotidianità, pur essendo Dio. È sin da ora il Dio-con-noi. Vegliamo allora, davanti a questa super luna, per non farci sfuggire il momento della nascita, il momento in cui la nostra schiena sarà alleggerita, se partoriamo anche noi, facendo nascere Dio in questo mondo, con e come Maria. 

domenica 22 novembre 2020

dimmi oggi da che parte stai?


 Mt 25, 31-46

Un po' scomodo il Vangelo di oggi... Divisione, giudizio, resoconti, paura, incomprensione... Non piace insomma alla prima vista. Perché una Parola così nella Solennità del Cristo Re? Cristo non è Re per giudicarci e per metterci sulla bilancia. Cristo è Re povero per ricordarci che il nostro rapporto con la sua regalità non dipende da quanto riveriamo coloro che "sono sopra di noi", ma da quanto lo troviamo presente e bisognoso nei poveri. Dunque, è su questo che potremmo interrogarci oggi. E la domanda potrebbe essere questa: non alla fine dei tempi, non "poi", "dopo", ma oggi: da che parte stai?

giovedì 19 novembre 2020

aprire quando bussa

 


Lc 19,41-44

Ci sono visite e visite. Ci sono quelle visite veloci, ultimamente molto risicate per ovvi motivi, in cui uno passa a casa tua per un caffè, per scambiare due parole, per aggiornarti sulla vita... non che non siano importanti queste, tuttavia poi ci sono quelle visite, talvolta inaspettate, di persone da tanto tempo attese, o da tanto tempo assenti oppure semplicemente di persone importanti, visite alle quali ci prepariamo, pulendo la casa, cucinando, mettendo vestiti belli. 

Ti ricordi quando il Signore ti ha visitato con tutta la sua forza e questa visita ha lasciato il segno in te? Che ricordo ne hai? Hai saputo riconoscere quel momento in cui lui ha bussato alla tua porta, per trasformare la tua vita? Non andare solo a sbirciare nei tempi di emozioni interiori, di luce particolare, prova a vedere anche nei momenti di sofferenza, di confusione. Sono tutte possibili visite di Dio. E sono da riconoscere. Di fatto ci cambiano l'esistenza. 

Nel Vangelo di oggi Gesù piange su Gerusalemme. La sua città amata non ha aperto la porta, non ha riconosciuto il tempo della Visita, quella con la V maiuscola. Ecco perché Lui già sa come andrà a finire. Il problema in realtà non è che Gerusalemme in futuro verrà assalita e distrutta. Il problema vero è che lei non aveva riconosciuto il tempo della visita e non ha la forza interiore per restare incolume contro ogni avversità. Perché nella vita avvengono inevitabilmente le distruzioni, le sconfitte, ma la memoria della Visita è fondamentale per non soccombere. Le tempeste della vita talvolta ci fanno cadere a pezzi ma la fede, quel frutto prezioso, sebbene spesso tanto piccolo, quasi come una calìa d'oro, fa sì che la nostra vita invece di subire la morte, si rinnova. Non resta che drizzare le orecchie e aprire, quando Lui bussa. 







domenica 15 novembre 2020

e tu che colore ci metti?

Mt 25,14-30

Avete presente quando uno è portatore sano di un qualcosa che è geneticamente determinato? Ecco, noi siamo senza dubbio dei portatori sani di qualcosa che può colorare il mondo. E solo da noi dipende il fatto che sviluppiamo questa "malattia colorata" o meno. Sappiamo che restare portatori e non esplicitare una cosa che è deposta in noi, è buono e importante solo nel caso delle malattie. Ma noi qui oggi parliamo di qualcosa di molto importante e anzi, essenziale per la nostra esistenza...e per l'andamento del mondo. C'è un detto che recita, che il giorno in cui sei nato, è giorno in cui Dio ha deciso che il mondo non poteva andare avanti senza di te. Se ci fermiamo a pensare un attimo... quanto è vero e quanta responsabilità ci viene affidata! Spesso siamo soliti ripetere, che nessuno è indispensabile e che se uno non ci arriva a fare qualcosa, pazienza, ci sarà qualcun altro a sostituirlo, e il mondo andrà avanti lo stesso. E questo è vero. C'è tuttavia un altra faccia di questa stessa medaglia. Per quanto il discorso di "sostituibilità" sia valido per le singole faccende della nostra vita, non è così per la totalità della nostra esistenza. 
Ci sono infatti dei colori nella nostra vita, quei colori di cui il mondo ha bisogno, per andare avanti. Se noi li tiriamo fuori, passiamo appunto da portatori sani a "malati", cioè quelli che non solo arrivano fino in fondo nell'esplicitazione di ciò che dimora nei loro cuori, ma anche contagiosi, affinché questa stessa dinamica possa ripetersi in altre vite. Perché la verità è che mai la ricerca, che porta a riconoscere il tesoro, il talento deposto dentro di noi, è solo per noi stessi. Nulla nell'uomo, essere in relazione, è per lui stesso solo. Una persona felice, rende felici gli altri. Una persona che preferisce seppellire sotto terra il proprio talento, per timore malsano di ciò che possa succedere, quando ci si mette in gioco, è come seppellisse in parte se stessa. Ecco cosa significa quando diciamo che ci sono dei cadaveri che camminano... può essere un'espressione molto forte, per la sensibilità di qualcuno, ma rende molto bene quel che succede con un figlio di Dio, quando Egli abdica a ricercare quella sfumatura o quelle sfumature di Dio che sono deposte in Lui e che servono a continuare l'opera della creazione, cioè ad esercitare il meraviglioso potere della bellezza, che il Creatore ha messo nei nostri cuori. Si, perché se crediamo che sarà la bellezza a salvare il mondo, il nostro primo compito è tirarla fuori da noi stessi, mettendola in comune e condividendola, così da poter godere insieme agli altri la salvezza, che attraverso il bello e il buono, si sta cominciando a realizzare già sin da ora.





sabato 14 novembre 2020

dare fastidio a Dio

Lc 18,1-8 

Dare fastidio. Fastidio, etimologia: provocare sofferenza. Se una cosa a me dà fastidio, la voglio rimuovere, è logico. Appunto perché provoca sofferenza, mi tiene in uno stato di allerta, non mi permette di vivere sereno, altera equilibri psichici e fisiologici in me. Se per togliermi di mezzo il fastidio, posso fare una cosa che non mi crea problemi, la faccio subito e prontamente. Nel caso in cui per tornare alla serenità devo fare qualcosa che mi costa, inizio a bilanciare. Mi costa di più restare nel fastidio o fare lo sforzo di tirarmici fuori? Sulla bilancia sta la mia serenità e la capacità di "perdere" qualcosa. Varie sono le cause per cui potrei scegliere di non vivere serenamente, per non perdere cose materiali, stima di qualcuno, considerazione, apparenza... Sappiamo però che non sempre ne vale la pena. Così pensa pure il giudice disonesto: non gli andava di fare giustizia alla vedova importuna, tuttavia per togliersi di mezzo il fastidio della sua insistenza, gliela fa. 
Cosa succede quando si tratta di dare fastidio a Dio? Siamo in grado di pensarlo, intanto? Oppure, piamente, non vogliamo mettere Dio alla prova? Dare fastidio, cioè procurare la sofferenza a Dio. Manifestargli la nostra sofferenza, certi che ne soffre pure lui. E non potrà far altro che in qualche maniera ascoltarci e tirarci fuori dalla prova. Ma occorre iniziare da capo: è DOVUTO dare fastidio a Dio, perché non farlo significherebbe non riconoscere, che Lui è Padre e già soffre per la sua creatura. Sarebbe in qualche maniera restare nella convinzione che possiamo farcela con le nostre stesse forze. Sarebbe continuare a soffrire, dunque, nella solitudine, alla quale sicuramente non siamo stati abbandonati da lui, ma che scegliamo da soli. Dare fastidio a Dio, insistere nelle nostre preghiere, chiedendo la sua grazia, significa riconoscerci figli e dare a Dio il volto paterno, significa dirgli: lo so che sei Padre e già senti ciò che io sento e già vivi ciò che io vivo; dammi una mano a viverlo meglio. Bussiamo allora, alla sua porta, senza badare al vestito, alle buone maniere, all'apparenza. Scegliamo di dire a lui la nostra piccolezza, limitatezza, che egli ha sperimentato in parte, facendosi uomo. Solo così, il fastidio sarà condiviso e si trasformerà in offerta, la sofferenza in contenitore per la grazia, non solo per noi, ma per il mondo, bisognoso di intercessori, che non si stancano di dare fastidio a Dio. E quando sulla bilancia ci siamo noi non egoisticamente soli, ma con il mondo, i conti sono fatti. 

venerdì 13 novembre 2020

la fine del mondo

 


Lc 17,26-37

Di solito siamo abbastanza comodi rispetto al concetto della fine del mondo. Tuttavia, in questo tempo della pandemia, qualcuno sta vedendo delle scene apocalittiche (ignorando probabilmente il fatto che l'Apocalisse non è stata affatto scritta per rappresentare quel che presumibilmente dovrebbe accadere alla fine del mondo). Gesù invece ce la vuole presentare diversa e ci dice come reagire "quando avverrà". E le sue parole mi ricordano tanto una poesia polacca sulla fine del mondo, che condivido con voi.

Nel giorno della fine del mondo
un'ape gira sopra il fiore di nasturzio
il pescatore assetta le reti luccicanti
nel mare i delfini allegramente saltellano
i giovani passeri s'attaccano alle grondaie
il serpente ha la pelle dorata, proprio quella sua

Nel giorno della fine del mondo
le donne attraversano i campi con ombrello in mano
un ubriacone s'addormenta sul ciglio dell'aiuola
i fruttivendoli gridano per le strade
all'isola arriva la barca con la vela gialla
resta nell'aria il suono del violino
per aprire una notte stellata

e coloro che attendevano i tuoni e i fulmini
restano delusi
e coloro che aspettavano i segni e le trombe angeliche
non credono che invece già sta accadendo
finché il sole e la luna si vedono in alto
finché il bombo visita la rosa
finché i bambini nascono di color rosa
nessuno crede che già sta accadendo

Solo un vecchietto brizzolato che sarebbe stato un profeta
ma profeta non è perché ha un altro mestiere
dice, legando le piante dei pomodori:
non ci sarà una fine del mondo diversa
non ci sarà una fine del mondo diversa

Czeslaw Milosz







martedì 10 novembre 2020

quando non serve servire

Lc 17,7-10


Quanta paura al pensarci inutili... Tutti sperimentiamo qualche volta, abituati alle corse quotidiane, quello smarrimento strano di quando all'improvviso si presenta un momento in cui non abbiamo nulla da fare! Come se la nostra identità si dovesse costruire e mantenere in piedi a partire dal nostro fare... Eppure Gesù ci suggerisce che beati sono quei servi che sanno essere inutili, cioé sanno dire: ecco, ora ho finito, non devo cercare altri motivi per correre ancora. Si, ci vuole il coraggio per essere inutili. Inutili, inutilizzabili, senza utilità. Perché la nostra vita non è da utilizzare. Siamo fatti per stare, "inutilmente" davanti al Signore, per lasciarci riempire da Lui. Riposare in Lui, in questo senso, è indispensabile per saper invece servire davvero, quando è tempo di servire. Perché se è vero che si impara a servire, servendo, è altrettanto vero che si serve con tutto se stessi, quando la condizione ordinaria di vita non è il vortice del fare, come modo di fuggire dal senso di essere inutili. Se il lavoro è il prolungamento e la partecipazione all'opera della creazione, allora è legittimo ciò che Dio fece, quando si fermò nel creare e vide che tutto ciò che fece era una cosa buona. E questa bontà e bellezza si possono scorgere solo se l'animo si ferma sull'importanza dell'essere che viene prima del fare.

martedì 3 novembre 2020

il vuoto o la pienezza?


 Lc 14,15-24

Occorre solo scegliere: il vuoto o la pienezza. Il vuoto che sta nel non rispondere all'invito del Signore, rifugiandosi nel proprio ristretto spazio di vita, lasciando vuoto il salone in cui Lui stesso ci prepara un ricco banchetto. La pienezza dell'aggregazione di chi riconosce la propria povertà e il bisogno che ha dell'altro, della condivisione. Questa pienezza, per assurdo fa sì che c'è sempre il posto per qualcuno ancora e ancora. Perché ciò che si condivide, consapevoli della nostra povertà, si moltiplica, ne basta per molti. Mentre ciò che viene conservato nella chiusura delle proprie ristrettezze, lascia solo il vuoto. 

domenica 1 novembre 2020

Felici, oggi!


Al brano delle Beatitudini di oggi (Mt 5,1-12) aggiungo queste qua... per una felicità sempre "in cammino", anche se in salita!

BEATI quelli che sanno ridere di se stessi:
non finiranno mai di divertirsi.


BEATI quelli che sanno distinguere un ciottolo da una montagna: eviteranno tanti fastidi.

BEATI quelli che sanno ascoltare e tacere: impareranno molte cose nuove.

BEATI quelli che sono attenti alle richieste degli altri:
saranno dispensatori di gioia.


BEATI sarete voi, se saprete guardare con attenzione le cose piccole e serenamente quelle importanti: andrete lontano nella vita.

BEATI voi se saprete apprezzare un sorriso e dimenticare uno sgarbo:
il vostro cammino sarà sempre pieno di sole.


BEATI voi se saprete interpretare con benevolenza gli atteggiamenti degli altri anche contro le apparenze: sarete giudicati ingenui, ma questo è il prezzo dell’amore.

BEATI quelli che pensano prima di agire e che pregano prima di pensare: eviteranno tante stupidaggini.

BEATI soprattutto voi che sapete riconoscere il Signore in tutti coloro che incontrate: avete trovato la vera luce e la vera pace.
(anonimo)

sabato 31 ottobre 2020

il meglio deve ancora venire


 Lc 14,17-11

Dare il meglio o prendere il meglio? Ecco il dilemma! Il dilemma che Gesù ci propone di risolvere, nel brano del Vangelo di oggi. Egli osserva, osserva i comportamenti dei suoi contemporanei e trae conclusioni. Ma la consuetudine che tira fuori oggi, noi la conosciamo molto bene. E' chiaro che non andiamo a metterci al primo posto in una festa. L'entrare infatti nel nuovo luogo, con gente sconosciuta, non ci mette a nostro agio, per cui viene naturale rimanere un po' in disparte, un po' indietro. Strano che questa cosa, il Signore ce la debba ribadire. 
Eppure forse c'è un significato nascosto in questo. Occupare il primo posto è andare a prendersi il meglio con le proprie forze, con la nostra volontà. E' sentirci capaci e autorizzati a produrci da soli il meglio. E' lasciare tutti indietro, pur di raggiungere ciò che sembra più prestigioso. Mentre Gesù ci dice che il meglio non ce lo procuriamo da soli e non è necessariamente a noi visibile e facilmente individuabile. Mettersi indietro, all'ultimo posto (purché non sia dettato dalla falsa umiltà), è porci in attesa di quel meglio che deve ancora venire e che, soprattutto, non ci procuriamo da soli, ma riceviamo dalle mani di chi ha il vero potere, su questa festa che è la nostra vita. Rimanere all'ultimo posto è riconoscere a Dio il suo posto nella nostra vita e affidarci e arrenderci a Lui, nella piena fiducia, che Lui già sa il nostro posto, quel bene che deve venire e quel meglio che sta arrivando. Allora la festa sarà vera, quando ciascuno si metterà in posizione di ricevere il meglio dalle mani del Padre buono e quando sapremo dire: senza di te non posso raggiungere il meglio. 










giovedì 29 ottobre 2020

la sua visita in te



Lc 13,31-35

Quanto doveva amare Gesù la città di Gerusalemme... le sue parole lasciano trapelare un amore di predilezione. L'amore vero ha un duplice sguardo: mentre vede come idealmente potrebbe essere una persona o realtà, vede anche molto realisticamente i "difetti" del proprio oggetto d'amore. Ecco Gesù che  vede che questa città "eletta" non è come Dio l'ha voluta. Le parole che seguono sanno del profetismo, che pur rilevando la sventura proclama il momento in cui vi si riverserà l'amore di Dio verso il suo popolo. Gli eventi futuri mostreranno che questo amore è più forte di ogni cosa e continua a "visitare", sta alla porta e bussa... C'è qualcosa che entra dagli occhi e qualcosa che esce dagli occhi. Per Gesù il vedere Gerusalemme "passa dalle parti del cuore" e ritorna agli occhi nella forma di una futura possibile bellezza. Si attiva il meraviglioso funzionamento dell'emotività umana presente nel Dio che si incarna. Le sue parole apparentemente di rimprovero, ripuliscono la città di Dio di ciò che Egli le rimprovera. Questo si chiama riprendere per amore. Quando io intravvedo, con gli occhi puliti dall'amore, l'opera di Dio in te, la meraviglia che sgorga dalla sua visita in te. E ti auguro che tu ti lasci visitare da Lui, per essere ciò che sei.

martedì 27 ottobre 2020

osare la piccolezza


Mt 13,24-43

Cosa può dire una persona umana al proprio animo, vedendo come esso tende sempre alle cose più grandi, più nobili, più elevate, rispetto a ciò che già è, possiede ecc.? Quale il lavoro interiore da fare, che faccia sì che l'uomo viva serenamente e in pace il fatto che, mentre tende sempre verso l'alto per natura, riesce realmente a stare nella pace solo se riconosce e ama la sua piccolezza? Non stiamo qui oggi a fare dei trattati di scienze umane, psicologiche... tuttavia la domanda senz'altro ci si pone. Sant'Agostino parla del cuore inquieto finché non giunge a riposare in Dio, finché non arriva a Lui, dunque parla di una tensione verso l'infinito, una tensione che "sfinisce" l'uomo, sì, ma solo se Egli pensa di poterci arrivare attraverso una falsa perfezione da raggiungere con le proprie forze. Il punto da tenere presente è questo: Dio, non avendo bisogno dei nostri sforzi, ma amando alla follia la sua creatura, è venuto tra noi. Ed è questo il senso del Regno di Dio di cui parla Gesù. L'ha portato lui e non c'è bisogno che ci sforziamo per introdurlo nel mondo, perché c'è già. Il nostro compito cristiano è farlo venire fuori dagli eventi, dalle circostanze, dalle persone. Ma prima di fare questo bisogna che siamo convinti che è già qui, bisogna che siamo donne e uomini di speranza, risorti. Ecco dove acquista il senso la consapevolezza della nostra piccolezza. Essa è rivelazione del Regno. Se pretendiamo di essere e/o di mostrarci grandi, intanto inciampiamo nella falsità, perché il limite e la limitatezza, fanno parte integrale della nostra vita. Mentre la capacità di sentirci piccoli ma amati, è proprio quel canale per far venire fuori il Regno nascosto nelle pieghe della vita. Il granello di senape: una realtà quasi invisibile, eppure di un'efficacia straordinaria. Infatti, noi non siamo infiniti, noi siamo solo coloro che fanno partire delle reazioni a catena. A un certo punto, il nostro compito finisce, perché siamo solo strumenti. Ma che strumenti! Collaboriamo al piano della salvezza! Dunque, occorre osare la piccolezza, occorre tornare sempre e sempre di nuovo, quando si affaccia la tentazione della grandezza "fai da te", a Colui che è sorgente e fine di ogni cosa. Solo il guardare l'uomo - Dio ci permette di coniugare e integrare all'interno della nostra persona umana, la sua innata piccolezza e l'altrettanto innato desiderio di grandezza, desiderio di Dio. Il diavolo si nasconde nei dettagli, si usa dire.  Sì, ed è così proprio perché nelle piccole cose di ogni giorno si nasconde anche il Regno. La lotta tra il male e il bene, la bellezza e la bruttura avviene lì. E il Regno vince, quando noi stessi siamo capaci di riconoscere in queste piccole cose, il passaggio di Dio. 

domenica 25 ottobre 2020

amare il presente e il futuro


 

Mt 22,34-40

Non mi sembra ci sia una particolare necessità di scervellarci oggi davanti a questo brano di Matteo. Anzi, è una parola che sta molto interpellando il nostro oggi. Gesù ribadisce il comandamento dell'amore. Mai come in questo periodo, abbiamo la possibilità di far vedere quanto ci vogliamo bene e quanto teniamo al nostro fratello oltre che a noi, rispettando le indicazioni che ci vengono date, per una vita il più possibile sicura e a tutela di tutti. E' interessante in questo contesto riprendere ciò che Gesù dice per ultimo: da questo dipendono tutta la legge e i Profeti. Cosa significa questo per noi? La legge è per l'uomo e non l'uomo per la legge. La fede, in mezzo a tante critiche giuste o ingiuste, non entro nel merito, ci riporta all'unica cosa necessaria: all'accoglienza di ciò che ci viene chiesto, detto, nella fiducia che, anche se non piace a noi o non ci convince, possa essere essenziale o perlomeno utile. Sì, questo è l'atteggiamento di fede, che segue al nostro ragionamento e lo rende fecondo nell'ottica della salvezza. Dunque, occorre credere che tutto ciò che ci viene chiesto, è per noi, per il nostro bene. I Profeti, è uno sguardo gettato verso il futuro. Si ama per costruire un futuro, si vuole bene, per far durare nel tempo la vita. E, come sempre è stato nella storia dell'umanità, ciò che oggi viene profetizzato, ciò che oggi può essere proiezione verso il futuro, non sempre sarà capito. Si capirà dopo, al presentarsi di questo futuro. Sarà interessante guardarci indietro tra qualche anno e vedere quali cose che oggi restano considerazioni e tentativi, sono delle vere profezie. Lo sapremo, se vogliamo vivere credendo che attraverso ogni circostanza, il Regno di Dio si realizza. E sta qui il senso del comandamento dell'amore. Direbbe san Paolo: affinché Dio sia tutto in tutti (cf. 1Cor 15,28). Intanto a noi il nostro presente. Il presente in cui amare. 





venerdì 23 ottobre 2020

discerniamo insieme

 


Lc 12,54-59

Gesù oggi fa una domanda che potrebbe risuonare molto seria dentro ciascuno di noi. Come mai, questo tempo non sapete valutarlo? Credo che ciascuno di noi, in questi mesi, più di una volta si è detto o ha detto anche ad altri: non ci capisco nulla di ciò che sta succedendo. Ovviamente, di fronte ad una novità, un elemento completamente sconosciuto, cade tutta la nostra capacità di discernimento, perché il nostro discernimento si appoggia sugli elementi che abbiamo già dentro di noi, strutturati e definiti. Quando arriva qualcosa di nuovo, dobbiamo imparare a conoscerlo e ad inquadrarlo, per poi utilizzarlo nella valutazione della nostra realtà. Gesù è precisamente colui che mette "in crisi" le persone, perché costringe loro ad una novità inaspettata e chiede loro di inglobare questa novità, che è il vero e proprio rovesciamento delle logiche del suo tempo, nella loro vita, per renderla nuova. Forse a qualcuno di noi può far male in questo periodo questa domanda provocatoria: come mai non sappiamo ancora inquadrare la situazione creatasi a seguito dello scoppio della pandemia? Ma non è mica colpa nostra... Credo che oggi ci viene ribadito ancora una volta il concetto fondamentale e vitale della fratellanza. Non potremo mai inquadrare la situazione, se non INSIEME. Ecco perché Gesù fa l'appello a tutti di cercare sempre l'accordo con l'altro, in mezzo alle questioni scottanti, perché solo insieme si riesce a trovare la soluzione migliore. In fondo, se ci pensiamo, tutto ciò che oggi ci viene chiesto di rispettare e fare, è a tutela dell'altro. E sì, non sapremo mai valutare bene le cose, senza il riferimento alla relazione. Dio è relazione, nasciamo dalla relazione ed essa dovrebbe essere il nostro primo e l'ultimo riferimento. Lo è davvero?



mercoledì 21 ottobre 2020

pronti non ansiosi

Lc 12,39-48


Siate pronti! Queste parole del Signore oggi mi hanno fatto molto riflettere. Ho pensato a quelle persone, che pensano di dover essere sempre all'altezza della situazione e sempre pronti a tutto ma... non appena capita un imprevisto, si bloccano. E' un'esperienza che è capitata ad ognuno di noi nella vita. Tuttavia per qualcuno è condizione in cui vive. Qual è la differenza tra la prontezza e l'ansia? Tutte e due partono dalla considerazione sul futuro, fosse anche prossimo. L'ansia infatti è la condizione di chi vive talmente attento al futuro da vivere male il proprio presente non essere in grado di viverlo per la preoccupazione per il futuro. Ha bisogno di una massima sicurezza su ciò che accadrà, vuole controllarlo, vuole evitare errori o/e imprevisti. Non così per la prontezza di cui oggi ci parla il Signore. Essere pronti significa vivere nella serena consapevolezza che l'imprevisto può accadere, qui ed ora e che esso fa parte della vita anche se non lo si può capire prima che accada. Esattamente come quel padrone che, arrivando e trovando i servi che lo accolgono, inaspettatamente si mette lui a loro servizio. E' un imprevisto questo! Potrebbe generare l'ansia per la risposta: "cosa dovrò fare ora? come comportarmi? va bene? non va bene? cosa dirà la gente?" ecc.ecc... La prontezza è vita, mentre l'ansia è il timore della sua perdita. Sicuramente a ciascuno di noi è capitato di sperimentare per qualche motivo quell'ansia che arriva ad accorciare il nostro respiro. Ecco questo è desiderio di vita: chi vive, respira calmo, con larghezza di polmoni, se così si può dire, pronti ad accogliere ciò che viene. Chi invece è portato dall'ansia, ha il respiro corto, sente che la vita gli sfugge, boccheggia, cerca la vita... resta infelice, perché incapace di ricevere la novità non calcolata, che inevitabilmente arriva. Siamo nei tempi in cui ne soffre tanta gente, perché tanti strumenti abbiamo inventato per darci sicurezza, che deve, prima o poi sgretolarsi per far spazio alla possibilità di riacquistare la libertà. Beato invece cioè felice è chi vive pronto: serenamente capace di accettare le cose così come vengono (senza idealizzare ovviamente anche l'ansia fa parte di una vita normale, fino a quando non impedisce di vivere fondamentalmente tranquilli), chi sa fin nel profondo del suo cuore, che non è padrone della propria vita, ma che il suo "padrone" è, appunto, imprevedibile nell'amore. 

lunedì 19 ottobre 2020

non salvare il mondo

 



Lc 12,13-21

E così, stranamente, nemmeno il Salvatore se la sente di salvare "tutto e tutti" e risponde a chi invoca la sua "mediazione": "chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?" E' una straordinaria lezione di libertà, quella capacità di dire: "no, non posso, non tocca a me", quando questo è vero. E comporta anche il rischio di essere giudicati, ritenuti non disponibili, ecc. ecc. Tutto sta nel porci la domanda se noi siamo disposti a correre questo rischio, a tutela di noi stessi, per raggiungere l'equilibrio che spetta a quella maturità che comporta il sapere che non siamo noi a salvare il mondo. Ma la libertà qui si confonde facilmente con il menefreghismo, purtroppo. Dobbiamo capirci bene: Gesù non interviene non perché si è stufato delle richieste che gli vengono fatte, ma perché non ce n'è necessità. E' capace di lasciare le persone che agiscano nella loro vita, non si sente in colpa, né è arrabbiato. Capita che non sappiamo distinguere dove dobbiamo intervenire e dove no, perché ogni intervento ben riuscito ci porta un ritorno affettivo, siamo stimati, amati, visti. E quindi diventiamo dipendenti affettivamente, non direttamente dalle persone, ma da questo ritorno, che abbiamo da loro. La libertà ci permette di sapere che abbiamo bisogno di essere amati, ma che non dobbiamo comprarci questo amore, intervenendo sempre e dovunque. Come sempre, si cresce "facendo esercizio", si impara a non dipendere. E si impara, che salvaguardare le verità spirituali, quali il dovere della carità,  si può anche senza sentirsi in dovere di fronte a qualsiasi causa, sempre e dappertutto. 

domenica 18 ottobre 2020

le tasse per la vita?



Mc 12,13-17

Discorso difficile e delicato oggi. Si sa, le tasse sono sempre troppe, danno sempre la sensazione che lo stato ci stia derubando... in questo tempo della pandemia, diventano parte dell'incubo di tante famiglie... c'è più scoraggiamento, che non speranza. 
Per questo il Vangelo di oggi ci stuzzica e mette in discussione a tutti i livelli. E sarebbe comodo dunque se Gesù ci dicesse oggi proprio questo: no, dai, basta, lascia perdere, sono tutti ladri. Ma Gesù non porta questo messaggio, anzi. Sa benissimo che fare la Volontà del Padre significa vivere e coltivare non solo quelle che sono le dimensioni del Tempio, ma anche il mondo, dunque la responsabilità che comporta la vita nel mondo. Non si lascia intrappolare, dove vogliono far vedere che lui, rivoluzionario come è, minaccia il potere. Le radici infatti del suo Regno non sono di questo mondo, come dice lui stesso, eppure lui stesso porta nel mondo il Regno. La Basileia, appunto il Regno è Lui stesso. E rimane in questo mondo, fino alla sua fine. Lo viviamo e testimoniamo anche noi, quando troviamo un giusto modo di vivere in questo mondo, che Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio. Quasi verrebbe da dire che Gesù per primo ha promosso la laicità dello stato. Lui, che non ha fatto distinzione tra giudei e pagani, nella sua missione terrena, ora afferma la nostra responsabilità per il bene comune che riguarda il nostro vivere nella società.  Anche ai suoi tempi si diceva dei governanti che erano ladri, tant'è vero che ribadisce: fate quel che vi dicono, ma non imitateli. 
L'idea delle tasse dunque è quella per la vita, per la vita di tutti, per il bene comune, quando rende tutti noi uguali, nessuno privilegiato, ma neanche discriminato. Cos'è successo con questa idea? Il discorso basato sul Vangelo di oggi, non vuole sminuire la realtà pesante che stiamo vivendo. Resta sempre vero che noi non abbiamo i mezzi necessari per affrontare tante cose a livello economico. Dio non ci dice di disobbedire, ma ci chiede una creatività solidale. Esattamente la stessa creatività che si è messa in moto durante la quarantena, quando abbiamo condiviso anche i beni che avevamo, per dar da mangiare a tutti e quando abbiamo sperimentato che abbiamo risorse per tutti, solo esse sono mal distribuite. Ciò che infatti non ci viene assicurato "dall'alto", possiamo cercarlo insieme "dal basso". Perché a Cesare occorre dare ciò che è suo, ma darglielo aiutandosi e sostenendosi a vicenda non è lo stesso che disperarsi facendo gli sforzi solitari. Una nuova economia (oikonomia), insomma, amministrazione della casa, del nostro mondo, di cui abbiamo la responsabilità comune. 

lunedì 12 ottobre 2020

il Segno

Lc 11,29-32


Oggi è proprio la giornata giusta per riproporci la questione dei segni. Come è infine questa storia dei segni nei confronti di Dio...? Bisogna domandarli, ci si può credere? Gesù è molto chiaro in questo episodio. Non dice che non ci sarà nessun segno, dice che non ce ne sarà altro al di fuori di quello di Giona. Che poi sarebbe Lui stesso per la sua generazione. Nei tempi bui, come percepiamo che siano anche i nostri, non significa che i segni non ci sono. Significa che esiste un segno fondamentale, senza il quale non regge nulla, non regge nessuna simbologia e nessun credo. E che se non troviamo e non leggiamo quel segno, inutile che inseguiamo tanti altri, falsi segni. Non a caso San Giovanni Paolo II tanto spronava la chiesa a leggere i segni dei tempi. E questi segni dei tempi non sono delle cose magiche che vengo da chissà quale speculazione intellettuale di noi,  abituati a inseguire e a cercare una verità assoluta, in dei concetti. I segni dei tempi sono passi di quel Signore che abita il mondo e che ha introdotto il Regno qui tra noi. Dunque è Lui il segno fondamentale, senza il quale non possiamo scorgere nulla di buono, non vediamo l'amore. Quando il buio non ci permette di sentire, di rallegrarci con chissà quali fuochi d'artificio... è allora che siamo chiamati a cercare il segno fondamentale, la Presenza che dona un senso profondo ad ogni cosa, ad ogni epoca e ad ogni avvenimento della nostra vita. Allora non importa quanto sia buio (ricordiamoci che ogni epoca da quanti la vivevano veniva chiamata "buia"), perché resta un senso più profondo a tutto. Direbbe Santa Teresa, la santa di oggi: solo Dio basta. Ed è vero: qui, in mezzo a noi vive Uno che è più grande di Giona e Salomone messi insieme. E' Lui che dà la vita al mondo e gliela dà anche attraverso di noi, cercatori instancabili della sua presenza. 

domenica 11 ottobre 2020

non pervenuti



Mt 22,1-14

Preferiamo essere invitati al banchetto o essere costretti a parteciparvi? Nel primo caso rischiamo di non gustarlo, perché all'invito siamo liberi di rispondere o meno...e non ci basta essere invitati dallo stesso Dio, ancora sappiamo trovarci delle scuse. È meglio essere costretti, rimanere nella categoria di quelli che non sarebbero “degni” di parteciparvi, ma vengono perché “costretti” dall'amore di Dio, il quale, rovesciando le logiche del mondo, per primo accoglie tutti i disgraziati?  Quando l’Amore ci costringe scopriamo di essere tutti ciechi, storpi, zoppi... ma non c’è più vergogna, perché  il banchetto ristora, ridona vita e dignità. Ecco perché “gli invitati” non arrivano... perché il Signore non è venuto per coloro che si ritengono sani, ma per i malati!

giovedì 8 ottobre 2020

a mezzanotte

 


Lc 11,5-13

Non sopporto gente insistente. Mamma mia, quanto non la sopporto!!! Di conseguenza, odio dover insistere, perché non faccio vivere agli altri ciò che io stessa odio. Questo Vangelo oggi mi sta scomodo da morire... lo confesso! Non andrei mai a chiedere, nemmeno ad un amico, a mezzanotte, il pane per sfamare chi è giunto presso di me. Piuttosto mi arrangio con quel che ho in casa. Già, perché io comunque in casa ho sempre qualcosa... eh sì, appartengo a quella minoranza fortunata degli abitanti del mondo, a cui non manca il pane. Questo fa sì che a mezzanotte non devo rompere le scatole a nessuno. Ma mi metto a fare la riflessione esattamente dall'altro punto di vista. Chi è colui che mi rompe le scatole, insistendo? Cosa mi comunica? Mi dice, appunto, che non è autosufficiente, che non ce la fa da solo. Dice: ho bisogno di te. Mi interpella nel mio punto debole, quello di possedere una sufficiente "ricchezza" da potermi ritenere indipendente. Ecco cosa fanno con noi i fratelli più deboli, poveri, bisognosi, tanto insistenti da poter dire legittimamente: basta! Ci riportano alla necessità dell'equilibrio tra l'autonomia e l'interdipendenza. Perché se è vero che ognuno di noi ha il diritto e il dovere di cercare la sana autonomia, è altrettanto vero che siamo tutti collegati e non possiamo vivere, se non in relazione con l'altro. Bussare alla porta dell'altro a mezzanotte, è simbolo di un bisogno che non si può rimandare, simbolo di una ricerca disperata di chi non ce la fa. Viviamo nei tempi in cui, per alcuni bisogni dei poveri, ma anche per le condizioni in cui si trova il pianeta, è mezzanotte e il bussare alla porta è il minimo che si possa fare. Siamo disponibili ad alzarci e a dare la nostra disponibilità?

sabato 3 ottobre 2020

quell'infinito piccolo e povero

A Lui, eternamente vagabondo e per sempre presente... piccola e povera versione dell'infinito! (Transito 2018)

Solo una piccola porzione
per amore di colui
che è Tutto
che con la sua Croce
tutto ha compiuto
Compiuta la sua parte
le mani inchiodate le braccia incrociate
il cuore consegnato la speranza non delusa
Sì, la speranza è tutta proprio qui
E di nuovo Assisi sul tuo cielouna stella fulgente conclude e vola
verso Colui che è Santo forte, grande
altissimo e onnipotente
che è rifugio, fortezza
mitezza e dolcezza
Si chiude l’occhio si schiude il cielo
festa della speranza che nei figli
durerà in terra per sempre
che regna invincibile
nella sera e nella mattina che furono
nel primo giorno
Giorno dell’Eternità

venerdì 2 ottobre 2020

poco e piccolo

Ieri era la festa di santa Teresina. Come sempre, lei preferisce restare nascosta
ma non voglio dimenticarla, oggi soprattutto mentre festeggiamo gli angeli custodi. 
Stiamo parlando di esseri che ispirano tenerezza, che noi associamo facilmente ai bambini, anche se erroneamente. La preghiera agli angeli custodi è una delle prime preghiere che insegniamo ai bimbi... E poi c'è appunto Teresina, con la sua fede che lei definisce piccola, ma che è tanto grande! E quel bambino, che Gesù pose in mezzo dopo che hanno domandato chi è il più grande nel Regno dei Cieli? Tanto piccolo, tanto grande. Sì i bambini fanno poco e ciò che fanno è piccolo, ma prezioso e grande agli occhi di chi ha l'animo grande. Si, Teresina in fondo non è mai uscita dal suo convento, compiendovi delle piccole mansioni, man mano facendo sempre di meno, quando stava ammalandosi. Davanti a noi una piccola via. Scegliere l'essere piuttosto che il fare. Scegliere di fare memoria sempre di quegli angeli che nel cielo guardano il volto di Dio. Questo significa tante cose, anche se piccole e poche agli occhi del mondo. Nel cuore della chiesa, mia Madre, io sarò l'amore, così sarò tutto. Ecco, essere l'amore, non significa niente e significa tutto... Essere bambino significa non fare nulla di "utile", e significa essere una gioia per tutti. Possa il Signore insegnarci questa grande pochezza e piccolezza, che ci ricorda l'unica cosa essenziale, quella appunto che fanno gli angeli di coloro che sono più che fanno: il Volto di Dio. Allora si, non sono più solo gli angeli a vederlo costantemente, ma lo vediamo anche noi, nella nostra vita, nella quotidianità delle azioni più piccole, compiute con e per amore, sopratutto quando questo costa. 

giovedì 1 ottobre 2020

la pace

 


Lc 10,1-12

Oggi vi giro una meditazione che io stessa ho ricevuto e quindi condivido!

Portare solo la pace. Nient’altro. Inermi, indifesi, quasi ingenui. Sentirsi nudi e in balìa dell’altro come un agnello in mezzo ai lupi è la condizione che vi permette di incontrare l’altro.

Forse incontrerete un figlio della pace, uno come voi. Nell'essere accolti, potrete scambiarvi ciò che ciascuno può offrire. Le vostre diversità si integreranno. Stabilirete un legame profondo, intimo, vi sentirete fratelli e sorelle. Avrete la sensazione di essere a casa, pur con degli sconosciuti, che vi sembrerà di conoscere da una vita. Sperimenterete che la comune umanità è la vera dimora dove è possibile abitare. Vi accorgerete che non avete bisogno di altro. E gioirete insieme.

Forse vi capiterà di non essere accolti. È faticoso non essere visti o riconosciuti dall’altro. Viene da reagire e da arrabbiarsi. Si riattivano antiche ferite. Il cuore si chiude per proteggersi. Ecco: quello è il momento propizio per sperimentare una cosa straordinaria: l’altro non ha il potere di togliermi la pace. Non si tratta di fare finta di niente di fronte al rifiuto, di negare il dolore per il mancato riconoscimento e neppure di far buon viso a cattivo gioco.

La pace è un atteggiamento assertivo: ha a che fare con la franchezza, ovvero con il coraggio di guardare negli occhi l’altro riconoscendolo umano anche nella sua chiusura. La pace è esercizio consapevole di questo potere: il potere dell’amore. È ciò che ti rende autenticamente umano. Quando smetti di cercare l’umanità dell’altro smetti tu stesso di essere umano.

La missione, come la intende Gesù, è una chiamata a rimanere umani, anche lì dove ci sentiremmo in diritto di rinunciare alla nostra umanità.

P. Flavio Bottaro

mercoledì 30 settembre 2020

Ma...


 

Lc 9, 57-62

È questione di priorità. Alle volte nella vita ci troviamo in un bivio e dobbiamo scegliere qualcosa. Momento disperato per chi non ha nessun obiettivo definito e altrettanto spaventoso per chi non si è mai dato delle priorità. È il famoso voler fare tutto, voler essere dovunque, voler avere tutto... eppure non si può. Chi non è abituato a questa verità della vita, inevitabilmente farà fatica a legarsi, a prendere impegni, a mantenere la parola e ad essere responsabile e affidabile. Le scelte vanno fatte, ma spesso non vengono fatte per paura di fallimento. Ecco, Signore, ti seguo però aspetta che devo dare un bacino alla nonna. E se poi la nonna ha fatto dei biscottini, non mi lascerà facilmente andare, ma tu Signore aspetta, perché due biscottini e sono da te. Non ho priorità e quindi non mollo la presa della nonna. Gesù nel Vangelo di oggi non ci vuole dire che la famiglia non va rispettata. Ma prende come esempio il legame familiare, come uno dei più forti legami affettivi, proprio per farci vedere quanto spesse volte restiamo fortemente attaccati ai nostri "ma" e nostri "però" anche laddove sembrano anche umanamente far sorridere. Ci piace raccontarci delle storie, siamo dei narratori. Anzitutto le raccontiamo a noi stessi e, una volta che ci crediamo, vogliamo convincere gli altri. Alle volte ci riusciamo, altre no. Il Signore vede oltre e ci incoraggia a lasciare i nostri "ma", esattamente nel punto in cui nascono, per una vita vissuta con ampiezza d'animo e con l'audacia di chi non teme più soprattutto di sbagliare, perché Dio è con lui. 



martedì 29 settembre 2020

l'effetto dello sguardo

Gv 1,45-51

Come ti senti quando qualcuno ti dice: ti ho visto ? Credo che di solito, istintivamente, cominciamo a domandarci: oddio, cosa ho fatto di sbagliato?  Comunque, un momento di dubbio, di sospensione, in questi casi è più che normale. Soprattutto quando non capiamo realmente se dietro a queste parole si cela un rimprovero oppure si tratta di qualcos'altro.
Natanaele, nel Vangelo di oggi, guarda a Gesù attraverso dei pregiudizi. Si sa, da Nazareth non può venire nulla di buono. Ecco: non lo guarda per quello che Egli è realmente, tuttavia per fortuna, è capace di porre il suo dubbio in forma di domanda. E, ricercando la risposta, si imbatte nell'atteggiamento esattamente opposto al suo. Viene chiamato da una persona che anzitutto sa e pronuncia il suo nome e dopo sa e verbalizza ciò che sta nel suo cuore. E dice delle cose positive. Si accende lo stesso un sospetto: come mi conosci? E avviene un miracolo: non appena si sente preso per quel che realmente è, riesce a riconoscere l'altro per quello che Egli è. Non sappiamo se sia stato l'effetto solleticante dell'essersi sentito elogiato... Tuttavia forse possiamo trovare qui una grande verità relazionale. Solo se siamo guardati con amore e accettati per quel che siamo realmente, riusciamo a riprodurre lo stesso sguardo sugli altri. Dall'essenza all'essenza. Senza tanti raggiri o sforzi di guardare dentro per mettere insieme degli elementi (che poi non si sa da dove vengano) e "definire" una persona. Essere amati = essere guardati. Se sentiamo lo sguardo di benevolenza su di noi, ci sentiamo amati. E scompare il bisogno di definire una persona, perché basta il suo nome e il bene che c'è dentro di lei, che, pronunciati, danno la vita all'altro, e gli danno quella carica che significa: la mia vita è importante. Non c'è bisogno di essere innamorati, per vivere questo, non c'è bisogno di sguardi sdolcinati. L'esercizio quotidiano potrebbe essere quello di ri-cor-dare, ripassare dalle parti del cuore, il fatto che siamo sempre guardati con amore dal datore della vita. Allora forse pian piano cambierebbe il nostro sguardo sulle persone e sulle cose. Le nostre relazioni possono in questo modo diventare più semplici, più dirette e più edificanti. E scompare la paura che "qualcuno mi abbia visto", quando vivo sotto lo sguardo tenero e premuroso di Dio.